La vicenda era stata per mesi al centro della nostra inchiesta, sostenuta dai lettori di Domani, sulla violenza nella chiesa italiana. Il sacerdote, condannato a 4 anni e 6 mesi più l’interdizione perpetua dall’insegnamento, «ometteva qualsivoglia, seria iniziativa a tutela dei minori della sua comunità e dei loro genitori». La Curia giudicata responsabile civile. Prima della decisione dei giudici, papa Francesco aveva difeso il vescovo
«La Curia, nella persona del vescovo (Rosario Gisana, ndr), ometteva con ogni evidenza qualsivoglia, seria iniziativa a tutela dei minori della sua comunità e dei loro genitori nonostante la titolarità di puntuali poteri/doveri conferiti nell'ambito della rivestita funzione di tutela dei fedeli, facilitando l'attività predatoria di un prelato già oggetto di segnalazione»: è ciò che si legge nelle motivazioni della sentenza di primo grado che ha disposto, lo scorso 5 marzo, la condanna a 4 anni e 6 mesi per il sacerdote Giuseppe Rugolo.
Le accuse nei confronti di don Rugolo, che è stato per mesi al centro della nostra inchiesta sostenuta dai lettori sulla violenza nella chiesa italiana, sono di violenza sessuale ex articolo 609 bis e quater del codice penale (quindi su minori di 16 anni) e tentata violenza sessuale, con interdizione per cinque anni dai pubblici uffici e interdizione perpetua dall'insegnamento nella scuola di ogni ordine e grado.
Nella nostra inchiesta raccontavamo di come gli abusi sessuali di don Rugolo fossero stati coperti dalla curia vescovile della diocesi di Piazza Armerina, che infatti è stata riconosciuta come responsabile civile dai giudici e per questo motivo dovrà rispondere in solido con il sacerdote del risarcimento delle parti civili. Del resto monsignor Gisana, intercettato, ammetteva di aver «insabbiato» la vicenda.
Le omissioni della curia
Nelle motivazioni della sentenza questo elemento emerge con ancor più forza. La Curia della diocesi di Piazza Armerina, secondo i giudici di primo grado, non avrebbe colpevolmente preso le opportune precauzioni per evitare che Rugolo portasse a termine le sue condotte nei confronti di giovani che frequentavano la sua parrocchia di Enna.
«La condotta coscientemente colposa da parte del vescovo Rosario Gisana - si legge ancora nelle motivazioni - rende legittima la condanna al risarcimento del danno della Curia nella sua qualità di responsabile civile per i pregiudizi cagionati da padre Rugolo». I giudici sottolineano anche che il vescovo aveva «evidentemente autorizzato padre Rugolo come figura di riferimento dell'associazione 360 da lui fondata a operare all'interno della chiesa madre, consentendogli in tal modo con la piena compiacenza della diocesi di creare occasioni di incontro e frequentazioni con i giovani adolescenti».
Le parti ora hanno 45 giorni per proporre un eventuale appello.
Le parole del papa su Gisana
Il vescovo Gisana, tra l’altro, prima della sentenza di primo grado era stato difeso ed elogiato da papa Francesco: «Bravo, questo vescovo, bravo», disse il pontefice a novembre 2023, «è stato perseguitato, calunniato e lui fermo, sempre, giusto, uomo giusto. Per questo, quel giorno in cui andai a Palermo, ho voluto fare sosta prima a Piazza Armerina, per salutarlo. È un bravo vescovo».
Decisiva per la condanna di Rugolo è stata la denuncia di un ragazzo, all’epoca minorenne e oggi trentenne, che aveva raccontato agli inquirenti le violenze subite tra il 2009 e il 2013 dopo averli prima denunciati invano ai vertici della diocesi, Gisana compreso. La vittima «ha mostrato particolare lucidità, coerenza e logicità, offrendo un'articolata ed originale narrazione in termini congrui rispetto ai fattori spazio-temporali in cui i fatti denunciati vanno necessariamente collocati», scrivono i giudici, dando dunque piena credibilità alla vittima e agli altri giovani oggetto delle violenze.
Le violenze di Rugolo
Nell'estate del 2009 don Giuseppe ha 28 anni, è ancora seminarista e si occupa della pastorale giovanile. Antonio Messina invece ha 16 anni, è uno degli animatori del gruppo estivo di cui Rugolo è responsabile e vorrebbe entrare in seminario, ma è in una fase di confusione sulla sua identità sessuale.
