Una manifestazione pensata nel 1969 come volano di avvicinamento allo sport ma cessata nel 1996. Il ministro Abodi ne aveva annunciato la rinascita per questo anno scolastico, come inclusivi, multidisciplinari e accompagnati da educazione all’ambiente, alla salute, all’alimentazione. Saranno finanziati con copertura statale di 11 milioni. Ma il ddl è ancora in esame in commissione
Dopo l’abbondante raccolto estivo di emozioni olimpiche e paralimpiche, l’autunno ci invita a decantare, a studiare e curare il terreno per renderlo di nuovo fertile. Così, passate in rassegna vittorie e primati, frutto di monoculture intensive alias specializzazioni precoci, è tempo di guardare oltre l’inverno dell’agghiacciante inattività dei nostri giovani e pensare a come fare germogliare il vivaio dello sport italiano. Con il nuovo anno scolastico è annunciato l’arrivo, anzi il grande ritorno dei Giochi della Gioventù (GdG). Chi non li ricorda? Per gli over 40 è stata un’esperienza imprescindibile nel percorso scolastico.
Le aspettative sono alte. Anzi, anche l’attesa è diventata essa stessa un evento tant’è che nel giugno scorso (dai Ministeri dello Sport e del Merito insieme a Sport e Salute e gli Uffici Scolastici) è stata organizzata una manifestazione chiamata “Aspettando i Giochi della Gioventù” coinvolgendo circa diecimila ragazzi delle classi quarte e quinte delle scuole primarie in vari capoluoghi di regione. Numeri importanti ma il confronto col passato è difficile. Nel lontano 1969, alla prima edizione dei GdG si qualificarono per le fasi nazionali ben 4118 giovani e nel totale dei turni precedenti (selezioni comunali, provinciali e regionali) vennero coinvolti 2 milioni e mezzo di ragazzi. Si dice che da lì siano usciti tanti campioni del passato. In realtà sarebbe più corretto dire che da lì sono passati tutti: anche chi lo sport poi lo ha fatto senza risultati eclatanti per il piacere di migliorarsi e pure chi non lo ha fatto più ma ha continuato a muoversi per il piacere di stare bene.
I dati sulla sedentarietà
I GdG sono un pezzo di storia dello sport italiano che viene rispolverato per cercare di collegare il vertice con la base. Dal 1996 (da quando cioè hanno smesso di essere com’erano stati concepiti in origine ovvero un volano di avvicinamento allo sport) il modello italiano si è concentrato sugli investimenti per l’attività agonistica d’élite. Scelta probabilmente fatta inizialmente confidando nella teoria del percolamento ma nulla può gocciolare ai livelli inferiori se una base non c’è.
E, purtroppo, nel tempo, il piedistallo che dovrebbe reggere il vertice è letteralmente scomparso. Fissiamoci bene nella memoria, ancora una volta, i dati OCSE che vedono l’Italia all’ultimo posto per sedentarietà dei giovani tra gli 11 e i 15 anni, con la spaventosa percentuale del 94,5%. Dunque, affinché l’Italia possa considerarsi un’eccellenza sportiva mondiale, deve agire con la consapevolezza che, oltre al medagliere c’è di più. Deve curare le tre dimensioni: ERE (Élite Reference Excellence), PRE (Personal Referenced Excellence) e PPW (Partecipation of Personal Wellbeing).
Lo chiarisce bene l’illustre tecnico Antonio La Torre, il deus ex machina del boom dell’atletica italiana; nel libro a sua cura Allenare per vincere spiega: «L’eccellenza nello sport non include solo l’alto livello, Olimpiadi e medaglie ma si considera anche in termini di record e obiettivi individualizzati e soggettivi e nello svolgimento di attività fisica per il benessere».
E continua sottolineando che le tre dimensioni hanno in comune gli anni dell’avviamento perché «le abilità motorie di base sono prerequisiti essenziali (…) sono associate al coinvolgimento nello sport di alto livello (…) i bambini che non sviluppano i prerequisiti motori durante la crescita non hanno le competenze di base per praticare attività fisica da adulti».
