Da Mario Brega a Ricky Memphis, c’è qualcuno che rovina l’atmosfera, ma che arricchisce il racconto portando il desiderio d’essere altro. Il punto è che l’incontro è stato televisivo. Perché è stato un incontro di wrestling. Infatti, qui, ora a Roccaraso non resta niente. È stato solo un grande ingorgo di una domenica. Fra qualche anno ci sarà persino chi rimpiangerà l’invasione. Un momento di vita diverso nella monotonia delle domeniche sulla neve.
La differenza non è tra ricchi e poveri, tra roccarasini e lazzari, ma tra drappeggiati e aderenti. È questa la grande distanza tra chi viene a scoprire la neve e chi scia. Tra chi viene a rubare una giornata che non ripeterà mai più e chi torna ogni fine settimana, tra chi ha la casa e chi solo la voglia di scoprire la neve.

Roccaraso è una cipolla. C’è un pezzo per tutti, nelle domeniche normali come questa. Poca neve, assunto fantozziano, quando i meno abbienti si presentano sulle piste: la neve scompare, diventa nera, grigia, non si lascia cavalcare, non concede bellezza, scompare. Bisogna arrangiarsi.
Il paese sembra presidiato come se ospitasse un G8: polizia, carabinieri, finanza, forestale, che guardano le truppe napoletane passare. Hanno pericolose buste alla Renato Pozzetto – più ragazzi di campagna che black bloc – doposci sformati, tute dai colori accesi e larghe, cadenti, composte da spezzati che rimandano più ai pigiami che alle divise di Sofia Goggia e vistosi colbacchi con lupino al guinzaglio, lunghi piumini deformati dalle bottiglie d’acqua nelle tasche e una vistosa allegria canina avrebbe detto Goffredo Parise; la neve è il loro luna park oggi, in più li intervistano come se fossero dei Neil Armstrong di seconda categoria che sbarcano a Roccaraso e non sulla Luna.
Pochi pullman
Alle nove e quaranta i pullman sono solo tre, sostano lungo la statale, sembrano scialuppe di salvataggio che svuotano i naufraghi sulla strada vista stazione, intorno solo case chiuse e ghiaccio color nostalgia. Nessuno sbarco, uno sbarchetto con colazione in busta e grandi aspettative nonostante non ci sia il sole e tiri un leggero vento che alla fine della giornata avrà stropicciato i visi e le mani senza guanti.
Mezz’ora dopo, gli altri, gli aderenti, a Pizzalto, arrivano in auto, perlopiù Suv, con sci, caschetti, giacche a vento aderentissime e pile di primo pelo, esibendo le marche e la tinta unita, gli accoppiamenti giusti, e nessun attimo di paura: sono eretti e sicuri, salgono senza fila e scendono veloci.
Alla fine c’è anche il prossimo campione del gigante di sci, un bambino di 8 anni che passa tre volte nel giro di pochissimo, un furetto, peccato che Cortina sia domani, nel 2026, e non dopodomani. Con lui passano con l’abitudine che si usa in casa andando dalla cucina al salotto: gli habitué, c’è chi prende la sdraio, chi fa colazione, chi aspetta gli amici.
Sono i Covelli dei Vanzina ma non incontrano i Torpigna, li leggono sui giornali, li vedono alla tivù, li guardano dall’alto nella loro vita faticosa.
Il palettone
Anche due domeniche fa quassù nessuno si è accorto di nulla come racconta Miriam, maestra di sci per bambini da venti anni a Roccaraso, napoletana. Il tempo che gli aderenti impiegano a salire e scendere dalle piste è lo stesso che i morbidi, i traballanti, i drappeggianti hanno impiegato per attraversare il paese e raggiungere la seggiovia al centro, quella per chi non scia. La piazza dove c’è la discoteca, bar e ora cantiere, L’Ombrellone, dove è avvenuto l’affollamento e la sosta di classe, dove le differenze si sono incontrate senza appuntamento né voglia, dove tutto è cominciato, con la complicità della TikToker Rita De Crescenzo, all’incrocio dei desideri comuni.
Dove ora ci sono trenta bagni chimici e quattro bidoni dell’immondizia. Di lato all’Ombrellone c’è una lingua grigia di ghiaccio che qualcuno con il palettone sfida in discesa, a capofitto. Il palettone è lo slittino dei poveri o la nuova busta per scivolare, una sorta di paletta che riesce a tenere la misura del culo degli arditi della discesa. È la risposta allo snowboard. Che si pratica su, lontano, con gli eretti, i sicuri.
A cinquant’anni da quando Gustavo Thoeni vinse la sua quarta e ultima coppa del mondo, da quando gli italiani vollero scoprire in massa la neve con la stessa curiosità che Novella Calligaris generò per le piscine, c’è una nuova generazione di ventenni, tutti studenti di medicina, che non aveva mai visto la neve dal vivo fino ad oggi.
