- Ieri, una commissione delle Marche ha autorizzato per la prima volta l’utilizzo di un farmaco e stabilito le modalità di somministrazione per rendere possibile il suicidio assistito di un 44enne tetraplegico.
- È una decisione basata sulla sentenza Cappato del 2019, che stabilisce quattro criteri che rendono non punibile, e quindi praticabile, il suicidio assistito. Ma per arrivarci è stata necessaria una battaglia legale lunga più di un anno.
- Senza una norma in materia, l’eutanasia resterà sempre un percorso ad ostacoli, nonostante le sentenze. Ma la strada per migliorare la situazione è complicata: una legge su cui il parlamento non è d’accordo e un referendum dall’esito incerto e probabilmente non conclusivo.
La commissione di esperti nominata dall’Azienda sanitaria unica regionale delle Marche (Asur) ha dato ieri il via libera all’utilizzo del Tipentone per il suicidio assistito di “Mario”, nome di fantasia di un 44enne marchigiano tetraplegico che da oltre un anno cerca di ottenere l’eutanasia sulla base della cosiddetta sentenza Cappato-Dj Fabo del 2019.
L’autorizzazione del farmaco e delle modalità di somministrazione era uno degli ultimi passaggi necessari. L’Associazione Luca Coscioni ha definito la decisione «storica»: per la prima volta, le autorità sanitarie italiane stanno collaborando attivamente per aiutare una persona che vuole ottenere il suicidio assistito.
Ma il percorso seguito da “Mario” è stato tutt’altro che semplice, tra denunce, ricorsi, tribunali e sentenze. Il problema, come denunciato da tempo, è che l’Italia non ha una legge sul fine vita, ma solo una collezione di sentenze che è molto difficile mettere in pratica senza un quadro normativo di riferimento.
La sentenza Cappato
La richiesta di eutanasia di “Mario” è basata sulla sentenza del 2019 che stabilisce quattro condizioni per la non punibilità dell’assistenza al suicidio: la persona che la richiede deve essere tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale, deve essere affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che reputa intollerabili, deve non volersi avvalere di altri trattamenti sanitari per il dolore o la sedazione profonda, ed essere infine pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli.
Si tratta di una sentenza della Corte costituzionale, arrivata in seguito al coinvolgimento dell’ex deputato radicale Marco Cappato nel processo per la morte di Fabiano Antoniani, meglio noto come Dj Fabo. Cappato è stato processato per aver accompagnato Antoniani in Svizzera, in una clinica dove si praticano suicidi assistiti. Il caso è arrivato fino al supremo tribunale costituzionale, che ha stabilito le condizioni alle quali il suicidio assistito non è punibile. Come dimostra il caso di “Mario”, però, le sentenze della corte non sono sufficienti per vedersi garantito un diritto. Senza una legge sul fine vita, infatti, mancano tutti i provvedimenti applicativi che stabiliscono chi, come e quando può provvedere all’assistenza.
Il vuoto legislativo
Sono circa 15 mesi che “Mario” è impegnato in una battaglia legale per ottenere l’eutanasia, una richiesta inizialmente respinta dall’Asur della Marche e contro la quale Mario ha fatto appello al tribunale di Ancona, che gli ha dato ragione, obbligando le autorità sanitarie a verificare se il suo caso rispettava le quattro condizioni stabilite nel 2019.
«Sul cosiddetto “aiuto al suicidio”, da oggi in Italia abbiamo delle regole precise, stabilite dalla Corte costituzionale – hanno detto ieri Cappato e Filomena Gallo, segretaria nazionale dell'Associazione Luca Coscioni – Sarebbe ora grave se il Parlamento insistesse a voler approvare delle norme, come quelle in discussione alla Camera, che restringono, invece che ampliare, le regole già definite dalla Corte costituzionale».
Il parlamento però non sembra vicino all’approvazione di un’ampia legge sul fine vita, né di quella, più limitata, in discussione in questi giorni. La legge è bloccata dalle divisioni interne alla maggioranza, osteggiata dal centrodestra e da gran parte dei centristi.
Le norme dovrebbero essere discusse dall’aula della Camera questa settimana, per poi passare al Senato, ma il governo non ha inserito il tema tra le sue priorità. Inoltre Lega e Fratelli d’Italia annunciano un’opposizione durissima e i tempi per avere una legge si prospettano molto lunghi. Il ministro della Salute Roberto Speranza ha provato a sbloccare la situazione con un decreto ministeriale che cerca di formalizzare almeno una parte del percorso verso il suicidio assistito. Il decreto è al momento all’esame delle regioni.
Il referendum
Nuova pressione sul parlamento affinché trovi una soluzione al vuoto legislativo potrebbe arrivare il prossimo il prossimo 15 febbraio, quando la Corte costituzionale dovrà esprimersi sulla richiesta di un referendum sull’eutanasia legale che punta all’abrogazione delle norme sulla punibilità dell’assistenza al suicidio. Se la corte dovesse ritenere i quesiti ammissibili, il referendum sarà sottoposto agli elettori tra aprile e maggio. Trattandosi però di un referendum abrogativo, anche in caso di vittoria dei sì e di raggiungimento del quorum servirà comunque una legge per identificare una procedura che renda possibile il suicidio assistito senza trascorrere anni nei tribunali.
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