Com’erano
Marcel Proust diceva che i veri paradisi sono solo quelli perduti ma, sebbene il ricordo tenda a smussare i contorni, i GdG hanno rappresentato veramente un bene prezioso. Nessun obbligo di tesseramento a un club e quindi a una federazione, nessun costo per le famiglie: erano gli insegnanti di educazione fisica (figura allora prevista in ognuna delle cinque classi della primaria) a occuparsi della preparazione.
Fondamentalmente tutto ruotava attorno all’atletica per via delle competenze, gli schemi motori di base che aprono la strada a tutti gli altri sport e insegnano come restare attivi per la vita. Ci si “allenava” in palestra, in cortile, a volte nei giardini pubblici. Tutti venivano coinvolti per il successo di classe nella fase interna di istituto e per quello della scuola dalla fase comunale in poi.
Ognuno era chiamato a contribuire al successo della squadra come riusciva. Alle elementari era tutto facile ma dalle medie in poi, con gli adolescenti irrequieti tanto allora come ora, c’erano le discipline rifugio.
I più refrattari, quelli che non volevano nemmeno indossare la tuta, di solito facevano il lancio del peso con spirito di sacrificio e solidarietà alla causa comune. Poi è arrivato il vortex.
C’era anche il basket come sport di squadra, allora il volley era meno popolare. Erano delle feste che si celebravano dalla primavera in poi e per le quali ci si preparava in orario curricolare ed extracurricolare incrementando motivazione e stimoli motori durante tutta la durata dell’anno scolastico.
E mentre ci si allenava si sognava che da grandi, magari, sarebbe capitato di partecipare ai Giochi senza frontiere: una manifestazione dal successo strepitoso tra Paesi europei che, più o meno negli stessi anni, ha fatto concorrenza ai Giochi olimpici nell’immaginario collettivo, contribuendo all’idea romantica dello sport, dell’attività fisica, dei giochi come veicolo di amicizia, pace tra i popoli, felicità.
Il protocollo
I nuovi GdG nascono da un protocollo di intesa interministeriale, siglato nel 2023 e sono annunciati dal Ministro dello sport e politiche giovanili, Andrea Abodi, come inclusivi, multidisciplinari e accompagnati da educazione all’ambiente, alla salute, all’alimentazione.
Un modo per migliorare la presenza dello sport a scuola, equiparare le ore di attività fisica alla media europea ma anche un percorso di alfabetizzazione civica e di socializzazione. Saranno finanziati con copertura statale pari a 11,03 milioni di euro in forma sperimentale per un quinquennio. E speriamo che siano veramente gli eredi del successo del passato, perché il bisogno è estremo. Oltre ai già più volte citati dati della sedentarietà ci sono altri dati allarmanti.
Lo scorso 10 ottobre si è celebrata la giornata mondiale della salute mentale. Secondo le stime dell’OMS, ansia, depressione e altri disturbi psichici saranno tra le principali patologie al mondo entro il 2030. La situazione tra i giovani è in peggioramento. L’associazione culturale pediatrica italiana afferma che, quelle psichiatriche, sono le malattie più diffuse tra bambini e adolescenti e, in crescita, sono anche i disturbi del comportamento alimentare.
Non va sottovalutata nemmeno l’incidenza statisticamente rilevante del burnout sportivo, causato dal modello agonistico attuale basato sull’iperspecializzazione precoce. E allora non ci resta che sperare che questo grande progetto interministeriale pensato in sinergia con Sport e Salute, CONI e CIP prenda il via. Sì, non ci resta che sperare perché nonostante siano stati annunciati per il nuovo anno scolastico appena iniziato, il disegno di legge che dovrà finanziarli (pur avendo già incassato il si dal Senato) è ancora in esame della commissione. Se non faranno presto, quelli che nasceranno saranno i Giochi della Gioventù bruciata.
© Riproduzione riservata