- Qui in Calabria si muore arsi vivi. Qui in Calabria bruciano migliaia di ettari di bosco, le fiamme divorano antichi uliveti, il fumo invade i centri abitati. Piove cenere come in un incubo vesuviano. Non si respira. Manca l’aria. Brucia tutto.
- A breve arriverà il capo della protezione civile, Fabrizio Curcio, tutti i tasselli del solito dirò, farò, interverremo, sono a posto. E le fiamme avanzano. Dov’è la politica? Dove le istituzioni? «Mentre interi boschi bruciano, il Presidente facente funzioni, Nino Spirlì, è in giro per sagre e feste di paese», sbotta Angelo Sposato, segretario calabrese della Cgil.
- Brucia la Calabria e i calabresi vedono volare sulle loro teste i Canadair e gli elicotteri. Gli aerei che prendono acqua dal mare e la riversano sui boschi in fiamme, costano allo Stato 5mila euro l’ora. Un grande affare nelle mani di sette compagnie. Le chiamano le “sette sorelle dell’aria”. Ma questa è un’altra storia tutta italiana.
Margherita Cilione, 53 anni, e Antonio Cilione, suo nipote di 34, sono morti bruciati dalle fiamme a San Lorenzo D’Aspromonte. Volevano fermare l’apocalisse a mani nude. Salvare centinaia di piante d’ulivo. La loro povera ricchezza. Anche Nicola Fortugno, 79 anni, lo hanno ucciso le fiamme, a Cardeto. E Mario Zavaglia, soffocato dai fumi e divorato dal fuoco a Grotteria.
Pure loro, da soli, tentavano di salvare una casa colonica, qualche vacca, le piante. Quattro morti calabresi dei quali non importa nulla a nessuno. Non all’Italia di questi giorni distratti, di sole e di mare. Non al paese nevrotico in balia dei deliri sguaiati e fascisti sul no al vaccino e doppio no al green pass. Non all’italietta rincretinita dal gossip tv. Chi condurrà cosa nella prossima stagione televisiva? E chi se ne frega.
Qui in Calabria si muore arsi vivi. Qui in Calabria bruciano migliaia di ettari di bosco, le fiamme divorano antichi uliveti, il fumo invade i centri abitati. Piove cenere come in un incubo vesuviano. Non si respira. Manca l’aria. Brucia tutto. I boschi e le loro preziose bio-diversità. Quel poco di turismo che resiste grazie al passa parola. Va in cenere la speranza del futuro.
«Bruciateci tutti»
A Badolato (Catanzaro) ho visto piangere donne e uomini, vecchi contadini e giovani che sono tornati alla terra per fare impresa e costruire domani. Hanno perso centinaia di piante di ulivo (quelle che producono olio buono, vero extra vergine). Ora non dormono la notte, fanno le ronde nei boschi. L’altro giorno sono scesi in piazza per protestare (“Bruciateci tutti”, c’era scritto su uno striscione), per chiedere lo stato di calamità nazionale, pretendere che arrivino più vigili del fuoco. Insomma, per chiedere che qualcuno si occupi di quella grande ricchezza che sono le loro montagne e i loro boschi. Non frega un tubo a nessuno. A Catanzaro, sede di quell’enorme monumento all’inutilità che è il palazzo della Giunta regionale, e a Roma. Certo, Mario Draghi ha promesso «massima vicinanza e pieno sostegno del governo», presto arriverà il Capo della Protezione civile nazionale.
Tutti i tasselli del solito dirò, farò, interverremo, sono a posto. E le fiamme avanzano. Dov’è la politica? Dove le istituzioni? «Mentre interi boschi bruciano, il Presidente facente funzioni, Nino Spirlì, è in giro per sagre e feste di paese», sbotta Angelo Sposato, segretario calabrese della Cgil. Certo, l’assessore regionale all’agricoltura, Gianluca Gallo, “forzista” della prima ora, chiede interventi di emergenza. «Ma contemporaneamente – denuncia il Wwf - piuttosto che impegnarsi a fare applicare la legge che vieta per dieci anni il pascolo e la caccia nelle aree colpite, si appresta a varare il calendario venatorio anticipandolo di cinque giorni».
Sfasciume
Pensateci, boschi devastati, terre arse, colture in fiamme, montagne senza più radici a trattenerle destinate a franare, e la caccia. Neppure la ferocia di Antonio Albanese e del suo Cetto Laqualunque avrebbe potuto partorire mostruosità del genere. Fuoco sulla Calabria, terra meravigliosa, ma anche e sempre, nei secoli dei secoli, “sfasciume pendulo sul mare”.
Quando nel 1904 Giustino Fortunato inserì questa locuzione nel suo “La questione meridionale e la riforma tributaria”, tanti difensori dell’onore calabro insorsero come un sol uomo. E insorgono e si offendono ancora oggi. E chiudono gli occhi di fronte agli scempi di un territorio dove ogni fenomeno naturale si trasforma sempre in tragedia ed emergenza. Piove, e le frane portano a valle i paesi. Fanno vittime che solo i parenti piangono. Perché gli italiani considerano la Calabria e le sue tragedie, come una sorta di buco nero irredimibile. «Cose di calabresi».
