Il vuoto normativo che coinvolge il volontariato e la chiesa, i limiti del certificato antipedofilia, l’assenza dell’obbligo di denuncia per tutti e di dati nazionali: l’impressione è che nel nostro paese non si voglia conoscere l’entità degli abusi del clero
Il sistema di protezione dei minori dagli abusi sessuali in Italia è particolarmente fragile. Le leggi sulla carta in parte ci sono, ma certo la volontà di fare sul serio fino a ora non è emersa.
Secondo uno studio di Rete l’abuso che verrà presentato oggi, dal 2000 ad oggi si contano circa 1.200 preti che sono stati coinvolti in molestie sessuali sui minori, ma è un dato ottimistico. Il problema è che finora non è mai stata condotta un’indagine nazionale con criteri scientifici e statistici adeguati tale per disegnare un quadro generale su una tematica che, per sua stessa natura, tende a rimanere sommersa.
Si pensi solo a quanto è difficile per un minore, bambino o ragazzo, denunciare un abuso subito o semplicemente parlarne con qualcuno. Per questo la conoscenza della realtà è fondamentale, anche per capire la reale entità dei reati commessi.
È questo uno dei punti, fra gli altri, sui quali batte da tempo l’associazione Rete l’abuso, impegnata da anni nella denuncia dei reati di abuso commessi dai preti e nella messa a punto di una aggiornata banca dati degli abusatori e delle vittime dei pedofili in ambito ecclesiale. Ora, però, l’associazione guidata da Francesco Zanardi ha deciso di andare oltre e ha lavorato a un “report” che affronta il tema non limitandosi allo scandalo nella chiesa.
Numeri da rivedere
La vulgata vuole che la maggior parte degli abusi avvenga in famiglia, ma mancano i numeri per un raffronto reale con quanto avviene nelle scuole, nelle associazioni sportive e ricreative, nelle parrocchie. Certo, in Italia è stato istituito dal 2006 (anche se la legge cui fa riferimento è del 1998) un Osservatorio per il contrasto della pedofilia e della pornografia minorile.
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Attualmente si trova sotto il ministero delle Politiche per la famiglia e, ciclicamente, viene ricostituito nella sua composizione. L’ultima a farlo è stata la ministra Eugenia Roccella nel giugno scorso. Ma, guardando da vicino la storia quasi ventennale di questo organismo, si ha l’impressione di una struttura che vive soprattutto sulla carta.
Fra i compiti dell’Osservatorio c’è anche quello di redigere una relazione annuale sul fenomeno pedofilia nel suo complesso e presentarla al parlamento. Nella relazione del 2021 i dati raccolti si basano essenzialmente sulle denunce arrivate alle forze di sicurezza, cioè la punta dell’iceberg del problema. Ma, secondo i dati dell’Organizzazione mondiale della sanità risalenti a qualche anno fa, in Europa, il 9,6 per cento dei bambini subisce abusi sessuali. Cioè circa 18 milioni di minori.
L’Italia e la chiesa
C’è comunque, in questa storia, un punto di svolta. Nel 2019 il comitato delle Nazioni unite per i diritti dell’infanzia ha pubblicato le sue raccomandazioni all’Italia dopo aver svolto una serie di audizioni con istituzioni e realtà associative, fra le quali Rete l’abuso.
Fra le varie indicazioni ve n’era una assai significativa, con la quale si chiedeva al nostro paese di «modificare la legislazione che attua la Convenzione di Lanzarote in modo da garantire che non escluda il volontariato, compreso il personale religioso della chiesa cattolica, dai suoi strumenti di prevenzione e protezione».
L’Italia, pur avendo recepito la Convenzione per la protezione dei minori nel 2012, aveva poi “aggiustato” la legge nel 2014, escludendo il volontariato e la chiesa dall’obbligo di presentare il certificato antipedofilia per chi lavorava a stretto contatto con i minori. La norma restava in vigore solo per chi era dipendente in senso formale.
Ancora, il comitato dell’Onu indicava la necessità di «istituire una Commissione d’inchiesta indipendente e imparziale per esaminare tutti i casi di abuso sessuale di bambini da parte di personale religioso della chiesa cattolica». Raccomandazione che conserva la sua validità e che potrebbe essere estesa al fenomeno nel suo complesso.
D’altro canto, il comitato rilevava come, a fronte di «numerosi casi di bambini vittime di abusi sessuali da parte di personale religioso della chiesa cattolica nel territorio dello stato membro», fosse particolarmente «basso il numero di indagini criminali e azioni penali da parte della magistratura italiana».
Ancora, si chiedeva di rendere obbligatoria per tutti la denuncia «di qualsiasi caso di presunta violenza su minori alle autorità competenti», superando il limite imposto dalla legge attuale che prevede l’obbligo solo per un pubblico ufficiale. Ma, se certamente la chiesa, con le sue omissioni, resta il grande convitato di pietra istituzionale di questa vicenda, è evidente che il problema ha una consistenza assai più ampia e, semmai, quanto avviene in rapporto alla chiesa, è la spia di un modo di agire più generale che investe la società italiana nel suo complesso.
Ne è riprova la clamorosa protesta messa in scena dai fedeli di Enna, in Sicilia, presso due chiese: la parrocchia di San Giuseppe e il santuario di Valverde, dove, lo scorso 23 agosto, officiavano prelati coinvolti nella vicenda di don Giuseppe Rugolo, il sacerdote condannato a 4 anni e mezzo di carcere per violenza sessuale aggravata a danno di minori.
Una protesta silenziosa si è svolta anche davanti alla cattedrale di Piazza Armerina, la diocesi guidata da don Rosario Gisana che sarebbe stato a conoscenza degli abusi di don Rugolo e lo avrebbe coperto. Intanto ieri il papa ha allontanato, in Germania, il vescovo ausiliare della diocesi di Hildesheim, Heinz-Günter Bongartz, 69 anni. Era accusato da un parroco di aver coperto gli abusi su minori da parte di un sacerdote.
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