Nicola, Antonio, Cristina, Angela, Giovanna, che vengono dalla provincia di Caserta (Lusciano, Teverola, Trentola) ora sanno, hanno visto, toccato, misurato e forse a casa potranno sentire come Paolo Villaggio, in preda ad allucinazioni competitive, e dichiararsi azzurri di sci.
Sempre cinquant’anni fa Paolo Villaggio con Luciano Salce portava al cinema l’inadeguatezza degli italiani con un paio di sci ai piedi e una discesa da affrontare in Fantozzi.
Ma qua i lazzari non arrivano, non sfidano, non sciano. Vengono a prendere il sole, a fare una scampagnata e scoprire la neve come il gruppo di centocinquanta ragazzi del Bangladesh che – ovviamente – vengono da Napoli, a vivere la neve, per la prima e ultima volta, una cosa divertente che non faranno mai più, e spaventati dalla tivù si sono portati tutti una rosa oltre la busta gialla con acqua e panino.
Come spiega Simon, mediatore culturale. La rosa è per i residenti, per gli addetti alle seggiovie, per chi non li vuole, e il resto è per loro, una giornata normale, sulla neve, non hanno tute, né scarponi, ma jeans e scarpe da ginnastica, non devono divertirsi ma scoprire.
I guardoni della neve
Intanto al rifugio Gravare ci sono gli aderenti di mezzo, un altro tipo di lazzari, quelli che hanno rinunciato al pullman e hanno preso un van, sono una sorta di padroncini della cosa divertente che non faranno mai più, meglio organizzati e non costretti al CheckPoint, non bloccati al centro della neve o condannati alla seggiovia per chi non scia, possono scegliere di raggiungere le piste anche da non scianti. Sono i guardoni della neve. La conoscono e ammirano quelli che sciano. Come chi va a guardare decollare gli aeroplani. È curioso che la neve faccia sparire gli spigoli delle cose ma qui sia diventata il campo di battaglia di una giornata sola, di una invasione per sbaglio, di un desiderio collettivo che ha trovato una giornata particolare. Cercavano una collocazione diversa nel mondo a due passi da casa, nel modo sbagliato. E oggi che non ci sono invasioni, che le truppe sono esigue, il paese barricato con le saracinesche abbassate e solo i ristoranti sono aperti e pronti ai doppi turni, e gli albergoni sembrano bocche affamate che si stagliano sulle cime in una sorta di forme di Paul Thomas Anderson gotiche e decadenti, stinte e consumate, appaiono ombre enormi di una architettura vecchia e inospitale.
I roccarasini hanno una sola voce che dice: la neve è bella se non ci passa nessuno. O se quelli che passano ci scivolano su. Ma di quelli che sostano e che vogliono utilizzarla come un prato non sanno che farsene. È tutto qui. Volevano una bella giornata lacapriana lontana da Napoli e dal mare. L’industria del turismo si fonde con la cordialità tutta meridionale, diceva la voce dell’Istituto Luce, e poi aggiungeva c’è spazio per tutti sui candidi e sterminati campi di neve, parlando di 20mila unità, c’era una garanzia di neve da dicembre a maggio.
Era il 1965, e qua a Roccaraso si girava anche Resurrezione sceneggiato televisivo prodotto dalla Rai con Alberto Lupo nei panni del principe Dmitrij Ivanovic Nechljudov e Valeria Moriconi in quelli di Katjuša Maslova ritrovando la neve russa del romanzo a Roccaraso. Dove lo scrittore e sceneggiatore Enrico Vanzina ritrovava Giovanni Leone da ragazzino o Age e Scarpelli, in una Cortina minore, più vicina a Roma, dove passare una giornata sulla neve: «Come papà di Vacanze di Natale sono entusiasta di questa cosa, della morale che contiene. I cafoni invadono almeno quanto i nuovi ricchi. Che poi viene da lontano la storia del ricco e del povero che si incontrano sulla neve, il primo film così è Vacanze d’inverno (1959) di Camillo Mastrocinque scritto da Rodolfo Sonego».
Ma perché la giornata al mare crea meno problemi di quella sulla neve? «A mare la gente si spoglia, sulla neve la gente si veste e si vedono le differenze. Si possono contare i marchi, la spesa, il gusto».
Da Mario Brega, i Torpigna – da Tor Pignattara quartiere polare romano, almeno negli anni Ottanta – a Ricky Memphis, quindi dal 1983 al 2011, c’è sempre un malvisto che conquista le piste di sci, che rovina l’atmosfera, ma che arricchisce il racconto portando il desiderio d’essere altro. Il punto è che l’incontro è stato televisivo. Perché è stato un incontro di wrestling. Infatti, qui, ora a Roccaraso non resta niente. È stato solo un grande ingorgo di una domenica. Fra qualche anno ci sarà persino chi rimpiangerà l’invasione. Un momento di vita diverso nella monotonia delle domeniche sulla neve, ora lo sanno tutti anche in Bangladesh.
© Riproduzione riservata