Il 19 agosto Eni ha annunciato l’inizio della prima fase della produzione di gas del giacimento Argo-Cassiopea, lungo la costa siciliana tra Gela e Licata. L’annuncio ha ricevuto una calda accoglienza istituzionale: il ministro all’Ambiente Pichetto Fratin lo ha definito «un passaggio determinante per aumentare la sicurezza e l’indipendenza energetica del territorio e dell’intero Paese», mentre i deputati siciliani del M5s Angelo Cambiano e Nuccio Di Paola si sono affrettati a rivendicare che è grazie a un loro emendamento, inserito nella legge finanziaria regionale, che «i comuni di Gela, Licata e Butera, riceveranno circa 15 milioni di euro all’anno di royalties».

Il progetto, il più rilevante in Italia, si incardina nella visione – fatta propria dal governo e fortemente spinta dal colosso petrolifero – che il gas sia l’insostituibile volano della decarbonizzazione, al punto da voler renderne il Paese un hub europeo.

Per farsi un’idea: secondo un recente rapporto di Greenpeace, dalla sigla dell’Accordo di Parigi e in evidente spregio dei suoi obiettivi di riduzione delle emissioni, Eni ha avviato (inclusi quelli in attesa di partire) ben 522 progetti per lo sfruttamento di fonti fossili sui 767 totali in cui è coinvolta. Ma oggi, a due mesi e mezzo dall’avvio, la situazione del più importante giacimento italiano di gas è tutto fuorché in discesa. Fonti interne denunciano problemi relativi agli impianti collegati al giacimento Argo-Cassiopea, con blocchi nel flusso di gas da mare a terra.

Il rappresentante territoriale dei Cobas Francesco Cacici racconta dei rallentamenti subiti dal progetto: «All’inizio i problemi erano dovuti alla pulizia delle tubazioni, e si è formata una specie di barriera che ha fermato il passaggio del gas». Anche EniMed, la consociata di Eni che si occupa di ricerca, esplorazione ed estrazione di idrocarburi in Sicilia, conferma i tempi lunghi.

«Come annunciato, l’avvio della produzione di gas del giacimento Argo-Cassiopea avviene in forma graduale, come da prassi nell’avvio di un nuovo impianto e in linea con le procedure di ramp-up, con raggiungimento graduale della produzione dai 4 pozzi, secondo le tempistiche già dichiarate», è la replica dell’azienda. La costruzione del gasdotto e delle relative infrastrutture collegate è stata rivendicata dai sindacati sin dalla presentazione della valutazione di impatto ambientale (Via) al ministero dell’Ambiente, che risale al lontano 2010.

Scenari e occupazione

Nel frattempo gli scenari energetici e geopolitici a livello nazionale e internazionale sono cambiati drasticamente. La stessa Eni ha cambiato idea: l’originaria richiesta prevedeva la costruzione della piattaforma Prezioso K, diventata poi un gasdotto sottomarino di 60 chilometri con una centrale di compressione all’interno del perimetro industriale dell’ex raffineria di Gela. Una scelta che per Eni comporta uno sviluppo «privo di impatti visivi e con emissioni prossime allo zero».

Come per ogni infrastruttura fossile, c’è una netta differenza, dal punto di vista occupazionale, tra la fase di cantiere e la fase di esercizio. Le cifre fornite da EniMed parlano chiaro.

«La presenza media in cantiere nella fase di costruzione ha sfiorato i 700 addetti, con un’occupazione dell’indotto stimata intorno alle 1.000 unità. In fase operativa», aggiunge EniMed, «si prevede il coinvolgimento di oltre 100 unità tra lavoratori diretti e indiretti».

Dai 1.000 in fase di cantiere al centinaio scarso in fase di esercizio: «Ora c’è una bella mole di lavoro», conferma Cacici. «I parcheggi riservati alle auto degli operai sono tutti pieni, come non accadeva da molto tempo. In futuro il numero dei lavoratori dell’indotto è destinato a calare, già oggi ad esempio spesso vengono appaltati lavori da 50-60 giorni». In questi giorni il nucleo gelese della Confederazione dei sindacati di base ha annunciato la decisione di garantire ai propri iscritti, oltre 250 persone, assistenza legale gratuita, di cui sarà incaricato l’avvocato Francesco Castellana, che è anche consigliere comunale per il Movimento 5 stelle.

«Per gli operai, e non solo per loro, lo stipendio è rimasto fermo da anni, mentre il costo della vita è aumentato enormemente», continua Cacici. «È la ragione per cui abbiamo voluto mettere in campo questa iniziativa. Soprattutto nell’indotto ci sono forme di sfruttamento sempre più diffuse, dalla precarizzazione dei contratti all’elusione delle norme di sicurezza».

Orizzonte cupo

Il futuro prossimo di Gela e Licata è denso di preoccupazioni anche per la stessa natura del giacimento. La produzione a pieno regime di gas dovrebbe maturare entro la fine dell’anno, tuttavia l’orizzonte temporale di Argo-Cassiopea resta breve. Le riserve sono stimate in circa 10 miliardi di metri cubi di gas, con una produzione annuale prevista di 1,5 miliardi, di conseguenza le attività di estrazione non dureranno a lungo.

Dato confermato dalla stessa Eni alla scorsa assemblea degli azionisti di maggio, rispondendo a una precisa domanda posta dall’associazione A Sud nell’ambito dell’attività di azionariato critico. Il periodo di vita utile del giacimento è di 10-15 anni, ha confermato l’azienda, aggiungendo che dopo tale arco temporale «si procederà con la fase di decommissioning delle infrastrutture di progetto». In altre parole: meglio non affezionarsi alle nuove infrastrutture.

La popolazione dunque rischia di non veder portate a termine le prescrizioni ambientali. È noto che il golfo di Gela si estende su una superficie marina tra le più inquinate d’Italia. Quando nel settembre 2022 il comune ha autorizzato la cosiddetta Fase 2 del progetto Argo-Cassiopea ha indicato a Eni una serie di interventi consistenti di risanamento e salvaguardia ambientale, nell’ottica di favorire soprattutto il ripopolamento ittico e la rigenerazione delle praterie marine, accogliendo le indicazioni del direttore della riserva naturale del Biviere, Emilio Giudice. Due anni dopo, i passi in avanti sono decisamente pochi.

Da ultimo: il 17 ottobre si è tenuto, dopo mesi di stallo, un incontro del tavolo tecnico finalizzato alla piena attuazione delle misure per il risanamento. Ma è emersa una distanza tra le parti, insieme alla promessa del sindaco di Gela Terenziano Di Stefano di avere un aggiornamento periodico, con dati e informazioni sui potenziali progetti, e l’avvio a tal proposito di una piattaforma informatica. Si preannunciano insomma tempi lunghi. Con la beffa che le attività industriali di Eni saranno pienamente operative ben prima delle prescrizioni ambientali che, almeno in teoria, avrebbero dovuto essere propedeutiche all’avvio delle infrastrutture.

«Eni si sta defilando, tanto che ha delegato la partita alla controllata siciliana EniMed, e il comune non sta pressando abbastanza», dice Giudice, che aggiunge: «Fino a questo momento l’azienda ha previsto unicamente compensazioni economiche, come quelle per i pescatori impattati dalle attività industriali, ma non ha mai indicato compensazioni ambientali per le opere realizzate. Ci sono estese aree inquinate che risalgono al petrolchimico e che non sono mai state bonificate».

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