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Le indagini della guardia di finanza di Milano (nucleo di polizia economico finanziaria) coordinate dalla procura del capoluogo lombardo hanno permesso l’emersione di somme considerevoli dovute ma non pagate nel nostro paese. Dal 2019 a oggi parliamo di quasi 2 miliardi di euro recuperati grazie ai successivi accordi con l’Agenzia delle entrate. Se il calcolo parte dal 2012 la cifra sfiora i 3 miliardi di euro.
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I nomi sono i più noti brand dell’alta moda. Negli ultimi tre anni 1,7 miliardi arrivano da tre di questi. Sono solo le ultimi e più recenti che ricadono nell’arco temporale degli ultimi cinque anni. Periodo in cui finanza e Agenzia delle entrate hanno recuperato somme stratosferiche dal bacino della moda e del lusso.
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Come raccontato da Domani nelle precedenti puntate sui “grandi evasori”, considerando anche gli altri settori (logistica, banche, assicurazioni, grande distribuzione, petrolio) nelle casse del fisco italiano sono entrati circa 4 miliardi, cifra destinata ad aumentare nel prossimo anno. Questi numeri sono riferiti al solo lavoro dei detective della finanza di Milano.
Il lusso italiano costa caro per i clienti e pure per il fisco. Ai prezzi stratosferici dei capi alla moda venduti in tutto il mondo negli anni non è corrisposto un gettito adeguato per le casse dello stato italiano.
Le indagini della guardia di finanza di Milano (nucleo di polizia economico-finanziaria) coordinate dalla procura del capoluogo lombardo hanno permesso l’emersione di somme considerevoli dovute ma non pagate nel nostro paese. Dal 2019 a oggi parliamo di quasi 2 miliardi di euro recuperati grazie ai successivi accordi con l’Agenzia delle entrate. Se il calcolo parte dal 2012 la cifra sfiora i 3 miliardi di euro.
I nomi sono i più noti brand dell’alta moda. Negli ultimi tre anni 1,7 miliardi arrivano da tre di questi: famiglia Loro Piana e il gruppo Kering con Gucci e Bottega Veneta. È solo una parte della squadra di eccellenze italiane, alcune delle quali transitate in mani straniere.
Sono solo le ultime e più recenti che ricadono nell’arco temporale degli ultimi cinque anni. Periodo in cui finanza e Agenzia delle entrate hanno recuperato somme stratosferiche dal bacino della moda e del lusso.
Come raccontato da Domani nelle precedenti puntate sui “grandi evasori”, considerando anche gli altri settori (logistica, banche, assicurazioni, grande distribuzione, petrolio), nelle casse del fisco italiano sono entrati circa 4 miliardi, cifra destinata ad aumentare nel prossimo anno. Questi numeri sono riferiti al solo lavoro dei detective della finanza di Milano.
Alle indagini di finanza e procura sono seguite le trattative e gli accordi con l’Agenzia delle entrate, che mirano a incassare somme sicure e garantire entrate sicure negli anni successivi sulla base di un quadro chiaro di regole da rispettare sulla tassazione degli utili prodotti in Italia da società che operano con sedi estere.
Loro Piana
È il simbolo del cachemire italiano nel mondo. E dell’eleganza. Apprezzato ovunque e da chiunque, persino da Vladimir Putin che si presentò sul palco dello stadio di Mosca dopo l’inizio della guerra in Ucraina con un giubbotto Loro Piana del valore di 12mila euro.
Grande imbarazzo, la famiglia Loro Piana prese addirittura le distanze pubblicamente e attaccò duramente il presidente russo. Ma questo serve a capire la dimensione internazionale del marchio italiano passato di mano per l’80 per cento al colosso francese della moda e del lusso Lvmh, fondato e diretto dal magnate Bernard Arnault.
