Si pensava fosse un suicidio, ma tutti gli elementi fanno supporre che Giada Zanola, 34enne originaria di Brescia e mamma di un bambino di tre anni, sia stata uccisa dal compagno. L’autopsia stabilirà se sia stata stordita prima di essere gettata al di là della recinzione del cavalcavia nei pressi di Vigonza, in provincia di Padova.

Il fidanzato, Andrea Favero, è stato fermato con l’accusa di omicidio volontario aggravato. Se le indagini confermeranno questa ipotesi sarà solo l’ultimo di una lunga lista di femminicidi che quest’anno si è aperta il primo gennaio con l’uccisione di Rosa D’Ascenzo, 71 anni, colpita a morte dal marito.

Non tutti i femminicidi fanno rumore allo stesso modo ma, anche se alcuni non trovano spazio sui media principali, le donne continuano a morire ammazzate. A Giada Zanola solo nel mese di maggio se ne aggiungono altre due: Sofia Stefani e Saida Hammouda.

I dati più aggiornati, che risalgono a lunedì, si trovano nel report del servizio analisi criminale del ministero dell’Interno, secondo cui, dall’inizio del 2024 al 27 maggio, si contavano 34 donne uccise, di cui trenta in ambito familiare o affettivo. In diciotto casi l’assassino è stato il partner o l’ex partner.

Violenza continua

Sono numeri che però invecchiano velocemente e necessitano di un aggiornamento continuo. Alle donne uccise, poi, si sommano i tentati femminicidi, tredici quest’anno, stando ai dati dell’osservatorio nazionale di Non una di meno. La violenza e i femminicidi non sono fenomeni settoriali, che colpiscono solo determinate fasce d’età o classi sociali. Non esiste un momento in cui si è “fuori pericolo”: la vittima più giovane del 2024 aveva 19 anni, mentre la più anziana 89.

È uno schema che si ripete, in cui a pagare sono sempre loro, le donne, molte volte già vittime di violenza all’interno delle mura domestiche. Quantificare il fenomeno però non è così facile: i dati Istat più recenti e approfonditi sul tema sono aggiornati al 2014.

Un’indicazione arriva da un’analisi di aprile svolta da Save the children in collaborazione con il servizio analisi criminale. Dal report emerge che l’anno scorso in Italia le richieste di aiuto e intervento per episodi di violenza domestica o di genere subita dalle donne sono state 13.793. E nella maggior parte dei casi l’autore dei maltrattamenti era una persona vicina alla donna, solo l’1,5 per cento delle volte, infatti, l’aggressore era sconosciuto alla vittima.

Anche Giada Zanola aveva subito violenza prima di essere uccisa. I litigi tra i due erano molto frequenti e talvolta sfociavano in episodi di violenza fisica, testimoniati da foto di lividi mandati alle amiche e da messaggi in cui diceva di temere per la propria incolumità. Lei non ha mai sporto denuncia, ma in Italia anche rivolgersi alle forze dell’ordine non è sempre garanzia di salvezza.

A settembre la Camera ha approvato una stretta alle norme del “Codice rosso”, la legge del 2019 che istituiva una corsia preferenziale per denunce e indagini riguardanti casi di violenza su donne e minori.

Secondo un report di gennaio dell’associazione D.i.Re. «nonostante l’introduzione del Codice rosso, i dati disponibili rivelano che circa il cinquanta per cento dei casi segnalati di violenza contro le donne viene archiviato senza nemmeno arrivare al processo. I tassi di condanna sono bassi».

Strategia della repressione

Guardando sul lungo periodo, dal 2013 a oggi gli investimenti in materia sono aumentati del 156 per cento. Un incremento di fondi che ha portato a uno stanziamento, tra il 2020 e il 2023, di 248,8 milioni di euro. Ma non in tutti gli ambiti.

Con il governo Meloni i fondi per la prevenzione sono stati tagliati del settanta per cento rispetto al 2022. Solo il dodici per cento del finanziamento totale è stato indirizzato ad azioni di prevenzione, confermando una strategia di tipo repressivo e non preventivo.

Non è previsto un piano strutturato di educazione che miri a creare (almeno nelle nuove generazioni) una consapevolezza sul tema, una visione della realtà priva di stereotipi e di schemi mentali sessisti ormai radicati. A denunciare questa mancanza è anche Non una di meno – Padova in un post su Facebook: «L’educazione sessuo-affettiva e al consenso non è pervenuta. I centri antiviolenza rimangono definanziati, così come rimane insufficiente il “reddito di libertà” che dovrebbe aiutare le donne nel loro percorso di fuoriuscita dalla violenza ma che prevede soli 400 euro al mese per 12 mesi, contributo del tutto irrisorio».

L’approccio emergenziale

«Il contrasto alla violenza contro le donne manca di un approccio sistemico e strutturale – si legge nel report di D.i.Re –. Persistono ostacoli per le donne in situazioni di violenza nell’accesso alla giustizia, evidenziati dagli elevati tassi di archiviazione, bassi tassi di condanna e dalla mancanza di una formazione adeguata su stereotipi e pregiudizi giudiziari».

Quello adottato è un approccio emergenziale, si agisce come se si dovesse contrastare un fenomeno grave ma passeggero, quando invece quello dei femminicidi è uno schema secolare. Non frutto di un «raptus» o di un «abbaglio di gelosia», ma conseguenza di una mentalità in cui dominano possesso, disprezzo, pretese, obblighi.

Della violenza di genere si conoscono i numeri, le caratteristiche, i rischi e le conseguenze, ma al posto di agire a priori, ci si muove a posteriori, quando ormai in qualche caso è troppo tardi per intervenire.

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