«Chissà che il mio futuro mi riserverà cose belle come stasera e sicuramente migliori». A scrivere queste parole tra il 19 e il 20 aprile del 1996 è Andrea Soldi, giovane torinese a cui qualche anno prima era stata diagnosticata la schizofrenia. Quasi vent’anni dopo, in un’afosa giornata di agosto del 2015, a spezzare la sua vita saranno le braccia di tre agenti della polizia municipale nel tentativo di praticargli un Trattamento sanitario obbligatorio (Tso) che, sottolinea la sorella Maria Cristina, si trasformerà in un arresto.

È una delle storie che Domani ha scelto di raccontare in questa serie di tre puntate dal titolo “Divise violente”: vicende del recente passato, narrate anche attraverso un mini documentario disponibile sul nostro sito.

Attraverso le testimonianze dei familiari e di chi è sopravvissuto alla brutalità di pestaggi da parte delle forze dell’ordine, sarà un viaggio nel coraggio di chi ancora oggi chiede verità e giustizia. «Lo premetto sempre, non sono contro le forze dell’ordine, ma contro le persone che hanno torturato e ucciso mio fratello», dice a Domani Maria Cristina Soldi, la sorella di Andrea.

“Andreino”

Andreino, come lo chiamavano in famiglia, è un ragazzo pieno di vita con una passione sfegatata per la squadra di calcio del Toro. Dopo un’adolescenza tranquilla passata ad ascoltare i racconti del padre Renato, con un trascorso in Marina a bordo della fregata Duca degli Abruzzi, parte per fare il servizio militare nel gennaio del 1990. Durante quegli anni, che per lui segnano la coronazione del suo sogno, Andrea inizia a stare male.

Al giuramento a Torino è magro e non più solare come una volta. Poi il 7 dicembre dello stesso anno il padre e la sorella, che non ricevono stranamente sue notizie da una settimana, decidono di andarlo a cercare in caserma. Lì i commilitoni lo troveranno disteso sulla branda con lo sguardo assente. Come emergerà dal suo diario, ritrovato dopo la morte, Andrea stava vivendo la sua prima crisi catatonica.

«Il mio tempo trascorrerà contando i giorni, i minuti, i secondi fin quando migliorerò», così definisce lui quegli anni. Il miglioramento con il tempo, nonostante il persistere delle allucinazioni, arriva grazie all’assistenza privata. Andrea, intanto, inizia a lavorare nella ditta del padre, ricomincia ad andare allo stadio e va a vivere da solo in un appartamento di famiglia. Quest’apparente normalità dove alle crisi, mai sfociate in violenza, si contrappone la lucidità dei suoi pensieri messi su carta, viene turbata nel 2012.

Con il cambio di residenza arriva un nuovo psichiatra che, stando alle ricostruzioni della famiglia, si limita a somministrare i farmaci senza dargli un supporto psicologico. Da qui le giornate di Andrea diventano sempre più monotone. Lui si fa più cupo, smette di lavorare, ingrassa e decide di non prendere più le medicine. Aumentano le notti insonni e l’unico posto dove trova un po’ di pace diventa una panchina in piazza Umbria. Qui, circondato dai bambini, si assopisce tutti i pomeriggi.

La fine

Ed è proprio lì che si trova alle due e mezza del 5 agosto del 2015 quando il padre lo indicherà al suo medico, il dottor Carlo Della Porta. Quest’ultimo, affiancato da un infermiere e dagli agenti della polizia municipale Botturi, Vair e del Monaco, si trova lì per eseguire un Tso dopo sette mesi di sollecitazioni da parte di Renato.

Fino a quel momento, tutti i trattamenti sanitari obbligatori che erano partiti per lui si erano poi trasformati in ricoveri volontari visto che lo stesso era consapevole di stare male. Della Porta prova a convincerlo a farsi curare, lui rifiuta. Alla sua voce si alternano quella dell’infermiere e quella di un altro psichiatra, giunto dopo sul posto.

Andrea è calmo, in lui non c’è alcuna traccia di aggressività. Si avvicinano anche gli agenti e, a un suo ulteriore diniego, Botturi e Vair lo afferrano a destra e a sinistra mentre Del Monaco, da dietro la panchina, cerca di immobilizzarlo cingendolo intorno al collo con quello che lui definirà «una specie di abbraccio».

Il volontario che quel giorno guidava l’ambulanza, invece, riferirà che «il Tso è stato un po’ invasivo. Lo hanno preso al collo, lo hanno fatto un po’ soffocare». Andrea viene poi buttato sul selciato e caricato sull’ambulanza con il viso sprofondato nel cuscino e con le manette ai polsi, come documentano le foto scattate da un ex carabiniere. Alle 16:13, dopo vari tentativi per rianimarlo, il cuore di Andrea smette di battere. Il dottor Della Porta chiama il padre in ospedale spiegandogli che il figlio aveva avuto un infarto per il troppo caldo.

Ma, stando all’autopsia e alle diverse testimonianze di chi aveva assistito alla scena in piazza Umbria, a provocare la morte di Andrea furono unicamente le manovre messe in atto quel pomeriggio dagli agenti e dal medico. I quattro imputati, accusati di omicidio colposo, sono stati condannati a un anno e sei mesi di reclusione.

Come sostiene Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia: «L'uccisione di Andrea Soldi è uno dei tragici esempi di pezzi dello stato che, anziché prendersi cura delle debolezze, vi si accaniscono. In questo caso, un Tso non autorizzato dal sindaco, eseguito in modo crudele e non professionale, ha causato la morte di un ragazzo buono e innocuo. La sorella e il padre hanno lottato per quasi nove anni, affiancate da Amnesty International e altre associazioni per i diritti umani, per veder confermate in Cassazione, nel 2022, le condanne dei quattro responsabili».

«Il tempo passa ma io sono rimasto il ragazzino a cui piaceva ridere, giocare e stare con voi» scriveva Andrea in una lettera al padre nel 2006. Con la speranza di rivedere lo stesso sorriso contagioso di Andrea sulla bocca di qualcun altro, la sorella Maria Cristina e il padre Renato hanno avviato un progetto per far raggiungere un’autonomia lavorativa ai giovani in condizione di fragilità.

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