La destra eversiva, un generale dei carabinieri in pensione, l’ex presidente del Consiglio e un già senatore. Ma anche un favoreggiatore di mafiosi e un enigmatico disoccupato al telefono con stragisti. Tutti hanno in comune l’iscrizione nel registro degli indagati nei fascicoli investigativi aperti per fare luce sulla stagione di sangue e morti che ha segnato il paese nel 1993. L’inchiesta della procura di Firenze sui mandanti esterni alle stragi è diventato un domino infinito al quale si aggiungono sempre nuovi tasselli.

L’ultimo, raccontato da Domani, coinvolge Giovanni La Lia, primo fondatore di club forzista in Sicilia, indagato perché avrebbe mentito ai pubblici ministeri che lo hanno ascoltato sulle telefonate intercorse, nel 1993, con i killer di Brancaccio e i fratelli Giuseppe e Filippo Graviano.

Ogni tassello nuovo racconta, da un lato, omissioni e distrazioni delle indagini già svolte in passato, e dall’altro, apre interrogativi su reticenze e silenzi con l’iscrizione di altri soggetti nel registro degli indagati. Insomma, arrivano sempre nuove indagini, ma il domino si allarga e la verità sembra ancora avvolta in una nebulosa. Ma a che punto sono questi filoni?

L’indagine madre

L’indagine madre ruota attorno a Marcello Dell’Utri che, in quella stagione di bombe e sangue, era impegnato nella nuova avventura politica di Silvio Berlusconi dopo averlo accompagnato nell’ascesa imprenditoriale garantendo al cavaliere anche la protezione di beni e figli grazie a Vittorio Mangano, lo stalliere mafioso di Arcore. Proprio Dell’Utri, già condannato in passato per concorso esterno in associazione mafiosa, è il principale indagato nel troncone più importante dell’inchiesta fiorentina, seguito dai pm Luca Turco, Lorenzo Gestri e Luca Tescaroli.

L’ex senatore azzurro risponde di concorso in strage, fino alla morte era iscritto con la stessa ipotesi di reato anche Berlusconi, accusa che ha sempre scatenato l’ira e l’irritazione dei due vecchi amici. Dall’avviso di conclusione delle indagini per La Lia emerge che il fascicolo principale a carico di Dell’Utri e Berlusconi è stato riaperto nel 2022, ma la decisione finale non arriva. La procura formulerà una nuova richiesta di archiviazione, come accaduto altre volte in passato, o procederà alla richiesta di rinvio a giudizio? Di certo ci vorrà altro tempo per far conciliare velocità diverse imposte dalle diverse anime che abitano la procura.

A Firenze, nell’ottobre scorso, è arrivato un nuovo procuratore, Filippo Spiezia, mentre l’aggiunto, Luca Tescaroli, destinatario di recente di pesanti minacce di morte, è diventato procuratore capo a Prato. Un dato, però, c’è. Lo scorso aprile, Dell’Utri ha ricevuto un avviso di conclusione delle indagini, insieme alla consorte, per trasferimento fraudolento di valori. In quelle carte si comprende l’orientamento chiaro della procura anche se sul filone principale rimanda la decisione.

A Dell’Utri si contesta «l’aggravante di aver commesso i reati al fine di occultare la più grave condotta di concorso nelle stragi ascrivibile a Berlusconi e allo stesso Dell’Utri per la quale l’ex premier è stato indagato unitamente all’ex manager di Publitalia (...) costituendo le erogazioni di quest’ultimo il quantum percepito da Dell’Utri per assicurare l’impunità a Silvio Berlusconi». Quello del trasferimento di fraudolento di valori, con sequestro di quasi undici milioni di euro, è uno dei fronti aperti per il quale la procura ha chiuso le indagini. E gli altri?

Mori, la destra e La Lia

Un altro fronte scandagliato dalla procura è quello relativo al ruolo della destra eversiva nelle stragi, nessuna contestazione viene mossa a Stefano Delle Chiaie, perché morto nel 2019, ma le investigazioni puntano a dare risposta a presenza, contatti e incroci nei mesi che hanno segnato la preparazione e la realizzazione delle stragi sul continente, in tutto dieci morti, tra questi due bambine. Gli approfondimenti ruotano attorno a Delle Chiaie, fondatore di Avanguardia nazionale, movimento della destra neofascista, il signore nero dell’eversione. Anche in considerazione di un altro soggetto che si muoveva a cavallo tra il mondo dell’estremismo di destra, vicino ad Avanguardia nazionale, e il crimine: Paolo Bellini, condannato per la strage di Bologna.

In questo quadro variegato c’è l’altro filone d’indagine aperto a carico di Mario Mori, l’ex generale dei carabinieri, a capo dei servizi e del Ros, indagine che ha generato la reazione di governo e il disappunto della stessa arma.

Mori, già processato e assolto per ben tre volte in passato, ha reagito con irritazione respingendo ogni addebito, gli viene contestato il reato di concorso in strage. Non avrebbe impedito le stragi nel biennio 1993-1994 «nonostante fosse stato informato dapprima nell'agosto 1992, dal maresciallo Roberto Tempesta, del proposito di cosa nostra, veicolatogli dalla fonte Paolo Bellini (...)». Proprio quel Bellini.

L’amico e il disoccupato

C’è un ultimo fronte aperto che gira attorno ai fratelli Graviano, gli stragisti di Brancaccio, dalle cui dichiarazioni, in particolare di Giuseppe, il fascicolo principale è stato riaperto. Due stragisti che raccontano di rapporti anche economici con Silvio Berlusconi, ma fanno il gioco delle tre carte, parlano e ritrattano: pericolosi e obliqui.

In quella stagione al centro-nord l’amico dei Graviano, poi condannato per favoreggiamento, era Salvatore Baiardo, gelataio e indovino di arresti eccellenti. Baiardo era stato sentito dai pm di Firenze come testimone nel fascicolo principale, ma poi è diventato indagato per i reati di calunnia in merito alla famosa foto che avrebbe mostrato al giornalista Massimo Giletti che ritraeva Giuseppe Graviano, Silvio Berlusconi e il generale dei carabinieri, Francesco Delfino.

Il riesame ha disposto l’arresto in carcere, ora si è in attesa della decisione della corte di Cassazione. Non c’era solo Baiardo ad avere rapporti con i Graviano, sull’utenza della fidanzata di Filippo Graviano si registravano nel 1993 telefonate anche con Giovanni La Lia, fondatore del primo circolo forzista in Sicilia, che chiamava anche i numeri di Fabio Tranchina e Gaspare Spatuzza, mafiosi e poi pentiti.

Sentito dalla procura, La Lia non ha convinto i pm che lo hanno indagato per false informazioni con l’aggravante di aver agevolato cosa nostra. La difesa, affidata all’avvocato Cesare Fumagalli, in attesa di vagliare le carte, evidenzia che si tratta di fatti datati e che i pm hanno ascoltato La Lia nel 2020, e che sarà chiarito ogni contestazione nelle sedi competenti.

© Riproduzione riservata