La vendita della maggioranza ha prodotto un ricavo per la famiglia Loro Piana di 2 miliardi di euro. Su questa operazione finanziaria conclusa nel 2013 però si sono accesi i riflettori della guardia di finanza di Milano, della procura di Milano e dell’Agenzia delle entrate. L’ipotesi è che Loro Piana non avesse dichiarato in Italia gran parte di quel profitto, mancava all’appello un imponibile di 1,5 miliardi di euro.
Alla fine a marzo 2022 è stato trovato l’accordo con l’Agenzia delle entrate. La famiglia Loro Piana ha versato 195,9 milioni di euro per chiudere la partita fiscale. Il gruppo francese ha invece precisato di non entrarci nulla con le contestazioni fiscali, che riguardavano solo i Loro Piana.
Kering
Un altro famoso miliardario francese ha dovuto versare al fisco italiano una somma record.
La più alta mai incassata dall’Agenzia delle entrate a seguito di un contenzioso. È il proprietario del gruppo Kering, che tra il 2019 e il 2022 ha siglato una pace da 1,5 miliardi circa: 1,25 miliardi pagati per mettere a posto le accuse sul marchio Gucci, 186,7 milioni per sanare gli illeciti dell’altra maison celebre in tutto il pianeta, Bottega Veneta. Entrambi di proprietà del gruppo francese Kering, il colosso di François-Henri Pinault, il 32esimo uomo più ricco al mondo secondo Forbes. Oltre a Gucci e Bottega Veneta, il gruppo di Pinault controlla Yves Saint Laurent, Balenciaga, Alexander McQueen, Pomellato, Dodo.
Il primo accordo sul marchio Gucci è stato firmato con il fisco il 9 maggio 2019: Kering ha definito con l’Agenzia delle entrate alcune contestazioni mosse alla propria controllata svizzera Luxury Goods International S.A. (Lgi). Parte dei rilievi mossi in sede di verifica riguardava la sussistenza di una stabile organizzazione in Italia nel periodo tra il 2011 e il 2017.
In pratica è stata riscontrata un’evasione sugli utili prodotti in Italia. La cifra sborsata è stata pari, appunto, a 1,25 miliardi, così suddivisi: una maggiore imposta pari a 897 milioni di euro, il resto sono sanzioni e interessi.
Tre anni dopo Kering, sempre tramite la svizzera Lgi, ha firmato un secondo piano per far cadere le contestazioni del fisco italiano. In questo caso la faccenda ha riguardato la divisione Bottega Veneta della holding svizzera: pace fatta con 186,7 milioni di euro.
Lgi era diventata titolare di tutte le funzioni aziendali di ideazione, sviluppo e commercializzazione, logistica e customer care della pelletteria del marchio veneto nato nel 1966.
Lgi, però, attraeva a sé tutto il valore aggiunto con i relativi utili prodotti dalle vendite e dalle operazioni in tutto il mondo. E allo stato elvetico pagava le tasse sul reddito d’impresa, anche su quello creato in Italia. Nel caso di Gucci (sempre Lgi) l’aliquota andava tra il 7 e il 12,5 per cento: quella in vigore in Italia, tra Ires e Irap, sfiorava il 30 per cento negli anni oggetto dell’indagine.
Anche Bottega Veneta secondo i magistrati di Milano «aveva conseguito in territorio elvetico un ingente risparmio d’imposta», con un tax ruling stipulato con la Svizzera da Lgi, con il vantaggio di pagare un’aliquota media del 7,87 per cento.
Alla nostra richiesta di commento il gruppo Kering non ha dato seguito. Aveva però replicato dopo l’apertura dell’indagine della finanza: «Nella primavera del 2019 Bottega Veneta ha avviato proattivamente una conversazione con l’Agenzia Italiana delle Entrate circa la propria posizione fiscale. Questo accordo è il risultato di tale conversazione».
Le indagini prima e gli accordi successivi con l’Agenzia delle entrate hanno permesso di definire per il futuro le modalità per non incorrere in sanzioni future e versare il giusto allo stato italiano.
Una garanzia per l’erario, che va al di là delle multe miliardarie pagate nell’immediato. (4. fine)
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