Ne ha parlato proprio con don Giuseppe, che con il suo modo di fare incoraggia le confidenze dei ragazzi. Secondo quanto racconta Antonio, Rugolo approfitta di un momento in cui sono soli per costringerlo a masturbarlo: «Non c'è niente di male», gli avrebbe detto il prete per calmarlo, lo stava solo aiutando «a comprendere le sue inclinazioni». Gli approcci vanno avanti fino al 2013, quattro anni in cui il ragazzo subisce una vera persecuzione, braccato in chiesa e controllato al telefono, blandito in privato e umiliato davanti a tutti se cerca di prendere le distanze.
Quando Antonio instaura una relazione con un suo coetaneo, don Rugolo si oppone dicendo che commette peccato perché deve fare sesso solo con lui. Spaventato, soggiogato dalla personalità manipolatrice del prete, il ragazzo viene aggredito in canonica, in sagrestia, dietro l'altare prima della messa: «Sentivo di non avere via di scampo», dice agli inquirenti.
Dopo Messina, il prete continua la caccia. Nel 2015 fonda l'associazione giovanile 360, nuovo bacino di pesca per le sue conquiste: sceglie cinque o sei ragazzi, il suo “cerchio magico”, con cui instaura un rapporto informale fatto di battute sessiste, toccatine sui genitali e ritiri notturni in canonica. A uno di loro, con cui divide il letto e la doccia, regala soldi e manda messaggi pieni di cuoricini e “ti amo”, “notte principessa mia”, “amore mio”.
Il ritratto di Rugolo che emerge dall'ordinanza di custodia cautelare è di una “prima donna”: egocentrico e permaloso, distribuisce favori e punizioni a seconda dell'umore. Anna (nome di fantasia), parrocchiana sua coetanea, ricorda: «Lo trovavi nei locali a tutte le ore, beveva e fumava canne coi ragazzi, li apostrofava con “ciao puttanella, ciao coglioncello”, li chiamava al telefono per chiedergli di raggiungerlo in piena notte. Un megalomane».
Dopo la denuncia di Messina, ad aprile 2021 la gip dispone nei confronti di Rugolo gli arresti domiciliari.
La denuncia a Gisana
Nel 2014 Messina si era deciso a raccontare tutto al parroco che lo aveva visto crescere, Pietro Spina, che non gli aveva creduto. L'anno successivo si era confidato con l'attuale vicario giudiziale del tribunale ecclesiastico Vincenzo Murgano il quale gli aveva consigliato di non denunciare l'accaduto e tirare avanti senza nemmeno avvertire il vescovo.
Soltanto nel 2016 il vescovo di Piazza Armerina Rosario Gisana, finalmente avvertito da un altro parroco, convoca Rugolo che però in un primo tempo nega. Gisana temporeggia, in attesa di parlare con Messina: incontro che si concretizza dopo altri due anni.
Di fronte al racconto della vittima, che dichiara di aver subito violenze fisiche e psicologiche, il vescovo richiama il prete che, proprio alla vigilia del suo ingresso ufficiale in San Cataldo, «dopo pianti e disperazione», ammette (almeno in parte) l'abuso.
La reazione del vescovo di fronte all'evidenza rappresenta bene l'atteggiamento della Chiesa: innanzitutto il silenzio. Da un lato avvia l'indagine sulla condotta del prete, dall'altro offre alla famiglia del ragazzo 25 mila euro purché non risulti da nessuna parte che si tratta di un risarcimento per un abuso sessuale.
«Dovevano essere in contanti, il vescovo disse ai miei genitori che li avrebbe presi dai fondi della Caritas», dice Messina. «Mi chiesero di firmare una clausola extragiudiziale di riservatezza in cui, in cambio di questa somma, io mi impegnavo a non parlare più con nessuno di quanto mi era successo. Ho avuto la sensazione di essere comprato». L'accordo economico poi non si conclude.
Le intercettazioni del vescovo
In un'intercettazione pubblicata integralmente dal Mattino, il vescovo ammette il suo coinvolgimento: «Il problema è anche mio perché io ho insabbiato questa storia… eh vabbè, pazienza, vedremo come poterne uscire!».
Ma i fedeli firmano petizioni di solidarietà per il prete pedofilo e il vescovo che lo protegge, solidali con dei sacerdoti attenti a coprirsi le spalle l'un l'altro, e pazienza se a venire sacrificati sono i ragazzini. Significativo il commento del vicario generale don Antonino Rivoli che, interrogato dagli inquirenti, ammette: «Nessuno di noi pensò di dover informare l'autorità giudiziaria dato che gli abusi erano stati commessi su un minore».
A marzo 2024 è arrivata poi la condanna in primo grado per Rugolo. Adesso le motivazioni della sentenza mettono nero su bianco la condotta omissiva della Curia, con Gisana in prima fila.
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