Odio l’estate. In attesa di rimettere piede in campo per cominciare a vedere cosa gli riserverà il futuro immediato, Luciano Spalletti ha introdotto il ciclo della nazionale azzurra con vista Mondiali 2026 parlando del passato recente.

Il commissario tecnico della nazionale ha raccontato di avere trascorso dei pessimi mesi estivi. Non altrimenti poteva essere, dopo la mesta figura rimediata agli Europei tedeschi, culminata con l’eliminazione per mano della Svizzera. C’è fretta di dimenticare. E invero, pare che la sola fretta sia quella. Perché se si guarda all’estate che ci si è appena messa alle spalle, una stagione che avrebbe dovuto essere bollente per l’intero movimento, ci si accorge che molto si è girato intorno a se stessi senza che qualcosa cambiasse.

Sicché, alla fine, la sola novità potrebbe essere la scomparsa di quell’orrenda scritta “ITALIA” dalle giacche dello staff in panchina firmate Armani.

Come in un film di Tarantino

Dunque, da quel 29 giugno che ha visto a Berlino la nazionale azzurra cacciata senza onore, tutto è rimasto fermo lì dov’era. Cioè a quello che è stato indicato come il punto più basso nella storia del calcio italiano.

Nei giorni successivi è stato acceso il dibattito su tutto ciò che dovrebbe essere cambiato nel movimento calcistico italiano; un dibattito cui in molti hanno ritenuto d’iscriversi e in cui ha trovato spazio anche una commissione di saggi di nomina Figc.

Nulla si è saputo di quella commissione, né di altre proposte che nell’immediato si sono inseguite mentre la ferita era ancora sanguinante. Adesso che la ferita non sanguina più, le cose sono rimaste lì dove erano.

La situazione è di stallo, ma sarebbe errato pensare che a questo stallo ci si sia arrivati da fermi. Perché di movimento, intorno al calcio, continua a essercene anche troppo. A partire dalle intenzioni della politica, con un governo ansioso di mettere le mani sul giocattolo e, alle sue spalle, una maggioranza fatta di pezzi che seguono calcoli propri nell’assalto a un formidabile strumento di potere.

Sicché ci si ritrova come in una scena da film di Quentin Tarantino: tutti armati contro tutti, le pistole puntate che si muovono da un bersaglio all’altro con la prospettiva che nessuno ne esca illeso. Se ne verrà fuori con qualcosa di costruttivo per il calcio italiano?

ANSA

Una somma di debolezze

Se non è scontro di tutti contro tutti, poco ci manca. Con la poltrona di presidente federale diventata il bersaglio della caccia grossa.

In linea di principio il soggetto debole di questa situazione sarebbe il presidente della Figc, Gabriele Gravina. Ma se si dovesse indicare il soggetto forte, su chi ricadrebbe la scelta? Ecco il punto: che qui, di soggetti forti, non se ne vede proprio. E che forse è proprio questo il motivo per cui ci si ritrova in prossimità dell’autunno coi problemi di fine giugno, e un’estate nel mezzo caratterizzata da un lungo stallo da interdizione reciproca.

Nel mondo del calcio, il principale antagonista della Figc e del suo presidente sarebbe la Lega di Serie A, col presidente Lorenzo Casini. Che però, da parte sua, deve fare i conti con una posizione di possibile incompatibilità che gli viene dalla fresca nomina a rettore dell’IMT, istituto di alta formazione con sede a Lucca.

E dietro di lui le altre componenti stanno in attesa di capire come finirà, intanto che la politica interviene a piedi uniti con l’emendamento Mulè per dare più peso alla Serie A in ambito Figc e col ministro Abodi ansioso di risolverla a modo sui. Magari avviando un domino che porterebbe Giovanni Malagò dal Coni alla Figc. Grandi disegni strategici, risultati fin qui nulli. Si riparte da dove si era. Cioè dal punto più basso. Buona Nations League a tutti.

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