Stai a vedere che non è più un calcio per vecchi. Prima Mats Hummels (36 anni, a fine stagione si ritira), poi Kevin De Bruyne (33, a fine stagione il City lo molla). E adesso anche Thomas Müller, 35 anni, una carriera al Bayern Monaco. La vita nello sport si consuma in fretta e ora il club che lo ha cresciuto non lo vuole più. Sei vecchio, non ci servi. E Müller ci è rimasto male.

Dopo tutti questi anni, ha scritto nel suo post d’addio, «indipendentemente dai minuti che gioco, mi diverto ancora molto a stare in campo con i ragazzi e a lottare insieme per i titoli per i nostri colori. Avrei potuto facilmente immaginare di assumere questo ruolo anche l'anno prossimo. Tuttavia, il club ha consapevolmente deciso di non negoziare un nuovo contratto con me per la prossima stagione».

Nessuno vuole andare in pensione così. La soffitta è un luogo buio e freddo. Per questo molti scelgono di svernare lontano da qui. Se per l’Europa non basto più, allora vado a cercarmi spazio altrove. Dove capita, dove ce n’è. Può bastare anche l’Mls con il suo soccer in perenne divenire (vedi, tra gli altri, Messi). I più coraggiosi (vedi Cristiano Ronaldo) si avventurano nell'Arabia Saudita tutta dollari e promesse di felicità.

Müller non sa. Non ancora. Ma il tratto che gli resta da fare in questo finale di stagione conta eccome. Vale dunque tanto il quarto di finale di Champions League di stasera contro l’Inter. Vale per Müller. E per tutti quelli che vorrebbero riconoscenza.

Gli esordi

In Champions cominciò che aveva 19 anni. Era magro, niente brillantina in testa, nessun tatuaggio. Lo stesso di oggi, ma più giovane. Al 90° segnò: era il gol del 7-1 allo Sporting, ottavi di Champions. «Un altro Müller segna per il Bayern», scrissero pensando a Gerd, centravanti anni Settanta. Lo aveva lanciato Jürgen Klinsmann, che proprio all’Inter si era regalato una carriera e la grandezza. Se credi nella coincidenze qualche puntino da unire lo trovi sempre. Altri puntini da unire: Matthäus, pure lui ex nerazzurro d’annata, nelle ultime ore ci ha tenuto a dire la sua sulla situazione del connazionale. «Thomas Müller deve giocare dall'inizio. E con la fascia da capitano. Assolutamente. Müller corre per la squadra e segna l'1-0 dopo cinque minuti», ha scommesso Matthäus.

Con Musiala infortunato ci sono buone chance che davvero giochi dall’inizio. E visto il recente corso degli eventi è possibile che quella dell’Allianz Arena diventi una specie di vetrina. Niente passerella, ma un’arena in cui dimostrare il proprio furore. Müller non ha dimenticato gli ultimi mesi. Non ha dimenticato che il direttore sportivo Max Eberl aveva accennato a un prolungamento del contratto solo a gennaio. Non è stato fatto. E nemmeno che Uli Hoeness, il presidente onorario, lo ha liquidato senza garbo. «Un Thomas Müller che se ne sta sempre in panchina non è una soluzione. Gli consiglierei di dimettersi», aveva detto a febbraio.

Fosse facile. Tutt’altro: trovare il momento giusto per dire addio al grande palcoscenico e riuscire a lasciarsi andare è un tormento. Non tutti sono determinati come Toni Kroos. Il centrocampista non l’aveva fatta tanto lunga: «Dopo gli Europei smetto». E così ha fatto.

Andare in pensione

Il calcio non è un’azienda normale. Ci sono contratti da rispettare, ma le emozioni e la storia contano. E dirigenti e giocatori devono andare di pari passo, altrimenti è il caos. Come è successo con Müller. Peter Penders, vice caporedattore per lo sport di Frankfurter Allgemeine, ha scritto che «un’azienda queste cose le dovrebbe risolvere nel silenzio». Del resto il sistema pensionistico del calcio è difficile da definire. Perché se il fisico regge si può andare avanti. Kazuyoshi Miura, 58 anni, gioca ancora in quarta divisione giapponese (nell'Atletico Suzuka). È diventato un guru. Nei massimi campionati ci sono ragazzi di quasi quarant’anni che continuano a darci dentro: Ashley Young (Everton, 39 anni) e Lukasz Fabianski (39, West Ham), Pepe Reina (Como, 42), Daniele Padelli (Udinese, 39) tanto per fare qualche esempio.

Müller sentiva di avere ancora qualche anno per sé e per il Bayern. E la sfida contro l’Inter è un momento significativo: «Uno dei punti più importanti ora è la nostra partita contro l'Inter – ha detto ai tifosi – questa partita può aprirci le porte per la finale che si giocherà in casa nostra». Müller alimenta ancora i sogni di quando era più giovane. Oliver Bierhoff una volta ha cercato di definirlo: »Chi è? È quello che prima del via, mentre tutti sono divorati dallo stress, tira fuori la battuta che scioglie la tensione». 

Come varia l’età media dei calciatori

L’età nel calcio sembrava aver toccato l’eternità con CR7. Ma qualcosa sta cambiando. Negli ultimi anni l’età media dei calciatori nella Bundesliga ha mostrato variazioni interessanti. Secondo Statista, nella stagione 2017/18 l’età media era di circa 23,7 anni, mentre in quella attuale è salita a 25,9. Un incremento di oltre due anni. Oltre a Müller, quelli nati negli anni Ottanta sono in tutto undici secondo Transfermarkt. E sette di questi giocano in porta. In Serie A sono invece cinque, tutti giocatori di movimento. In Germania quelli nati negli anni Ottanta li chiamano Jahrgänge der 80er. La GenY, nel pieno dell’esistenza, che lavora, che cerca uno sbocco. Müller, però, non è uno qualunque. L'elenco dei suoi record è lungo. Il campione del mondo 2014 non è solo un'icona del club, ma anche un'icona del campionato tedesco. È stato il primo giocatore a festeggiare le 350 vittorie in Bundesliga. Con oltre 700 partite ufficiali con la maglia del Bayern Monaco, è l'attuale giocatore con più presenze del club. Dodici campionati tedeschi e sei coppe vinte, oltre ai due trionfi in Champions League, sono titoli speciali per il beniamino dei tifosi, che raramente è assente per infortunio.

Pierfrancesco Archetti sulla Gazzetta dello Sport lo ha definito «la classica persona qualunque, normale e non eccentrico». Diego Maradona, quando era ct dell’Argentina, non sapeva chi fosse. A marzo 2010, in occasione di un’amichevole con la Germania, glielo misero di fianco. «Io non posso rispondere alle domande con questo vicino. Mi alzo e me ne vado».

Quando il podio si liberò, Diego tornò e il rimedio fu peggiore del danno: «Non sapevo che fosse un giocatore». E Müller: «Credeva che fossi un raccattapalle». Il suo cognome è il più diffuso di Germania: batte anche Schmidt e Schneider. E anche se il Müller più famoso di Germania era Gerd, la storia di Thomas col Bayern non può finire così, senza amore, come un contratto di lavoro scaduto.

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