Il servizio di mensa scolastica diventa ogni anno più costoso per le famiglie e le disuguaglianze territoriali penalizzano il Sud, dove bambine e bambini hanno minori possibilità di accesso alle mense scolastiche. In Italia, nella scuola primaria, poco più un bambino su due ha accesso al servizio mensa e meno di due classi su cinque sono a tempo pieno.

Il tema delle mense scolastiche, quindi, diventa fondamentale, insieme alla portata della spesa economica, distribuita in modo asimmetrico, sulle spalle delle famiglie. Il costo medio per nucleo familiare infatti, calcolato dalla Scuola di Cittadinanzattiva, è di 85 euro al mese, in crescita di oltre il 3 per cento rispetto allo scorso anno.

Le mense nel Pnrr

Tra gli obiettivi indicati nel Pnrr, è prevista la creazione di circa 1.000 nuove mense scolastiche. Purtroppo, ad oggi, sulla base dei pochi dati disponibili relativi all’andamento dei lavori, si registra un ritardo anche per questo filone di finanziamenti per cui la effettiva disponibilità di gran parte di queste nuove o rinnovate mense si avrà solo a partire dal secondo semestre del 2026.

A conti fatti, per Save the Children, le disparità territoriali esistenti saranno solo parzialmente sanate con i fondi del Pnrr: «gli investimenti previsti sono certamente utili ma al momento non è possibile stimare quanti saranno i nuovi posti mensa effettivamente creati né se tali posti garantiranno l’accesso ai minori in condizioni di maggiore vulnerabilità. Inoltre, per garantire un pasto sano a tutti i bambini di una scuola, è necessario che i Comuni siano in grado di organizzare e finanziare un servizio di qualità giorno per giorno».

Secondo l’ultimo rapporto di Cittadinanzattiva, inoltre, in Basilicata si paga di più di tutte le altre regioni, mentre in Sardegna si trovano le più economiche ma, ancora una volta, il Sud e le isole sono fortemente penalizzate sul numero di locali mensa.

Nonostante sia ormai noto quanto le mense scolastiche servano a contrastare la povertà alimentare (un bambino su 20 vive in povertà alimentare e circa tre minori su dieci sono in sovrappeso o obesi), non sono riconosciute come servizio pubblico essenziale. Nel Pangi, Piano di azione nazionale per l’attuazione della garanzia infanzia, il servizio di refezione scolastica è annoverato tra gli strumenti per prevenire e contrastare l’esclusione sociale dei minori.

In particolare, tra le raccomandazioni del piano, c’è quella di rendere l’offerta di un pasto sano al giorno, un servizio pubblico essenziale per il quale stabilire uno specifico Lep (Livello essenziale delle prestazioni). Per rendere il servizio universale, dunque, è necessario garantire gradualmente l’accesso gratuito a tutti, partendo dai bambini e dalle bambine che vivono in famiglie in condizione di povertà assoluta.

Lotta alla povertà educativa e alimentare

Le mense sono quindi fondamentali alleati alla lotta alla povertà educativa e a quella alimentare: entrambi questi fenomeni sono collegati, se si considera che la disponibilità di mense è la premessa per l’erogazione del tempo pieno, dell’apertura delle scuole di pomeriggio e per la realizzazione delle molteplici attività integrative.

Proprio per questo, le associazioni sottolineano come sia ingiusto che due terzi degli studenti della scuola primaria dispongano di un tempo di istruzione ridotto, che corrisponde a un anno in meno di scuola e che, nella scuola secondaria di primo grado, possano usufruirne solo il 13 per cento di ragazze e ragazzi. L’aspetto ancor più grave è che questa riduzione del tempo si concentri nel sud del paese e nelle aree interne, cioè nei luoghi in cui maggiore è la dispersione scolastica e più estese le povertà educative.

Per la rete EducAzioni i nuovi dati sulla deprivazione alimentare, relativi al 2021, ribadiscono quanto era emerso da quelli del 2019, elaborati da Istat per il gruppo Crc: allora era risultato come la regione con la quota più alta di minori che non consumano almeno un pasto proteico al giorno fosse la Sicilia, seguita da Campania e Basilicata. Un segnale «di possibile povertà alimentare, che gli indicatori più recenti sembrano confermare.

Due in particolare: la quota di famiglie che dichiarano di aver attraversato nel 2021 difficoltà economiche tali da impedire l’acquisto del cibo necessario, è stata sperimentata dal 4,9 per cento dei minori di 16 anni in quell’anno. La quota di persone che non hanno consumato almeno un pasto proteico al giorno, perché non potevano permetterselo, riguarda il 2,5 per cento dei minori».

Per Save the Children «un primo passo in questa direzione sarebbe istituire un “Fondo di contrasto alla povertà alimentare a scuola” da destinare ai Comuni che utilizzano una quota di bilancio per consentire l’accesso alla mensa agli studenti della scuola primaria in difficoltà economiche e aumentare le risorse destinate al Fondo di solidarietà comunale». L’apertura di nuove mense come sistema di welfare, mai effettivamente messo in campo, avrebbe come benefici quello di estendere il tempo pieno e avrebbe effetti positivi anche per le famiglie, in modo particolare per quanto concerne l’occupazione femminile.

Nonostante i progressi compiuti negli anni, il sistema educativo in Italia presenta ancora numerose carenze, che si riflettono negli elevati tassi di dispersione scolastica e hanno come risultato disparità profonde, che investono tanto la sfera educativa quanto quella socioeconomica in cui crescono i minori. Disuguaglianze e discriminazioni, dunque, si stanno esacerbando, ma la scuola è il primo luogo dove è necessario e possibile arginarle, a partire dal tempo pieno garantito per tutte le bambine e i bambini dello stivale.

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