Il primo maggio scorso il bacino idrico di Song May, nella provincia di Dong Nai, nel sud del Vietnam, sembrava nascosto sotto a un lenzuolo grigio. In realtà non c’era nessuna coperta sopra al manto d’acqua: si trattava di centinaia di migliaia di pesci morti per la mancanza d’acqua. In quel periodo, come gran parte del sud-est asiatico, il Vietnam meridionale e centrale è stato messo in ginocchio da un caldo devastante che in alcune zone ha portato i termometri a superare anche i 45°C, mentre diversi centri abitati hanno dovuto far fronte alla mancanza di acqua.

Nel frattempo, dall’altra parte del mondo, in Brasile, siccità e piogge incontrollate hanno devastato città, campagne e terreni agricoli. Sono gli effetti dei cambiamenti climatici che, secondo gli esperti più autorevoli, modificheranno le nostre scelte, le nostre abitudini. Il nostro modo di vivere.

Cambieranno anche il nostro modo di acquistare, cosa che in parte sta già avvenendo con uno dei prodotti più consumati in tutto il mondo, dalle Americhe all’Europa, dall’Asia all’Oceania passando per l’Africa: il caffè.

A settembre, a causa dei disastri climatici in Vietnam e in Brasile, ma anche delle tensioni nel Canale di Suez che hanno costretto tante imbarcazioni a giri più lunghi (anche di venti giorni) per approdare nei porti europei, i chicchi verdi hanno raggiunto quotazioni di 4.600 dollari per tonnellata, registrando rialzi del 79 per cento rispetto a un anno prima.

Il risultato è che l’espresso nelle caffetterie italiane ha subito rincari e potrebbe arrivare a costare fino a due euro, cosa che ha fatto storcere il naso a tantissimi dei consumatori delle sei miliardi di tazzine servite all’anno in Italia, per un giro d’affari di sette miliardi di euro.

Il prezzo corretto

Ma quanto dovrebbe costare un buon espresso? «È una questione culturale: siamo sempre stati il paese in cui l’espresso deve essere un prodotto popolare, venduto al massimo a un euro», spiega Maurizio Valli, titolare insieme alla sorella Sonia di Bugan Coffee Lab, micro torrefazione di Bergamo e primo laboratorio italiano di caffè.

«Ma un espresso proposto a un euro nasconde un caffè di scarsa qualità, altrimenti sarebbe improponibile per le logiche di mercato. Chi ha coltivato questa convinzione errata? Le grandi torrefazioni industriali, le stesse che, finché riuscivano a comprare la Robusta a un euro al kg, spingevano per prezzi della tazzina sempre più al ribasso, mentre ora che la Robusta costa quasi più dell’Arabica si vedono costrette ad aumentare i prezzi per continuare a guadagnare come negli anni d’oro».

«Io lo dicevo già dieci anni fa: per me l’espresso meno caro deve essere proposto a partire da cinque euro», continua Valli. «In Europa, dove si utilizza quasi sempre la doppia estrazione, ci sono tante micro roastery indipendenti che hanno abituato i propri clienti a bere espressi monorigine a tre-quattro euro, mentre da noi un bar qualsiasi propone un espresso con sette grammi di macinato a un euro. Da Bugan mettiamo 21 grammi di caffè di altissima qualità macinato e l’espresso meno caro costa tre euro: a conti fatti siamo noi quelli che rischiano di perderci, pur proponendo un prodotto top».

Le variazioni

Con le importazioni da Brasile e Vietnam (i due maggiori produttori mondiali) diventate sempre più difficili, nelle caffetterie italiane la media di una tazzina è arrivata a 1,30 euro. Il prezzo varia moltissimo, da nord a sud: a Roma si trova a 90 centesimi, a Napoli a 1,10 euro, a Firenze la media è di 1,20-1,30, a Bologna e Milano 1,50.

Ma secondo Alberto Polojac, coordinatore nazionale di Specialty Coffee Association Italia e titolare di Imperator Srl, stabilire un giusto prezzo dell’espresso è molto più difficile di quel che si pensa: «Dobbiamo ricordare che il caffè è una materia prima quotata in borsa come il petrolio. Perché andiamo a fare il pieno di benzina accettando serenamente che il suo prezzo cambi di giorno in giorno mentre ci arrabbiamo se la tazzina costa qualche centesimo di euro in più? Secondo me il prezzo di un espresso dovrebbe essere riformulato ogni mattina e deve considerare una serie infinita di fattori che determinano il suo valore: di che varietà di caffè parliamo? Da quale territorio proviene? Come è stato lavorato? Come è stato tostato? Con quale macchina viene estratta la bevanda e il barista professionista che me la sta servendo è preparato e mi sta raccontando cosa troverò in tazza? Per me, se parliamo di un espresso preparato a regola d’arte con una materia prima di qualità, la tazzina può costare tranquillamente cinque euro».

«Purtroppo, però, il consumatore medio italiano non ha questo tipo di approccio», sottolinea Polojac, «e pochissimi locali forniscono ai propri clienti gli strumenti per una giusta valutazione. In Italia non c’è la consapevolezza del valore del prodotto, che alla fine è la cosa che spinge la gente a pagare, quindi un espresso vale l’altro. Per il consumatore medio il caffè ti deve svegliare, punto. Un buon espresso, invece, dev’essere un’esperienza dal punto di vista sensoriale e intellettuale, che deve iniziare dal racconto del barista».

In Italia trovare un caffè di qualità vera è ancora materia rara, nelle caffetterie così come nei ristoranti, anche quelli più prestigiosi che propongono esperienze di fine dining.

Il Luogo di Aimo e Nadia, ristorante una stella Michelin nel cuore di Milano, oggi gestito dagli chef Alessandro Negrini e Fabio Pisani, è l’eccezione che conferma la regola: «Ci consideriamo un posto che fa cultura e se abbiamo scelto di proporre degli specialty coffee a fine pasto è perché per noi ricerca, studio e divulgazione sono sempre stati temi fondamentali», spiega Negrini. Finire la cena con il sapore del buon caffè crediamo che sia un attestato di qualità: l’espresso è l’ultima cosa che serviamo ai nostri ospiti, quella con cui li salutiamo».

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