Due fotografie dello sport italiano si sovrappongono e creano un contrasto. La prima, con i colori nitidi e scintillanti, ritrae la lucentezza delle medaglie ottenute all’Olimpiade di Parigi dagli atleti. L’altra è sgranata, a tinte fosche, e riprende le varie battaglie, talvolta a colpi di carte bollate, per la conquista del potere nelle federazioni, dalla piscina del nuoto fino alla pista di atletica. Fino a salire al massimo livello: il Coni.

Vasche da Transatlantico

Lo sport tricolore non è tutt’oro. Con situazioni al limite dell’esilarante, come la disfida per la Federnuoto (Fin) tra Paolo Barelli, ex campione in piscina e ora capogruppo di Forza Italia a Montecitorio, e il vicepresidente della Camera, Fabio Rampelli, con trascorsi da nuotatore ed esponente di spicco di FdI. Barelli, a settembre, sarà a caccia del quarto mandato, Rampelli vorrebbe tenere la poltrona nell’alveo del centrodestra, in quota Meloni.

Ma l’esponente di FdI è stato escluso dalla corsa perché ha presentato la candidatura su un modulo errato, da revisore dei conti. Quando è stato informato, i termini erano scaduti. Almeno secondo la versione della Fin, contestata dall’ex leader dei Gabbiani di Colle Oppio.

«Faccio presente, senza alcuna polemica, che la decisione è stata presa dal segretario generale, direttamente nominato dal presidente uscente (Barelli, ndr). Tanto per far capire quante anomalie da riformare esistano nella Federnuoto», ha detto Rampelli, mostrando irritazione e annunciando ricorso, convinto com’è di aver rispettato le prescrizioni. Alleati in parlamento, acerrimi rivali in federazione. Non una novità.

L’atletica

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Lo stesso spettacolo si sta consumando, seppure senza le medesime note di colore, per la federazione dell’atletica (Fidal) presieduta da Stefano Mei, ex campione europeo dei 10.000 metri, in area Lega. La benedizione di Matteo Salvini dovrebbe essere sufficiente a garantirgli la riconferma se di mezzo non si fosse messo Giacomo Leone. Maratoneta di successo, nel 1996 ha vinto a New York, non è intenzionato a cedere il passo, contestando l’esclusione per alcuni errori formali nella presentazione della candidatura. Inevitabile il ricorso con l’indignazione per la situazione. «Le modifiche dello statuto federale sono errate, bisogna cambiare le cose», dice Leone a Domani.

Il regno di Gravina

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Ma il tornante più atteso riguarda la Federcalcio (Figc), ancora guidata da Gabriele Gravina. L’assemblea elettiva per l’indicazione del presidente è slittata dal 4 novembre a gennaio 2025. All’ordine del giorno della prossima riunione ci saranno solo modifiche statutarie. Il prequel della battaglia si è consumato alla Camera con l’emendamento, firmato da Giorgio Mulè (Forza Italia) infilato nel decreto Sport per dare maggiori poteri alla Lega di A. Ogni decisione deve passare dai presidenti deli club più importanti. Passata la legge è stata siglata una tregua di convenienza per le parti in causa. Gravina può far sbollire la rabbia popolare per la debacle in Germania. Mentre il fronte avversario, che vede capofila il governo, dalla premier Giorgia Meloni al ministro dello Sport, Andrea Abodi, può preparare il terreno a un’alternativa.

Un’indiscrezione, riportata da Dagospia, indicava in Marco Mezzaroma, attuale presidente di Sport e Salute, un nome caldo per la guida del calcio italiano. L’imprenditore, stimato dalle sorelle Meloni, è anche cognato di Claudio Lotito. Avrebbe il giusto pedigree. L’ipotesi è stata smentita da più parti in via informale. Secondo quanto raccontano a Domani, Mezzaroma ha valutato una dichiarazione pubblica per smentire la voce. Si vedrà. Il punto è sempre lo stesso: in assenza di una classe dirigente strutturata, i candidati spendibili della galassia di destra sono sempre pochi. E spesso i soliti.