I quali calabresi, soprattutto quando si trasformano in classe politica, onorevoli alla Regione o al parlamento di Roma, sono specialisti nell’arte di uccidere e neutralizzare le energie migliori. Prendete gli incendi. Tonino Perna, sociologo apprezzato in tutto il mondo, teorico dell’autogestione e politico impegnato nella valorizzazione delle energie locali, era riuscito a risolvere il problema. A modo suo, senza arzigogoli e bizantinismi politici.
Venti anni fa era presidente del Parco nazionale dell’Aspromonte, un tesoro di biodiversità patrimonio Unesco. Lo ha raccontato qualche giorno fa al quotidiano “Avvenire”. «Con un bando pubblico affidavamo i boschi dell’Aspromonte a soggetti del Terzo settore, associazioni e cooperative sociali, con un contratto che prevedeva un contributo iniziale del 50 per cento, e l’altro 50 per cento a fine stagione. A patto che fosse bruciato meno dell’1 per cento del territorio affidato. Il principio è sempre quello della responsabilità».
Il classico “uovo di Colombo”, ma da “mille ettari bruciati ogni anno si era scesi a 100-150. Con una spesa di appena 400mila euro. Un successo. «Per la prima volta la Calabria era un esempio positivo. Non solo ’ndrangheta. Venni convocato a Bruxelles per spiegare il nostro sistema».
Ma i Tonino Perna, i Santo Gioffré (il medico di Seminara che da Commissario dell’Asp di Reggio Calabria fece risparmiare milioni di euro allo Stato), non sono amati in Calabria. Il “sistema” li odia, sono delle insopportabili anomalie, dei corpi estranei da espellere.
I giornali in questi giorni di fuoco fanno sempre il solito titolo, “La Calabria brucia”, distratti i titolisti, stanchi e annoiati gli inviati piombati qui da fuori. Vedono le fiamme, ignorano il contesto. Leggono vecchi ritagli di giornali, quelli che raccontavano la storia (vera, ma ormai passata) dello scandalo perenne dei forestali calabresi, e si fermano qui.
Non sanno dei danni prodotti dalla cancellazione delle Comunità Montane (organi sovracomunali), covi di ruberie e scandali pure quelle, ma enti che comunque si occupavano della tutela della montagna e dei boschi. E ignorano il danno provocato dallo scioglimento del Corpo forestale dello Stato, e della trasformazione di quei “poliziotti ecologici” in inutili e depressi carabinieri. Un capolavoro di stupidità politica in nome della semplificazione e del risparmio.
Brucia
“La Calabria brucia”, è il bel titolo di un libro di qualche anno fa. Autore Francesco Mauro Minervino, per chi scrive “antropologo della disperazione”. Quelle pagine parlano certo della Calabria in fiamme per gli incendi, ma anche della realtà politica di una regione che sembra non trovare mai una via d’uscita.
«La Calabria brucia per il delirio nichilistico di una volontà umana ebbra e devastante – ha scritto in questi giorni -. La verità è che qui la tragedia della natura è il seguito degli altri disastri di una democrazia senza qualità, degenerata in abuso, governo caotico di un blocco di potere disordinato, tetragono e quasi privo di regole intellegibili». E invece no, le “regole” sono intellegibili e come. Qui si vota il prossimo ottobre per eleggere il Consiglio regionale, e tutto appare drammaticamente chiaro. Il “sistema calabrese” ha già apparecchiato il tavolo, è già tutto pronto perché tutto possa continuare come prima. Come sempre.
Le elezioni
La destra, che oggi è rappresentata al vertice della regione dal cabarettista senza cabaret Nino Spirlì, praticamente non sta facendo campagna elettorale.
Si limita a distribuire prebende. Portaborse, incarichi a termine. Un candidato c’è, Roberto Occhiuto, capogruppo alla Camera di Forza Italia, e i voti arriveranno.
Come sempre portati dalle “famiglie politiche” che si spartiscono il potere calabrese da un trentennio. Basta sistemare un figlio, una moglie, un parente stretto in Consiglio. Pd e rimasugli dei Cinquestelle, anche loro hanno un candidato. Si chiama Amalia Bruni e di mestiere faceva la scienziata.
Si definisce il Draghi della Calabria e pensa che la ‘ndrangheta vada combattuta solo nei Tribunali. Invoca trasparenza e rinnovamento, ma anche lei deve sottostare al potere delle sue “famiglie politiche”. I cacicchi che da sempre dominano il partito da Reggio a Cosenza.
C’è poi Luigi de Magistris, per poche settimane ancora sindaco di Napoli. Calabrese per il passato mestiere (pm a Catanzaro) e per legami familiari. Da mesi è in campagna elettorale. Gira città e paesi, fa liste con bei nomi della società civile, facce e storie pulite senza pacchetti di voti. Si è alleato con altri “anomali” come Mimmo Lucano e Anna Falcone. A suo sostegno sono scesi in campo centinaia di artisti e intellettuali di peso (quelli che il potere vero calabrese odia e neutralizza). La sua è una lunga e difficile marcia.
Brucia la Calabria e i calabresi vedono volare sulle loro teste i Canadair e gli elicotteri. Gli aerei che prendono acqua dal mare e la riversano sui boschi in fiamme, costano allo Stato 5mila euro l’ora. Un grande affare nelle mani di sette compagnie. Le chiamano le “sette sorelle dell’aria”. Ma questa è un’altra storia tutta italiana.
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