Tra le pellicole bruciate nel cellario B4 anche «Miracolo a Milano» di De Sica e «Quel Bandito sono io» di Soldati. Castellitto: «Tavolo tecnico con il Mic per risolvere il problema»
Fino alla metà degli anni Cinquanta, le pellicole cinematografiche erano realizzate in nitrato di cellulosa. Un materiale anche chiamato fulmicotone, e infatti tra le sue principali caratteristiche c’è quella dell’alta infiammabilità: le bobine in nitrato potevano prendere fuoco, da sole.
La conservazione dei rulli, ognuno in scatole chiamate anche “pizze”, è infatti sempre stato un affare difficile per le cineteche di tutto il mondo. Gli incendi, per queste istituzioni, non sono una novità. E le conseguenze possono essere gravi. Il Centro Sperimentale di Cinematografia (Csc), istituto scolastico situato a Roma, in via Tuscolana, che comprende anche la Cineteca Nazionale, è salito agli onori della cronaca dell’ultimo mese proprio per un incendio “segreto”, avvenuto l’8 giugno, che ha coinvolto il cellario B4, bruciando 500 scatole di bobine in nitrato, per un totale di 220 titoli distrutti (un lungometraggio può arrivare a occupare sei scatole).
Quella dell’autocombustione delle bobine è tra le cause più probabili per questo incidente, anche se è ancora in corso un’inchiesta giudiziaria che sta valutando l’ipotesi del dolo. «Come supporto la pellicola in nitrato produce un gas che ne accelera il decadimento. La bobina diventa mielosa e in alcuni casi può diventare polvere», spiega a Domani il direttore della Cineteca di Bologna Gian Luca Farinelli, contattato per un commento sul caso.
«E quando comincia a decadere, anche solo una bobina può prendere fuoco. Un fuoco feroce, rapidissimo, che non si può spegnere perché produce esso stesso ossigeno. Anche bagnandolo o, per assurdo, immergendolo in acqua, non si spegne». La mielosità della pellicola, e quindi il rischio di autocombustione, è chiamato tecnicamente “colliquare”.
L’incendio “segreto”
Nel caso del Csc le fiamme sono divampate nella notte, alle 3.00. E immediatamente i vigili del fuoco sono intervenuti. La notizia dell’incendio è stata condivisa dallo stesso istituto, per poi essere rimossa dopo mezzora dal loro sito web. Una scelta indicata dalla direttrice generale Monica Cipriani, che ha ritenuto tale informazione come «lesiva dell’immagine del Csc».
A rispondere, dopo un mese dall’interrogazione parlamentare presentata dal deputato di Alleanza Verdi e Sinistra (Avs) Marco Grimaldi, il presidente della fondazione, e attore, Sergio Castellitto, che nel comunicato stampa sostiene che non c’è stata alcuna volontà di «mettere a tacere l’incendio», e condividendo la lista completa dei titoli bruciati nelle fiamme.
Tra questi Miracolo a Milano (1950) di Vittorio De Sica, Quel bandito sono io (1950) di Mario Soldati e Cronaca di un amore (1950) di Michelangelo Antonioni. La maggior parte, però, sono comiche di Charlie Chaplin, cinegiornali luce, e pellicole straniere facenti parte di una collezione privata di José Pantieri, fondatore del Museo Internazionale del Cinema e dello Spettacolo (Mics), e arrivati alla Cineteca dopo la sua morte. Ma, ha precisato il Csc a Domani, sono pellicole di cui esistono copie di protezione. Anche in altre cineteche, oltre che le copie di legge.
Non è la prima volta che al Csc si sono verificati incendi a cellari o container. Negli ultimi quindici anni sarebbero stati infatti quattro: il 18 giugno 2009 (446 rulli persi), 27 ottobre 2009 (4 rulli), 8 luglio 2015 (893 rulli), 8 agosto 2018 (40 rulli).
Spazi «inadeguati»
Il passaggio alla pellicola di sicurezza non infiammabile, anche detta safety, in triacetato di cellulosa, avviene tra il 1952 e il 1955, a seconda dei paesi, spiega Farinelli. «La pellicola infiammabile da quel momento in poi non è più stata prodotta, e la legge italiana, ferma agli anni Quaranta e mai modificata, impone che sia conservata in archivi con determinate caratteristiche, anche di distanza dai centri abitati».
Il Csc aveva affermato di essere alla ricerca di nuovi spazi per continuare l’opera di conservazione già da diverso tempo. Secondo il responsabile alla comunicazione Mario Sesti l’attuale location può soddisfare «solo in parte» le necessità di conservazione del patrimonio cinematografico nazionale, aggiungendo che «è stata sondata la possibilità di alcuni siti al fine di costruire strutture necessarie a questo scopo». Sarebbe in corso, afferma Castellitto, un tavolo tecnico con il ministero della cultura (Mic) per risolvere questo problema.
L’istituto ha poi ribadito, e denunciato, la poca idoneità dei suoi spazi nel suo ultimo comunicato, dicendo che le pellicole in nitrato sono conservate in cellari «inadeguati, pur considerati a norma dai vigili del Fuoco», e che mancano spazi «per le pellicole safety». Alla Cineteca Nazionale sono infatti conservati circa 60mila film, e nel cellario andato a fuoco erano presenti anche delle pellicole safety, spesso archiviate separatamente da quelle in nitrato. Cio è successo perché la Cineteca stava schedando e progressivamente digitalizzando il fondo di Pantieri, di cui è titolare la Soprindendenza Archivistica e Bibliografica del Lazio.
Digitalizzazione
Sul tema digitalizzazione arriva l’ultimo punto sollevato dal deputato di Avs nella sua interrogazione diretta al ministro Sangiuliano. Sono 17 i tecnici del Centro, impiegati in un progetto di due anni con fondi del Mic nella digitalizzazione del materiale della Cineteca, a essere stati lasciati a casa senza il rinnovo del loro contratto, scaduto il 31 luglio.
Il rinnovo del progetto, già richiesto dall’istituto, probabilmente arriverà nel corso del 2025. Intanto, dall’insediamento di Castellitto, Grimaldi segnala l’attivazione da parte dell’istituto di via Tuscolana di una serie di contratti per un valore 587mila euro, che il deputato definisce «non necessari», soprattutto per quanto riguarda un team di avvocati (417mila euro). Il Csc, infatti, può usufruire del patrocinio gratuito dell’avvocatura di stato.
Grimaldi, dopo l’uscita del comunicato, ha infine accusato l’amministrazione Castellitto di stare buttando «acqua sulla cenere». E conclude: «Mi sarei aspettato qualche parola in meno e qualche risposta in più».
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