Aggiornamento: il tribunale della Libertà di Reggio Calabria il 27 marzo 2025 ha revocato gli arresti domiciliari a Marjan Jamali, che attenderà l’esito del processo, atteso per il 28 maggio, in libertà. 

Locri – «Mi chiamo Marjan Jamali». La donna iraniana agli arresti domiciliari con l’accusa di favoreggiamento dell’immigrazione irregolare ha scelto di parlare in italiano e inizia così il suo esame davanti al collegio del tribunale di Locri. «Ho aspettato 17 mesi per parlare con i giudici, sono stanca». Jamali aveva voglia di spiegare in una lingua che non è la sua, ma che è quella di chi è chiamato a giudicarla e a decidere se rimetterla o meno in libertà. «Vorrei chiedere di togliere la misura del braccialetto elettronico. Non è mia intenzione scappare, vivo con mio figlio e si spaventa quando i carabinieri vengono alle tre di notte», ha detto ai giudici.

Dal 27 ottobre 2023 al 16 novembre 2024 «non ho mai parlato con una persona nella mia lingua», ha detto in udienza, spiegando che non aveva capito il perché dell’arresto. La donna è stata arrestata il 28 ottobre 2023, poco dopo aver toccato il territorio italiano, per il reato di favoreggiamento dell’immigrazione irregolare, perché accusata di aver aiutato chi guidava la barca salpata dalle coste turche. 

«Vivevo una situazione molto brutta in Iran con il mio ex marito, mi picchiava», ha raccontato Jamali, che – ha spiegato – dopo cinque anni di matrimonio ha deciso di divorziare. La donna ha poi detto ai giudici di essere finita in ospedale per 13 giorni per un’aggressione da parte dell’ex partner, che continuava a perseguitarla. «Mi diceva: “Non ti lascerò vivere tranquilla”».

La donna ha spiegato in udienza che la legislazione iraniana prevede, in caso di divorzio, che l’affidamento del figlio spetti al padre dopo gli 8 anni. Ha quindi deciso di lasciare l’Iran «per cercare un posto sicuro in cui crescere mio figlio», pagando «9mila euro per me e 5mila per il bambino», ha aggiunto.

Da Teheran a Istanbul Jamali e il figlio hanno viaggiato in aereo. Dopo un mese, ha raccontato, sono stati portati con un’altra decina di cittadini iraniani a Marmaris, dove si sono imbarcati con altre cento persone verso l’Italia.

Le accuse

Le accuse a Jamali si basano sulle dichiarazioni di tre passeggeri su 102 che, appena sbarcati, hanno sostenuto che la donna avesse il ruolo di raccogliere i cellulari prima della partenza. Per la procura avrebbe svolto «mansioni meramente esecutive e di collaborazione nell’operazione coordinata da trafficanti attivi sul territorio turco». 

Ma l’uomo che ha materialmente guidato la barca, che ha patteggiato la pena ed è stato chiamato dalla difesa come teste, ha detto in udienza: «L’imputata era una migrante come tutti gli altri, non c’entrava niente con l’organizzazione». Jamali viaggiava con il figlio di 8 anni e, secondo il racconto del testimone, è stata con tutti gli altri sottocoperta. «Saliva ogni tanto per prendere una boccata d’aria perché non si sentiva bene», ha continuato l’uomo.

Davanti ai giudici la donna ha raccontato di aver subito una violenza sessuale durante il viaggio: «Mentre dormivo ho sentito delle mani che mi toccavano in diverse parti», e ha indicato la guancia, l’inguine e il seno. Proprio su questi racconti è stata basata la denuncia per violenza sessuale presentata dalla donna a febbraio 2024.

Diritto di difesa

Sbarcata in Italia, è stata subito accusata dai tre uomini di essere un membro dell’equipaggio. Tre persone su 102, le stesse che si sono poi rese irreperibili e non sono più state rintracciate né sentite nel processo. Non è stata interrogata, né ha potuto parlare con un mediatore che parlasse il persiano. «Mi chiedevo: perché sono qua?». 

Ai giudici Jamali ha spiegato che le avevano detto che sarebbe stata solo per una notte «nella stanza della polizia» e che il giorno dopo avrebbe rivisto il figlio. Non è stato così, è stata reclusa nel carcere di Reggio Calabria per 7 mesi, lontana dal bambino. Fino al 31 maggio, quando le è stata modificata la misura con quella del braccialetto elettronico e del divieto di comunicazione. Il 27 marzo è fissata un’udienza di appello del riesame. Mentre il processo dovrebbe concludersi il 28 maggio.

L’articolo 12

Marjan Jamali è imputata per il reato di favoreggiamento dell’immigrazione irregolare, previsto dall’articolo 12 del Testo unico sull’immigrazione. Rischia fino a sedici anni di carcere e una multa di 15mila euro per ogni persona a bordo. «L’articolo 12 prevede sanzioni per chi facilita l’ingresso irregolare di stranieri, senza però distinguere tra chi lo fa per profitto e chi agisce in situazioni di emergenza», spiega Francesca Corbo di Amnesty International. 

Nel 2023 erano 1.216 le persone che come Jamali erano recluse per questo reato. Lo stesso per cui è stata imputata Maysoon Majidi, l’attivista curdo-iraniana, detenuta per oltre 300 giorni, poi liberata e infine assolta lo scorso febbraio per non aver commesso il fatto.

Il decreto approvato dal governo dopo la strage di Cutro, che ha aumentato la pena, per Corbo ha rafforzato «l’approccio criminalizzante del governo», inasprendo le pene, «senza però considerare le vere cause del traffico di esseri umani e cioè la mancanza di canali di accesso legali e sicuri».

Amnesty chiede che «l’articolo 12 venga adeguato al protocollo delle Nazioni Unite sul traffico di esseri umani, adottato nel 2000 e ratificato dall’Italia, che riconosce il traffico di esseri umani solo quando vi è un vantaggio economico». E, inoltre, che vengano introdotti «canali di accesso legali e sicuri in mancanza dei quali i viaggi irregolari e il contatto con i trafficanti sono le uniche vie possibili per chi cerca di fuggire da contesti di crisi, esattamente come successo Marjan Jamali».

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