A palazzo Chigi lavorano al logoramento per spingere Gravina alla rinuncia formale della candidatura: al governo non vogliono essere accostati a un’immagine perdente del pallone. La voce del passo indietro del presidente Figc è rimbalzata nelle scorse settimane, di ufficiale non c’è ancora nulla. Gravina ha detto di non aver sciolto la riserva. L’orientamento sembra si stia spostando sull’intenzione di correre di nuovo. Avrebbe i numeri per farcela con buona pace di Meloni e Abodi.

Milano-Cortina

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Il ministro dello Sport è atteso da mesi intensi. Non c’è solo il futuro della Figc da definire. All’orizzonte c’è la battaglia campale per il Coni, con l’obiettivo di archiviare il regno di Malagò, facendo leva sulle norme in vigore. «Tra i due i rapporti sono ottimi», garantiscono le fonti vicine a entrambi. Dietro i convenevoli della partita di tennis vista insieme, con Lorenzo Musetti battuto da Novak Djokovic, la tensione è però al massimo.

Abodi, nelle ultime interviste, ha bocciato qualsiasi possibilità di un nuovo mandato per Malagò al vertice del comitato. «Questo dice la legge», è stata la sintesi consegnata alla stampa. Fresco di 40 medaglie appuntate sul petto, dopo il 12esimo oro del volley Malagò gli ha risposto: «È stato fuori luogo». Ma senza un provvedimento ad personam per aumentare il numero di mandati, non ci sono margini di azione. La posizione del ministro, secondo chi lo conosce bene, è irremovibile. Con il suo stile felpato pensa a un ricambio totale, trovando la solida sponda del ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, da sempre avversario di Malagò. Il vicesegretario leghista, durante il primo governo Conte, ha forgiato la società Sport e Salute pur di sottrarre al Coni di Malagò la gestione dei soldi per l’erogazione dei contributi annuali alle federazioni.

L’operazione è avallata anche in zona Forza Italia, in particolare da Barelli, nelle vesti di presidente della Federnuoto. E sul punto c’è piena sintonia poi con Angelo Binaghi, capo della federazione italiana tennis (Fit), da un ventennio. Il numero uno della Fit vuole sfruttare l’onda lunga della popolarità di Sinner e delle medaglie olimpiche: Musetti e Errani-Paolini.

Si torna al punto di partenza: a un anno e mezzo dai Giochi invernali Milano-Cortina 2026, il grande capo dello sport italiano rischia di trovarsi senza la poltrona più ambita. Il calendario prevede il voto a maggio 2025, a otto mesi dall’inaugurazione dell’Olimpiade italiana, al Coni rivendicata senza mezzi termini come una vittoria personale di Malagò. Negli uffici del comitato viene descritto invece come un risarcimento per la mancata assegnazione dell’Olimpiade a Roma 2024, a causa delle titubanze politiche dell’amministrazione Raggi.

Il presidente del Coni non si è rassegnato all’uscita di scena. Spera in un ravvedimento di Abodi. Il ministro era già contrario alla correzione che prevedeva un quarto incarico consecutivo per i presidenti federali. La misura è stata successivamente introdotta da un emendamento ad hoc, sotto la spinta proprio di Barelli. Ora i presidenti uscenti, alla conclusione del terzo mandato, possono fare il quarto a patto di ottenere i due terzi dei voti. Una maggioranza iper-qualificata.

Gli intoccabili

Al Coni sperano in un allineamento delle normative, che non figura all’ordine del giorno. Un auspicio sottotraccia: una proroga di un anno col rinvio del l’elezione alla primavera 2026. Potrebbe essere un compromesso. Al momento non risultano interlocuzioni ufficiali, il messaggio è stato recapitato a Meloni da parte di ambasciatori di Malagò, che ha un’unica consolazione: comunque vada resterà al vertice della fondazione Milano-Cortina. Nessuno avrebbe da ridire nemmeno nel governo.

Scontri e duelli vengono visti a distanza dalle federazioni diventati feudi da decenni. È il caso degli sport rotellistici: dal 1993 il presidente è Sabatino Aracu, ex deputato di Forza Italia e poi della Lega, come la federazione del tiro al volo, da 31 anni guidata da Luciano Rossi, ex senatore del Popolo delle libertà e del Nuovo centrodestra di Angelino Alfano. Maestri di potere, che spiegano come funziona lo sport made in Italy. Almeno alle spalle degli atleti che onorano l’Italia.

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