Il tema dei servizi per l’infanzia in Italia compare in questi giorni nel dibattito politico intorno agli obiettivi del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). Il 18 marzo il capo struttura economica della Banca d’Italia, Roberto Torrini, davanti alla Commissione parlamentare per le questioni regionali, ha ribadito l’importanza dei livelli essenziali delle prestazioni (Lep) che «possono assicurare parità di trattamento fra i cittadini indipendentemente dal luogo di residenza, calibrando l’erogazione dei servizi pubblici sulla base delle esigenze di ciascuna comunità». L’indagine Bankitalia riguarda gli ambiti di sanità, nido e assistenti sociali e ricorda che i Lep devono essere accompagnati da infrastrutture adeguate e risorse umane qualificate. Ma così come l’offerta sanitaria non è uniforme sul territorio in termini di spesa, personale e posti letto, di qualità e quantità delle prestazioni, allo stesso modo nell’ambito dei servizi 0-2 si stima che circa un quinto dei posti finanziati dal Pnrr riguardano enti che già nel 2021 superavano il Lep.

Nel caso in cui i posti finanziati fossero interamente realizzati, le differenze territoriali si attenuerebbero, ma il Lep non sarebbe comunque conseguito nelle regioni del Mezzogiorno. Dei progetti censiti nella piattaforma ReGiS per i quali è noto lo stato di attuazione (ossia 2.759 su 3.199), il 9 per cento risulta ancora da avviare, l’88 per cento in corso di esecuzione e il 3 per cento concluso.

Il ritardo del sud

Lo scorso anno, con la presentazione del Piano di bilancio strutturale a medio termine (Psnmt), il governo si è impegnato a raggiungere obiettivi meno ambiziosi di quelli indicati come Lep, prospettando un tasso di copertura minimo del 33% a livello nazionale (anziché locale, riducendo le ambizioni e lasciando irrisolti i divari regionali) e del 15% a livello regionale, nonché un incremento della spesa corrente pari ad almeno il 20 per cento rispetto al 2021. Se tutti i fondi previsti nella legislazione vigente venissero spesi questi obiettivi sarebbero alla portata, ma pesano i ritardi.

Perciò la Cgil denuncia il rischio di un fallimento intollerabile. Secondo un report pubblicato il 28 marzo, solo il 21,2% dei fondi destinati ai servizi per l’infanzia è stato speso, e appena il 3,7% delle opere è stato completato. A dicembre 2024, il 57,2% dei lavori era in corso, il 13,8% non ancora avviato, e il 22,5% in ritardo. Le regioni del Sud, con una copertura dei servizi per la prima infanzia fino al 13,7%, sono le più colpite dai ritardi. Il governo, finora, non ha garantito la spinta necessaria per recuperare i ritardi e raggiungere gli standard europei. La recente rimodulazione del Pnrr ha ridotto gli obiettivi regionali, mantenendo irrisolti i divari territoriali e penalizzando ulteriormente il Mezzogiorno. Inoltre, i tagli agli enti locali previsti dalla legge di bilancio 2025 aggravano il problema delle risorse per la gestione ordinaria. La scadenza del Pnrr nel 2026 pone infine ulteriori pressioni sul completamento delle opere.

Le difficoltà di gestione

Un decreto ministeriale del 17 marzo ha stanziato 819,7 milioni di euro per nuovi interventi. Con una procedura innovativa sulla base dei dati Istat, l’accesso ai fondi privilegerà i comuni con una copertura del servizio nella fascia 0-2 anni inferiore al 33%, «assicurando almeno la percentuale minima di riserva per i comuni del Mezzogiorno». Ma i tempi per la presentazione delle manifestazioni di interesse da parte dei comuni sono strettissimi.

Secondo dati Istat 22/23, in media solo il 30% dei bambini italiani ha accesso ai servizi, il Lazio è al sesto posto tra le regioni con una percentuale del 37,9 %, la Campania all’ultimo con il 13,7%. In una molteplicità di esperienze più o meno virtuose di amministrazioni che in ogni caso con grandi sforzi gestiscono successi e insuccessi, prendiamo due esempi nel Lazio: c’è il caso di nuova apertura di un nido nel V municipio di Roma con una struttura dotata di pannelli fotovoltaici e impianto di riscaldamento a pavimento, un modello di rigenerazione urbana; e invece l’esempio del nido di via Foce Micina a Fiumicino, che, pur ristrutturato, è stato esternalizzato a causa della difficoltà del comune di una gestione diretta. Questa tendenza all'esternalizzazione rischia di compromettere la qualità dei servizi, aumentando le disuguaglianze tra territori che nonostante le risorse messe in campo non riescono a realizzare servizi integrati e di alta qualità.

Al Sud meno del 20% dei bambini ha accesso ai servizi 0-3 anni, rispetto all’obiettivo europeo del 33% del 2010 e del 45% entro il 2030. Queste disuguaglianze territoriali, la carenza di formazione specifica per il personale educativo, le difficoltà di una governance frammentata tra Stato, regioni e comuni e la mancanza di un riconoscimento istituzionale pieno della fascia 0-3 anni sono sfide che richiedono un intervento urgente.

La promessa dello 0-6

Raggiungere l’obiettivo richiede non solo un investimento nell’edilizia, ma l’attivazione di ingenti investimenti annuali per la gestione corrente: assumere personale, che vuol dire però assumere personale qualificato. Anche dal punto di vista professionale, c’è un passaggio di transizione importante e sottovalutato. Nonostante il Dlgs 65/2017 (articolo 1, commi 180 e 181, lettera e, della L.107/2015) abbia previsto l’istituzione del Sistema integrato di educazione e istruzione dalla nascita sino a sei anni, c’è ancora una visione frammentata dell'educazione nella prima infanzia, sia per governance, sia per competenze e formazione professionale, sia per cultura, sia per risorse. Il sistema integrato prevede l’istituzione di poli educativi, plessi o edifici vicini, pensati per favorire l’integrazione e la costruzione di un prescolare, ma quale riscontro ne abbiamo nell’attuazione del Pnrr?

Il sistema integrato fa difficoltà a partire e nonostante le Linee pedagogiche 0-6 del 2021 e gli Orientamenti nazionali per i servizi educativi per l’infanzia del 2022 ne abbiano definito caratteristiche, fondamenta e legittimità, le Nuove indicazioni 2025 Scuola dell’infanzia e Primo ciclo di istruzione pubblicate l’11 marzo scorso, che stanno suscitando preoccupazioni tra esperti per ragioni di forma e contenuti, continuano a escludere la fascia 0-3 anni dal sistema educativo, dimenticando completamente l’importanza di un’educazione che inizi fin dalla nascita e di un prescolare 0-6 che deve essere riconosciuto.

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