Ci sarebbe stata una siccità di queste proporzioni in Sardegna e soprattutto in Sicilia anche senza il cambiamento climatico causato dai combustibili fossili? Capire se un fenomeno così grave sia nella normale variabilità del clima o sia stato causato dalle attività umane è importante da un punto di vista scientifico, ma soprattutto politico.

Una risposta arriva dal nuovo studio del World Weather Attribution, il più autorevole gruppo internazionale di esperti specializzati proprio nella difficile scienza di collegare i singoli eventi meteo al contesto dell’emergenza climatica, coordinato dall’Imperial College di Londra. Non tutti gli eventi di grande impatto sono causati dal riscaldamento globale, e stabilire con esattezza questi nessi causali diventerà una materia sempre più delicata e importante, anche per collegare nel dibattito pubblico le scelte energetiche alla realtà del cambiamento climatico nella vita delle persone.

Fa differenza sapere se questa siccità ha origine nell’abuso di fonti fossili d’energia: la Sicilia, dove l’agricoltura e la zootecnica sono devastate dalla carenza di acqua, è la stessa regione dove Eni ha annunciato ad agosto l’avvio della produzione in un nuovo giacimento di gas, Argo Cassiopea, nel canale di Sicilia, con riserve da 10 miliardi di metri cubi e un picco di produzione previsto da 1,5 miliardi di metri cubi annui.

Il responso su Sicilia e Sardegna di World Weather Attribution è che il riscaldamento globale causato dalle attività umane (principalmente dall’utilizzo delle fonti fossili di energia, carbone, petrolio e gas) ha reso queste siccità il 50 per cento più probabili. Insomma, le siccità hanno fatto parte delle storia di Sardegna e Sicilia, ma ora sono più frequenti e più dure.

In un clima come quello di cui godevano i nostri nonni, la siccità del 2024 avrebbe avuto la metà delle probabilità di verificarsi e, se mai fosse arrivata, non sarebbe stata così forte per la popolazione e l’economia. Secondo la scala più usata nello studio delle siccità (quella di Us Drought Monitor), quella che ha colpito le isole è una siccità «estrema» (livello di impatto 3 su 4). Senza emissioni di gas serra, sarebbe stata invece «moderata» (livello di impatto 1 su 4) in Sardegna, e «grave» (livello di impatto 2 su 4) in Sicilia.

Secondo Maja Vahlberg, esperta di clima della Croce rossa, che da mesi opera sul campo nelle due isole italiane, «questa è una delle più gravi siccità mai registrate nell’area e sta avendo impatti su due settori chiave per le economie locali, agricoltura e turismo». Quella tra «grave» ed «estremo» non è solo una sfumatura linguistica, e basterebbe chiederlo ad agricoltori e allevatori siciliani.

L’impatto sul turismo lo vedremo nelle prenotazioni della prossima stagione, per l’agricoltura la produzione di frumento è crollata del 50 per cento in Sicilia, per i dati del vino si deve attendere l’autunno, per l’olio si prevede un calo del 40 per cento. Gli allevamenti hanno dovuto fronteggiare sia la mancanza di acqua che di foraggio, nonostante altre regioni siano venute in soccorso con forniture di emergenza, e sono dovute partire le macellazioni straordinarie.

Impatto sociale

Già il fatto che sia stato realizzato questo studio, con un team di climatologi da tutto il mondo, ci dà la misura di quanto sia preoccupante la situazione. Il World Weather Attribution non può analizzare tutte le centinaia di eventi estremi che si verificano ogni anno nel mondo, può sceglierne solo una manciata.

Per questa estate, tra i disastri che sono avvenuti a ogni latitudine, ha scelto di studiare Sicilia e Sardegna, il più significativo evento climatico al mondo attualmente in corso. «Quando decidiamo di analizzare l’impatto climatico di un’alluvione, abbiamo dei parametri di scelta basati sul numero di vittime e feriti», spiega Friederike Otto, climatologa cofondatrice di World Weather Attribution, «per una siccità come quella di Sardegna e Sicilia ci basiamo soprattutto sull’aspetto umanitario».

Secondo questa analisi, il problema più grande nelle due regioni non è stato la scarsità di precipitazioni, ma la sua combinazione con le temperature elevate degli ultimi dodici mesi, nel corso di un anno che è stato da record per tutto il mondo e che nelle isole ha portato la più alta media delle minime ad agosto e il più alto numero di notti tropicali mai registrato. Il calore ha fatto aumentare l’evapotraspirazione – l’evaporazione dell’acqua dal suolo e dalle piante – moltiplicando l’effetto della mancanza di pioggia. Secondo lo studio, l’ulteriore aumento di temperature globali di 0,7°C verso il quale stiamo viaggiando renderebbe siccità come queste eccezionali (4 su 4) e non più estreme.

Per il presente l’attenzione degli esperti è concentrata su quanto sarà piovoso l’autunno. Secondo Luigi Pasotti, dirigente responsabile del servizio agrometeorologico Sicilia Orientale, «gli invasi sono al minimo storico, con un autunno come quello dell’anno scorso le riserve idropotabili in alcune città potrebbero finire già a dicembre».

Se a lungo termine l’unica cosa sensata da fare è abbattere le emissioni di gas serra, le misure a breve e medio termine consigliate da questo gruppo di scienziati sono un intervento sugli sprechi della rete (superiori al 50 per cento in entrambe le regioni), l’evoluzione dell’irrigazione verso sistemi di precisione, e soprattutto ridurre il consumo pro capite di acqua, che con 220 litri a persona al giorno in Italia è il più alto d’Europa.

Come spiega Friederike Otto, «quello che oggi è considerato eccezionale diventerà estremo, quello che è estremo diventerà grave, quello che è grave diventerà moderato, ma non significa che cambieranno gli impatti. Anzi. Le persone dovranno imparare velocemente a vivere in un mondo diverso da quello in cui hanno sempre vissuto».

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