Dal primo ministro al re del Belgio, dalle vittime al mondo accademico, sono diversi gli attori sociali che hanno chiesto a Francesco di fare pulizia sul serio dentro la chiesa. Il precedente dell’ex vescovo di Bruges Roger Vangheluwe. Il pontefice: «Questo crimine è dentro la chiesa, dobbiamo chiedere perdono e cercare di risolvere questa situazione»
Dopo la breve tappa in Lussemburgo il 46esimo viaggio apostolico del papa ha toccato il Belgio, paese in cui la chiesa vive una doppia profonda crisi causata da una parte dal processo di secolarizzazione della società, dall’altra dallo scandalo degli abusi sessuali sui minori commessi da rappresentanti del clero.
E proprio questo secondo aspetto della questione è stato al centro della visita del pontefice a Bruxelles e dintorni. Anzi, si può dire che dal primo ministro, al re, alle stesse vittime, tutti hanno chiesto a Francesco di rompere il muro dell’omertà, dei silenzi, e di passare dalle parole ai fatti.
Il papa, da parte sua, ha risposto usando parole di condanna ferme e chiare, ma non è detto che questo sia bastato a un’opinione pubblica che, sul tema, resta diffidente – e non senza ragione - verso la chiesa.
Lo scontro sul vescovo di Bruges
Solo di recente infatti, lo scorso 21 marzo, è stato dimesso dallo stato clericale, l’ex vescovo di Bruges, Roger Vangheluwe, che di dimise dalla carica nel 2010 dopo aver ammesso di aver abusato sessualmente di suo nipote per 13 anni.
Ci sono voluti però 14 anni perché la chiesa lo cacciasse via, a ridosso della visita papale in Belgio, mentre la nunziatura diffondeva un comunicato nel quale si spiegava che il Dicastero per la dottrina della fede aveva riaperto il caso dopo che erano giunte nuove informazioni relative ad altri abusi che l’ex vescovo avrebbe commesso.
Una vicenda che aveva provocato anche una frattura fra i vescovi belgi e il vaticano, in una nota diffusa subito dopo la riduzione allo stato laicale di Vangheluwe, dalla conferenza episcopale, si leggeva infatti: «I vescovi del nostro paese hanno sempre ritenuto, insieme alle vittime degli abusi e a molte altre persone della nostra società, che fosse vergognoso che Roger Vangheluwe avesse potuto rimanere ufficialmente vescovo e sacerdote, nonostante le misure molto restrittive messe in atto dalle sue dimissioni forzate».
Un esplicito atto d’accusa verso la Santa Sede.
Passi concreti
Così nel primo incontro ufficiale avuto in Belgio dal papa, quello con le autorità politiche e civili, il premier Alexander De Croo ha detto rivolgendosi a papa Franceso: «Dobbiamo tentare di risolvere questi casi senza tacerli, non basta parlarne», «bisogna compiere dei passi concreti, è necessario fare tutto il possibile».
Anche il re Philippe del Belgio ha usato parole non di circostanza: «Dei bambini sono stati orribilmente feriti, segnati per la vita. Lo stesso dicasi per le vittime di adozione forzata. C'è voluto così tanto tempo perché le loro grida venissero ascoltate e riconosciute. C'è voluto così tanto tempo per cercare la via, per 'riparare' l'irreparabile».
Quindi, quando il papa si è recato all’università cattolica di Lovanio, il rettore, Luc Sels, in un articolato discorso di benvenuto a Francesco, fra le alte cose ha detto: «La chiesa si trova di fronte a un compito immenso. Lo shock degli abusi sessuali e il modo in cui sono stati affrontati, correttamente o meno, in passato, indeboliscono l'autorità morale con cui la chiesa può esprimersi nel nostro mondo occidentale. Per ripristinare, almeno un po’, la fiducia che è stata spezzata, è necessario un dialogo onesto, impegnato e cordiale con le vittime, riconoscendo apertamente gli errori commessi».
chiesa peccatrice
Franceso, da parte sua, di fronte alle autorità del paese, aveva detto, parlando a braccio: «Fratelli e sorelle, questa è la vergogna! La vergogna che oggi tutti noi dobbiamo prendere in mano e chiedere perdono e risolvere il problema: la vergogna degli abusi, degli abusi minorili. Noi pensiamo al tempo dei santi Innocenti e diciamo: "Oh che tragedia, cosa ha fatto il re Erode”, ma oggi nella stessa chiesa c’è questo crimine e la chiesa deve vergognarsi e chiedere perdono, e cercare di risolvere questa situazione con l’umiltà cristiana».
Quindi aveva insistito su una questione: la doppia natura della chiesa che è santa e peccatrice. «La chiesa è peccatrice, è santa e peccatrice. In questa perenne coesistenza fra santità e peccato – aveva detto il papa parlando di abusi - questa coesistenza di luce e ombra, vive la chiesa, con esiti spesso di grande generosità e splendida dedizione, e a volte purtroppo con l’emergere di dolorose contro-testimonianze».
Un passaggio meno scontato di quel che possa sembrare. Secondo una certa tradizione infatti, i peccati sono commessi dai figli della chiesa, poiché quest’ultima è da considerarsi sempre santa, ora Francesco ha definito anche la chiesa peccatrice. Il papa, poi, dovrebbe aver incontrato, ma ancora non c’è una conferma ufficiale in tal senso, anche 15 persone sopravvissute ad abusi commessi da rappresentanti del clero e dei religiosi.
E anzi proprio un gruppo di loro ha indirizzato a Bergoglio una lettera nella quale fra l’altro si afferma: «Mai prima d'ora ti sei rivolto a noi - i sopravvissuti - come gruppo, in tutto il mondo...L’abuso sessuale nella chiesa cattolica non è mai stato un’eccezione, ma una pratica diffusa. Negli anni '50, '60 e '70 avvennero in massa», dagli anni '80 ad oggi – scrivono ancora le vittime, gli abusi sono continuati, certo in misura minore, ma «semplicemente perché ci sono meno preti».
Le adozioni forzate
Importante, infine, anche la risposta che il papa ha dato sul tema delle adozioni forzate, sempre nel discorso davanti alle autorità del Paese. Francesco si è riferito a un fenomeno che tra gli anni '50 e '70 ha visto la complicità della chiesa. «In quelle spinose storie si mescolò l'amaro frutto di un reato e di un crimine - ha sottolineato il pontefice - con ciò che era purtroppo l'esito di una mentalità diffusa in tutti gli strati della società, tanto che quanti agivano in base ad essa ritenevano in coscienza di compiere il bene, sia del bambino sia della madre».
«Spesso – ha aggiunto - famiglia e altri attori sociali, compresa la chiesa, hanno pensato che per togliere lo stigma negativo, che purtroppo a quei tempi colpiva la madre non sposata, fosse preferibile per il bene di entrambi, madre e bambino, che quest'ultimo venisse adottato». Bergoglio in proposito ha ricordato anche che «ci furono persino casi nei quali ad alcune donne non venne data la possibilità di scegliere se tenere il bambino o darlo in adozione».
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