La crescente consapevolezza riguardo ai danni ambientali provocati dal nostro modello alimentare ha reso sempre più urgente la necessità di ripensare le nostre abitudini quotidiane. In questo contesto, la dieta sostenibile proposta dalla Commissione EAT-Lancet si presenta come una soluzione per affrontare le sfide globali legate sia alla salute che alla sostenibilità ambientale.

Composta da esperti di salute pubblica, agricoltura e sostenibilità, la Commissione ha definito un modello alimentare planetario per rispondere a problemi globali come cambiamento climatico, perdita di biodiversità e malattie non trasmissibili. Il principio centrale della dieta planetaria è che salute e sostenibilità siano strettamente interconnesse, con scelte alimentari che favoriscano il benessere, riducendo al contempo l’impatto ambientale.

La dieta sostenibile si basa su un ridotto consumo di carne, in particolare carne rossa e latticini, e un aumento di frutta, verdura, legumi, cereali integrali e noci, alimenti con un minore effetto sull’ambiente. Adottare queste abitudini infatti potrebbe migliorare l’efficienza nell’uso di risorse naturali come acqua e suolo e limitare le emissioni di gas serra.

Se applicata su larga scala, la dieta determinerebbe inoltre benefici non solo in termini di riduzione degli effetti sull’ambiente, ma anche per la salute. L’alimentazione proposta potrebbe infatti contribuire a ridurre l’incidenza di malattie croniche come diabete, malattie cardiache e obesità, condizioni che sono in aumento in molte parti del mondo, anche a causa delle abitudini alimentari poco equilibrate.

Le criticità

Nonostante i potenziali benefici, la dieta proposta dalla EAT-Lancet ha però suscitato molte critiche, soprattutto riguardo la sua praticabilità e le implicazioni sociali, culturali ed economiche. Una delle principali obiezioni riguarda l’accessibilità: una dieta sana e sostenibile, che privilegia alimenti vegetali potrebbe essere difficile da adottare in contesti con risorse limitate, come molte aree del sud del mondo o nei quartieri a basso reddito delle grandi città.

In queste situazioni, infatti, gli alimenti vegetali freschi sono spesso più costosi rispetto ai cibi ultralavorati o a quelli di origine animale. Inoltre, quest’alimentazione potrebbe risultare inadeguata per molte culture che basano la loro dieta su carne e altri prodotti di origine animale. È da tenere presente infatti che in molte società la carne è un elemento centrale delle tradizioni culinarie e delle celebrazioni familiari e religiose, e quindi il cambiamento proposto potrebbe essere percepito come una minaccia alle identità culturali e ai sistemi alimentari locali.

Ma la dieta planetaria solleva dubbi anche dal punto di vista della sostenibilità agricola. La sua attuazione richiederebbe un cambiamento significativo nelle pratiche agricole globali, con un aumento della produzione di colture vegetali destinate al consumo umano; tuttavia, questo potrebbe entrare in conflitto con altre esigenze globali, come la produzione di biocarburanti o la crescente domanda di alimenti destinati all’alimentazione animale in alcune regioni.

La competizione per le risorse naturali, come la terra e l’acqua, potrebbe quindi intensificarsi, creando nuove difficoltà per la sicurezza alimentare. C’è inoltre da considerare che l’industria della carne e dei latticini rappresenta una fonte vitale di reddito e occupazione in molte aree del mondo. Ridurre drasticamente il consumo di questi alimenti, come proposto, avrebbe ripercussioni economiche significative per i piccoli produttori e i lavoratori del settore.

L’impatto

Ma il cambiamento potrebbe paradossalmente essere problematico anche dal punto di vista ambientale. Sebbene la dieta miri a ridurre l’impatto delle emissioni di gas serra attraverso la riduzione del consumo di carne rossa, alcuni esperti mettono in dubbio l’efficacia complessiva della dieta planetaria nel migliorare la sostenibilità globale, soprattutto se non si considerano le implicazioni per l’agricoltura su larga scala.

La produzione di alcune colture vegetali, infatti, può richiedere enormi quantità di acqua e di terra, e, se non viene gestita correttamente, potrebbe avere un impatto ecologico pari a quello della produzione di carne. Inoltre, non tutte le misure agricole promosse dalla Commissione sono automaticamente sostenibili, e l’adozione di nuove tecnologie e pratiche potrebbe risultare complicata in molte regioni, soprattutto nei paesi in via di sviluppo, dove l’agricoltura industriale è ancora la norma.

Il problema della flessibilità

Un’altra difficoltà importante riguarda la flessibilità della dieta. Le raccomandazioni della Commissione sono state percepite come rigide e universali, senza tenere sufficientemente conto delle differenze culturali, economiche e nutrizionali che caratterizzano i vari paesi. L’approccio “one size fits all” non si adatta facilmente alle diverse esigenze alimentari e alle tradizioni locali, e in molti casi potrebbe risultare difficile da implementare in modo efficace.

In contesti dove le persone dipendono dalle proteine animali per la loro nutrizione quotidiana, una dieta basata principalmente su vegetali potrebbe non essere adeguata dal punto di vista nutrizionale, soprattutto se non vengono presi in considerazione fattori come la disponibilità di micro nutrienti essenziali, come la vitamina B12, il ferro e il calcio, che si trovano principalmente nei prodotti animali.

Accanto a ciò, c’è anche uno scetticismo scientifico su alcuni dei fondamenti della dieta planetaria. Mentre molti studi infatti confermano che ridurre il consumo di carne rossa ha effetti positivi per la salute, alcuni esperti sostengono che non sia necessario eliminare completamente la carne per ottenere benefici, ma che sia sufficiente limitarne il consumo.

Piuttosto che abbandonare completamente la carne, sarebbe invece opportuno concentrarsi su pratiche agricole più sostenibili, come l’allevamento a bassa intensità o l’adozione di metodi di produzione agricola rigenerativa.

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