È apparsa unita malgrado le differenze la chiesa cattolica statunitense rappresentata dagli oltre duecento vescovi approdati a Baltimora per la plenaria conclusa ieri, la prima in presenza dopo un anno e mezzo di pandemia.

Sono le immagini, piuttosto che le parole, ad aver scandito la quattro giorni della conferenza episcopale americana (Usccb): la Madonna di Guadalupe, che ha fatto da quinta agli interventi dei presuli a porte chiuse, poi aperte alla stampa, simbolo della «chiesa meticcia» di papa Francesco, che chiede di lavare i panni sporchi in casa.

E pluribus unum

Lo spirito che si respira a incontri conclusi è quello della concordia, che le riunioni virtuali avevano minato su questioni politiche, come la possibilità di negare la comunione e politici cattolici, allo stesso tempo pro choice: «Sembra che sia andata molto bene, i vescovi hanno riconosciuto il danno arrecato dalle controversie dello scorso giugno», dice il gesuita Kevin Gillespie, rettore della Holy Trinity Church, la chiesa dei politici di Washington, DC, tra cui il presidente Usa, Joe Biden, e la speaker della Camera, Nancy Pelosi.

La chiesa Usa ha così superato la controversia con un testo senza cuciture, per evitare irrimediabili strappi. Il documento, che avrebbe dovuto castigare il secondo presidente cattolico dopo John Fitzgerald Kennedy, si concentra piuttosto sul significato profondo dell’eucarestia.

Un capolavoro di dissimulazione per i più critici, votato da 222 vescovi, con 8 contrari e 3 astenuti. Interpellato sulla genesi del documento a lungo paventato come il punto di rottura tra la chiesa e la Casa Bianca, l’arcivescovo José Gomez, presidente dell’Usbbc, ha insistito sul fatto che il documento non era stato motivato dall’elezione di Biden né dal desiderio di negargli la comunione, contraddicendo le dichiarazioni sue e di presuli agguerriti, come l’arcivescovo di San Francisco Salvatore Cordileone.

Endorsement papale

Il francescano John Eric Stowe tira un sospiro di sollievo dalla Charm City: «Sono sollevato che il documento non menzioni Biden, né individui politici a cui negare la comunione. Ma non sono sorpreso: c’è stata una reazione negativa sia all’interno che all’esterno della conferenza», spiega il vescovo di Lexington (Kentucky).

Nelle immediate vicinanze della plenaria, presso il Mariott Hotel, chi ha urlato a una resa incondizionata della chiesa è il movimento conservatore Church Militant, che, nel susseguirsi di interventi paralleli a quelli della plenaria, ha minato la fiducia nella chiesa usando il grimaldello degli abusi sui minori.

Malgrado i duri attacchi, nella curia statunitense il timore di una chiesa divisa è stato scongiurato dal papa stesso. In visita a Roma due settimane fa, Biden è stato autorizzato dal papa a rendere nota non solo l’ammirazione pontificia di «buon cattolico», ma anche l’autorizzazione a ricevere la comunione.

Una posizione ribadita nel discorso di apertura dei lavori a Baltimora dal nunzio degli Stati Uniti, l’arcivescovo Christophe Pierre: «È stato il miglior discorso della plenaria – ha detto Stowe - perché ha invitato ancora una volta noi vescovi a seguire la strada voluta da papa Francesco per l’unità della famiglia umana. Dubito che siano stati affrontati temi con lo stesso approccio».

Sinodalità e aborto

L’invito alla sinodalità ha cercato di spegnere i focolai delle guerre culturali del passato, che possono ancora infiammare. Lo dimostra l’elezione del vescovo di El Paso (Texas), Mark Seitz, alla presidenza del Comitato per le migrazioni.

Seitz è noto per le sue posizioni contro l’aborto. Nel 2017, commentando la decisione della Corte suprema sulla Whole Women’s Health vs Hellerstedt, che ha ritenuto incostituzionali le leggi anti aborto dello stato, parlò di «impulso alla licenza di uccidere i nascituri» nelle cliniche abortiste texane.

Pochi giorni fa, invece, il nunzio apostolico Pierre, ha invitato sì a difendere la vita, ma senza dimenticare i bisogni delle donne in difficoltà, specialmente quelle sole e abbandonate.

Per capire quale strada ha imboccato la chiesa statunitense nel prossimo futuro, occorre dare un occhio al rimpasto vescovile dei vertici dell’Usccb. La scelta di James Checchio, arcivescovo di Metuchen (New Jersey), quale nuovo tesoriere della conferenza, sul bergogliano arcivescovo di Seattle, Paul Etienne, mostra una curia che frena sulle istanze più progressiste.

Altre nomine-chiave rivelano il desiderio di una chiesa più moderata, contraria alla linea del capo dei vescovi, Gomez. Per circa trenta voti, infatti, i vescovi hanno preferito alla presidenza del Comitato per il clero, la vita consacrata e le vocazioni, Earl Boyea, vescovo di Lensing (Michigan), sull’arcivescovo di Denver, Samuel Aquila, tra i più fervidi sostenitori della coerenza eucaristica: «Come vescovi, stiamo venendo meno al nostro dovere di pastori se ignoriamo questa verità e come si sta manifestando nella società odierna, specialmente nei confronti di coloro che occupano posizioni di rilievo che rifiutano gli insegnamenti fondamentali della chiesa e insistono affinché sia loro concesso di ricevere la comunione», aveva dichiarato lo scorso giugno.

È un solo voto a togliere la presidenza del Comitato per il culto divino e i sacramenti a Mitchell Rozanski, nominato arcivescovo di St. Louis dal papa. Il presule è stato rimpiazzato da Steven Lopes, vescovo dell’Ordinariato della cattedra di san Pietro, noto per aver sostenuto sì la linea del papa su Amoris laetitia, salvo poi interpretarla con la Familiaris consortio di papa Giovanni Paolo II.

È l’immagine di una chiesa che, dopo i mesi difficili della pandemia, cerca la sua identità fra un passato ingombrante e un presente sempre più composito.

 

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