Il 10 ottobre l’Oms ha istituito il World mental health day, che quest’anno si concentra sulla connessione tra lavoro e salute mentale. In Italia sono ancora molti i problemi legati a questo tema, ma questo è sempre meno un tabù
Oggi, 10 ottobre, è il World mental health day, istituito dall’Organizzazione mondiale della sanità «per aumentare la consapevolezza sui problemi legati alla salute mentale in tutto il mondo e per mobilitare l’impegno per supportare la salute mentale».
Per la giornata mondiale del 2024, l’Oms intende in particolare concentrare l’azione di sensibilizzazione sul legame che esiste tra salute mentale e lavoro. Un ambiente sano di lavoro può infatti funzionare come «un fattore di protezione» per la salute mentale. Allo stesso tempo, situazioni negative in ambito lavorativo come la stigmatizzazione, la discriminazione, la possibilità di subire molestie o violenze e molte altre cose possono invece, secondo l’Organizzazione, essere dei grossi fattori di rischio per il benessere mentale delle persone e possono influire sulla qualità della vita e di conseguenza anche sulle prestazioni di lavoratori e lavoratrici.
Inoltre, alcune tendenze emerse particolarmente dalla fine della pandemia da Covid-19, hanno messo in luce come le persone, nello specifico quelle giovani, siano sempre meno disposte a dedicare tutta la loro vita alle proprie mansioni lavorative, eliminando ogni altra occasione di socialità e avendo quindi effetti negativi sulla propria salute psicologica.
Già nel 2022, la stessa Oms aveva pubblicato delle linee guida per preservare la salute mentale sul luogo di lavoro, nelle quali si rendeva noto che, nel 2019, si stimava che il 15 per cento degli adulti in età da lavoro avesse dei disturbi legati alla salute mentale come ansia o depressione nel mondo. Questo prima ancora che la pandemia costringesse gran parte della popolazione mondiale dentro le proprie case, con effetti amplificatori su ansia, depressione o fatiche nella socializzazione.
In Italia
Nel nostro paese la salute mentale è rimasta per molto tempo un tabù, così come l’affidarsi a figure professionali come quelle di psicologi, psicoterapeuti o psichiatri per tutelare la propria condizione psicologica o per affrontare le varie difficoltà che ogni giorno si presentano nella vita di ognuno.
Negli ultimi anni questo stigma è venuto sempre meno e si è diffusa molta più consapevolezza, in particolare tra i e le giovani, soprattutto appartenenti alla generazione Z. A una crescente domanda di attenzione per la salute mentale non è ancora corrisposta però un’adeguata risposta da parte delle istituzioni, soprattutto nell’ambito delle politiche pubbliche in favore di questa tutela.
Nel 2022 il governo Draghi ha stanziato 25 milioni di euro per istituire un bonus per il supporto psicologico, che poteva essere usato dagli assegnatari presso i terapeuti che si fossero iscritti al programma. Vista la crescente necessità e l’attenzione sul tema, le domande sono state fin da subito tantissime, 395mila, e i fondi hanno potuto coprirne soltanto il 10,5 per cento, ovvero 41.600.
Ci sono stati ritardi nei pagamenti dei professionisti e delle professioniste. Coloro che fanno terapia attraverso piattaforme online non hanno potuto aderire al programma e in generale è stato registrato un eccessivo impegno burocratico.
Negli anni successivi il governo Meloni ha prima stanziato 5 milioni per il 2023 e poi 8 milioni per il 2024, a cui si sono aggiunti con un emendamento al decreto Omnibus 2 milioni nei giorni scorsi. Il risultato è stato che, a fronte di un aumento ulteriore delle richieste – 800mila in due anni –, il numero di persone che hanno potuto beneficiare dello strumento si è sensibilmente ridotto.
Questo non ha fatto che rendere ancora più evidente la necessità di non ricorrere a una soluzione di emergenza come un bonus, ma di mettere in piedi soluzioni strutturali da parte dello stato.
