- In Italia la necessità di pensare meno al mondo e più al nostro paese si attesta al 71 per cento
- Il 70 per cento degli italiani ritiene che la mondializzazione abbia generato svantaggi per i popoli e vantaggi solo per i ricchi.
- Il 64 per cento degli italiani ritiene che le dinamiche dei mercati globali stiano uccidendo la nostra economia e, il 68 per cento, avverte la globalizzazione come una minaccia distruttiva della nostra cultura
Lo spettro che si aggira per il nostro pianeta e che si presenta prodigo di nuove tensioni e conflitti è quello dell’iper-egoismo nazionale.
La primazia, la volontà di difendere innanzitutto il proprio acquisito e le proprie prerogative nazionali, senza considerarsi parte delle sfide più globali, è un vulnus che tocca la stragrande maggioranza delle opinioni pubbliche sparse per il mondo.
La ricerca realizzata a ottobre 2022 da Ipsos global advisor in 33 nazioni è, da questo punto di vista, eloquente: il 79 per cento dei cittadini delle realtà monitorate ritiene che, in questa fase, sia giusto concentrarsi prioritariamente sul proprio paese e occuparsi meno di quello che accade nel mondo.
La classifica
Ai vertici di questa classifica ci sono l’Indonesia (90 per cento), il Sud Africa e la Corea del sud (89), la Malesia e il Perù (87), la Romania e la Turchia (86), la Colombia (84), Il Cile e l’India (83), il Messico e l’Argentina (rispettivamente 82 e 81 per cento). In tutti gli altri paesi il dato è compreso tra il 70 della Germania e il 78 per cento di Brasile, Canada, Gran Bretagna, Irlanda, Thailandia.
In Italia la necessità di pensare meno al mondo e più al nostro paese si attesta al 71 per cento, ed è, insieme alla Germania il dato più basso. In Svezia, Spagna, Olanda e Francia siamo al 72 per cento, mentre in Ungheria al 73 per cento. Completano la classifica Giappone (74), Belgio (75), Ucraina e Australia (76), Stati Uniti e Polonia al 77 per cento. Il dato di ripiegamento primatista non è nuovo, ma risulta in ulteriore aumento rispetto agli anni precedenti.
I paesi in cui i sentimenti di primazia sono lievitati maggiormente sono la Corea del Sud (+ 19 per cento), il Sud Africa (+ 11 per cento), l’Olanda (+9), l’India (+8), la Gran Bretagna (+7), la Turchia (+6), nonché l’Italia, insieme a Malesia e Perù (+5 per cento). Questo sentimento di ripiegamento difensivo si accompagna, in Italia, a una forte critica al processo di globalizzazione. Il 70 per cento degli italiani ritiene che la mondializzazione abbia generato svantaggi per i popoli e vantaggi solo per i ricchi.
Il 64 per cento ritiene che le dinamiche dei mercati globali stiano uccidendo la nostra economia e, il 68 per cento, avverte la globalizzazione come una minaccia distruttiva della nostra cultura. A questi tratti si associano, sempre tra gli italiani, alcuni sintomi di crescita della ripresa di disaffezione europeista. La fiducia nell’Unione europea è scesa dal 59 per cento di fine 2020 al 53 per cento di dicembre 2022.
La spinta a essere più europeisti è crollata dal 48 per cento di due anni fa al 39 per cento di oggi. Analogamente, l’impulso verso una maggiore integrazione continentale con un unico governo europeo, un'unica politica economica e fiscale, nonché verso gli Stati Uniti d'Europa è calato dal 42 per cento del 2020 al 33 per cento di adesso. Complessivamente, nell’opinione pubblica nostrana, è diminuita di 8 punti percentuali la valutazione della capacità dell’Unione europea di svolgere un’influenza positiva sugli affari mondiali (dal 75 per cento al 67).
Lo scetticismo italiano sulla capacità degli attori globali di giocare un ruolo positivo nella gestione degli affari mondiali colpisce anche la Nato (con una riduzione di tre punti dal 59 al 56 per cento) e la Banca Mondiale (con una riduzione di un punto, dal 51 al 50 per cento). L’Italia, con il suo 63 per cento, è tra i paesi in fondo alla classifica sul ruolo dell’Onu, insieme a Turchia, Spagna e Giappone. Analoga posizione la riscontriamo sul Fondo Monetario Internazionale.
Il giudizio sulla capacità di influenzare positivamente gli affari globali da parte dell’Fmi è al 52 per cento in Italia, insieme a Francia e Germania e poco sopra a Ungheria, Romania, Belgio, Turchia e Argentina che chiudono la classifica. L’indebolirsi degli attori mondiali, l’accentuarsi dei ripiegamenti entro le proprie frontiere, l’iper-egoismo nazionalistico sono processi che mettono a rischio la capacità di fare fronte alle grandi sfide dell’economia, dell’ambiente, della pace, dell’equità e della riduzione delle disuguaglianze.
Se la globalizzazione ha generato frustrazioni, paure e sensi di inferiorità, la chiusura, l’isolamento e le barriere sono foriere di conflitti, tensioni, nuove divisioni e non certo di soluzioni. L’iper-egoismo nazionale è un macigno collocato sul futuro, incapace di generare quello sviluppo cooperativo, equo e sostenibile di cui il mondo, oggi più che mai, ha bisogno.
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