Che cosa potrebbe avere in comune Alex Del Piero con Gianni Rivera, Demetrio Albertini e Damiano Tommasi? Fino a queste ore, la risposta sarebbe stata scontata: l’aver giocato in Nazionale ed essere stato uno protagonisti della storia del calcio italiano. Ora, la musica potrebbe, attenzione al potrebbe, cambiare aggiungendo un altro elemento: il provare a diventare presidente della Federcalcio. Solo che agli altri tre è andata male, dell’ex juventino non sappiamo.

L’unica cosa certa è che la circolazione del suo nome ha dato la scossa a una campagna elettorale piuttosto addormentata. L’altro elemento che non è in discussione è che per tagliare il traguardo Del Piero dovrebbe affrontare una salita tipo Mortirolo o Alpe d’Huez. La maggioranza che spinge per la ricandidatura dell’attuale presidente Gabriele Gravina è decisamente solida. E di questo gruppo fa parte, non è un mistero, anche l’Assocalciatori, guidata da Umberto Calcagno. Se il nome di Alex ha raccolto diversi consensi fra i grandi nomi del calcio, ieri alle parole di Beppe Bergomi si è unito anche il pensiero di Dino Zoff, inutile starci a girare intorno, l’Aic avrebbe già scelto il suo atteggiamento favorevole alla riconferma di Gravina (che per la verità ancora non ha ufficializzato la sua ricandidatura) e per metterlo in discussione ci vorrebbe una rivoluzione interna decisamente improbabile.

Anche perché se è vero che il profilo di Del Piero è inattaccabile anche per il suo standard internazionale, nel suo curriculum non c’è un lavoro in prima linea nel sindacato dei calciatori a differenza di Albertini e Tommasi. E se non fosse l’Aic a presentarlo, inevitabilmente il suo nome avrebbe un impatto meno forte. Per candidarsi ci vuole la maggioranza di una componente: Lega A, Lega B, Legapro, Lega Dilettanti, Calciatori, Allenatori. Un passaggio che potrebbe rivelarsi faticoso. Anche perché il nome di Del Piero dovrebbe avere lo spessore di una scelta condivisa piuttosto che di uno scontro elettorale all’ultimo voto con Gravina.

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Eppure la suggestione c’è. Da sempre la classe dirigente dello sport italiano ha faticato ad accettare l’idea che un grande ex possa diventare numero 1 delle federazioni o addirittura del Coni. In questi casi l’espressione più usata somigliava a qualcosa del tipo: «Il fatto di essere stati campioni di per sé non significa poter essere grandi dirigenti». Se vogliamo allungare la lista dell’inizio, si possono citare altri grandi nomi dello sport azzurro che hanno sbattuto sul muro elettorale. In tempi diversi, potremmo citare Pietro Mennea, Jury Chechi, Antonio Rossi, Antonella Bellutti. Ma la lista sarebbe lunga. Tuttavia Del Piero inevitabilmente si troverebbe a fare i conti con uno scenario molto complicato. Completamente cambiato in queste settimane.

Gravina, infatti, era stato in forte difficoltà con l’approvazione dell’emendamento Mulè (parlamentare di Forza Italia) che aveva fatto diventare legge la necessità di un maggiore peso della componente professionistica nella bilancia elettorale. Nella lista dei guai, c’era (e c’è, è ancora indagato, anche se di recente è stata respinta dal Tribunale del Riesame la richiesta di sequestro preventivo di 140mila euro) anche una vicenda giudiziaria nell’inchiesta sul presunto autoriciclaggio per la compravendita di una collezione di libri antichi. Inoltre una parte della maggioranza si era scatenata, vedi Matteo Salvini, contro di lui. E anche la Nazionale era uscita malconcia dall’Europeo.

A distanza di poco tempo, lo stato dell’arte è completamente cambiato. L’assemblea per il cambiamento dello statuto ha riscritto le norme aumentando il peso della serie A, tuttavia senza chissà quale sconvolgimento visto che i consiglieri della lega maggiore sono passati da tre a quattro con una percentuale che è salita dal 12 al 18 per cento, quelli della Lega B da 1 a 2 e dal 5 al 6 per cento. Gli stessi presidenti si sono a maggioranza astenuti (in 12, 8 invece i contrari) e la richiesta di ricorso è naufragata in mezzo a scetticismi vari ed eventuali. Il Coni ha detto sì alle nuove disposizioni senza colpo ferire. E questo fa pensare che il rapporto fra Malagò e lo stesso Gravina nonostante le parole di stima del presidente del Coni verso l’ex calciatore, sia sempre robusto come negli ultimi mesi. Spalletti, peraltro, ha cominciato a vincere. E la stessa politica si muove in modo decisamente prudente con lo stesso Salvini che sembra aver cambiato registro rispetto al giudizio su Gravina.

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A questo punto resta da capire che cosa potrebbe succedere di qui al 25 dicembre, il giorno limite per candidarsi visto che si vota il 3 febbraio. Di certo, se Del Piero si candiderà (e il se è davvero da sottolineare) non lo farà per far piacere alla politica, sportiva e non. Non ha bisogno di vetrine e copertine più di quante ne abbia. Ma è chiaro che il suo nome sembra essere l’unica speranza di sparigliare le carte per coloro che non vedono di buon occhio Gravina: da una parte le società più vicine a Lotito e De Laurentiis, dall’altra un pezzo di politica e anche di maggioranza (inutile negare che si fa pure il nome in questo quadro del ministro dello sport, Andrea Abodi, i suoi rapporti con Gravina sarebbero peggiorati).

Solo un grande ex, solo un ribaltone dei punti di partenza potrebbe sovvertire una situazione in cui il pallino continua a essere nelle mani di Gravina. Che negli anni ha saputo tessere con pragmatismo la tela del suo consenso, dal convinto lavoro per la ripartenza del campionato nei mesi bui della tempesta Covid al no alla Superlega fino all’acrobatico salvataggio della candidatura dell’Italia all’Europeo 2032, ora condivisa con la Turchia dopo essere stata vicina alla resa vista lo stato deficitario dei nostri stadi. Niente da fare invece sulla riforma dei campionati, un eterno vorrei ma non posso che inchioda da anni il sistema. 

Tuttavia questa linea di realismo è osteggiata chiaramente intanto da alcuni presidenti che rimproverano al numero 1 federale di non aver saputo ottenere dal Governo risorse per rispondere alla crisi economica. Insomma, da una parte il fronte de «il calcio muove tanti interessi economici e posti di lavoro, lo Stato non ci aiuta nonostante tutte le tasse che paghiamo». Dall’altra quello di «tutto vero ma cominciamo a spendere di meno e a renderlo sostenibile» del presidente federale.

Del Piero potrebbe rappresentare una terza via all’insegna del rinnovamento, una ventata di svecchiamento magari per andare oltre le lacerazioni di questi anni? L’impresa ha della missione impossibile. Eppure al di là di quale futuro avrà, se non altro il nome di Del Piero ha smosso le acque. Vedremo ora come e per quanto.

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