Misure statali
Per questo motivo alcune regioni hanno cominciato a fare delle sperimentazioni per la figura dello psicologo di base, o psicologo delle cure primarie.
Il o la professionista in questione sarebbe una figura a disposizione delle Asl e delle case di comun che lavora in comunicazione con i medici di base per intercettare i casi in cui serve un aiuto di tipo psicologico o in cui serve avere conoscenze e competenze per indirizzare le persone verso le figure professionali adatte ad affrontare i diversi casi. Ad attivarsi (con fondi ancora insufficienti) sono state in particolare Piemonte, Liguria, Lombardia, Emilia-Romagna, Toscana, Abruzzo, Campania, Puglia, Calabria e Sicilia. ità
A livello nazionale invece una legge ancora non esiste. Varie proposte sono state presentate. A novembre scorso – quasi un anno fa – la commissione Affari sociali della Camera le ha messe insieme adottando un testo unificato, che però è poi rimasto bloccato. Inoltre, i fondi di cui si è finora parlato per finanziare questa legge, si attestano sui 20-30 milioni.
Pur essendo un tipo diverso di misura, salta all’occhio il fatto che la cifra sia simile a quella inizialmente stanziata per il bonus, risultata irrisoria in confronto alla domanda.
Un iter simile ha interessato l’istituzione dello psicologo a scuola, strumento messo in funzione da diverse regioni, che però ancora non vede realizzata una legislazione statale. Questo nonostante i problemi successivi alla pandemia citati sopra siano stati particolarmente pesanti per ragazzi e ragazze. Tra l’altro, fra i giovani sono in aumento i casi di pensieri e tentativi suicidari, che manifestano ancora di più un bisogno di attenzione verso il proprio stato di salute psicologica.
Il tema della salute mentale va inoltre a toccare numerosi altri ambiti della vita e della società. Vanno per esempio incontro a grandi difficolta i e le caregiver, spesso donne, che portano avanti un lavoro di cura dei propri famigliari molto logorante e poco tutelato, non semplice da affrontare per lunghi periodi.
Questioni di genere
O ancora, il tema si inserisce nelle questioni legate ai ruoli di genere nella nostra società. Il peso del lavoro di cura nei confronti delle famiglie e delle case, per esempio, ricade spesso sulle donne. Sono spesso le donne a lasciare il lavoro all’arrivo di un figlio o di una figlia, o ad essere licenziate nel caso di una gravidanza. A quest’ultima sono poi connessi vari rischi: la depressione post-partum, la violenza ostetrica, l’eventuale insorgenza di aborti spontanei, tra gli altri.
Anche la violenza sulle donne è strettamente connessa alla salute mentale. Per esempio, oltre a crescere in una società violenta e che svantaggia le donne in modo sistemico, i ragazzi diventano adulti spesso senza saper riconoscere, leggere, interpretare e affrontare le proprie emozioni, le proprie paure e le proprie difficoltà. In molti casi la rabbia prevale quindi in situazioni di disagio ed emerge sotto forma di violenza.
La situazione insostenibile delle carceri
Sempre più si parla anche di situazioni di grande difficoltà all’interno del sistema penitenziario italiano. Nelle carceri, negli istituti penali minorili, nei cpr. Quest’anno l’associazione Antigone ha dichiarato che i suicidi negli istituti di pena sono in preoccupante aumento: a metà settembre erano 72 dall’inizio dell’anno. Le case circondariali sono sempre più affollate, con condizioni di vita insostenibili, soprattutto nelle estati che stanno diventando sempre più calde. Passi avanti sono stati fatti ma ancora tanti devono essere fatti.
Ciò che fa ben sperare, intanto, è una crescente consapevolezza e una sempre maggiore serenità diffusa sul parlare e affrontare queste tematiche. I prossimi passi toccano alle istituzioni.
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