Sono bastate poche ore nel nuovo anno per avere la prima morte sul lavoro: il 3 gennaio, al mattino, a Lamezia Terme. L’operaio che ha perso la vita diventa così un numero che si aggiunge a una delle statistiche che continuerà inesorabilmente ad aumentare, giorno dopo giorno, nel 2025. La stessa statistica a cui ha fatto riferimento il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, nel suo discorso di fine anno: «Non possono più bastare parole di sdegno: occorre agire, con responsabilità e severità. Gli incidenti mortali, tutti, si possono e si devono prevenire».

Ma la persona che ha perso la vita, Francesco Stella, un operaio di 38 anni, non meritava di diventare un simbolo: la prima morte bianca dell’anno. Stava lavorando nella zona industriale di San Pietro Lametino, in un’azienda che si occupa di profilati. Sarebbe caduto dall’impalcatura, da un’altezza di circa sei metri. Sul posto sono arrivati il magistrato di turno, il personale della polizia e gli ispettori del lavoro.

Secondo la Uil Calabria, è necessario quanto prima aprire un tavolo per discutere delle condizioni di lavoro. La segretaria locale, Mariaelena Senese, ha detto che «ogni vita persa è una ferita inaccettabile per la dignità del lavoro e per il futuro della nostra regione».

I morti in Calabria

In effetti, i dati sulla Calabria sono impietosi: quelli ufficiali, certificati dall’Inail, sono aggiornati a fine ottobre 2024. Ma parlano già di un aumento delle denunce di infortunio del 2 per cento rispetto all’anno precedente.

Bisognerà aspettare ancora qualche tempo per avere il bilancio definitivo, che permetterà un confronto più preciso, senza i rischi dell’effetto distorsivo di picchi che possono essere anche casuali.

Eppure, da qualche tempo i sindacati spiegano che anche solo un’unica morte sul lavoro sarebbe eccessiva e che bisogna puntare a far scendere quel numero a zero. Proprio come ha detto Mattarella, «gli incidenti mortali, tutti, si possono e si devono prevenire».

I dati in Italia

Da questo punto di vista, il 2025 è dunque già un anno negativo: ora può solo peggiorare. La morte dell’operaio a Lamezia Terme è diventata un fatto di cronaca nazionale proprio perché è la prima. Ma da ora in avanti ce ne saranno altre. Quasi sempre, le loro storie saranno riportate solo dai giornali locali: uno stillicidio continuo, che è ancora lontano dallo “zero” a cui si vorrebbe puntare.

Prendiamo qualche dato dagli anni scorsi: le denunce di infortunio sul lavoro nell’intero 2023 sono state 585.356, nei primi dieci mesi del 2024 erano già 491.439 (in aumento dello 0,4 per cento rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente).

Le denunce per infortuni mortali nel 2023 sono state 1.041, da gennaio a ottobre 2024 erano già 890. In altre parole, basta un minimo di verosimiglianza per ritenere che il caso di Lamezia Terme sarà solo il primo di una lunga serie.

Cosa fare

Ma cosa si può fare per fermare questo conteggio? «Il contratto nazionale edile prevede norme specifiche per la sicurezza sui cantieri, stabilendo obblighi per il datore di lavoro tra i quali la formazione obbligatoria dei lavoratori; la fornitura di dispositivi di protezione individuale (Dpi); la supervisione e il controllo da parte dei rappresentanti per la sicurezza», spiega Simone Celebre, segretario generale della sezione calabrese di Fillea, la Federazione italiana dei lavoratori dell’edilizia della Cgil.

«In più il contratto prevede norme specifiche per l’uso di impalcature, macchinari e nell’esecuzione di lavori in quota. Stabilisce inoltre obblighi specifici per la prevenzione degli infortuni, considerando l’alta pericolosità dei lavori in cantiere. Non applicarlo –  sostiene Celebre – non è solo una questione di responsabilità legale. Ne va della vita o della morte per i lavoratori».

Ovviamente è ancora presto per capire cosa sia successo a Lamezia Terme: saranno le indagini a chiarire se c’è qualche responsabilità. Se si allarga però il discorso al migliaio di morti che ci sono ogni anno sul lavoro, è naturale chiedersi quante di queste potevano essere evitate. E il conteggio non è neppure completo: vanno considerati anche gli infortuni, specie quelli invalidanti. E talvolta si muore non in un cantiere, ma nel tragitto da casa al lavoro.

Sulla strada

A fare un bilancio sull’anno appena passato è Emidio Deandri, presidente nazionale dell’Anmil, l’associazione fra lavoratori mutilati e invalidi del lavoro. «Per ora possiamo fare un bilancio solo provvisorio», spiega, in attesa appunto dei dati definitivi raccolti dall’Inail. «Ma da uno studio più approfondito, elaborato dai nostri tecnici, emergono alcune importanti particolarità nella dinamica infortunistica del 2024 che non hanno riscontro nelle statistiche degli anni precedenti». 

«La crescita degli infortuni nei primi 10 mesi 2024 è dovuta esclusivamente all’aumento degli infortuni in itinere (nel percorso casa-lavoro-casa) e di quelli dei lavoratori stranieri», spiega Deandri. «L’incremento di 2.000 denunce, infatti, non è altro che il risultato del saldo tra la crescita di 4.000 infortuni in itinere e la diminuzione di 2.000 occorsi in occasione di lavoro. In pratica, al netto degli infortuni in itinere, avremmo un calo dello 0,5 per cento».

«Una situazione analoga si verifica per gli infortuni mortali che nel 2024 registrano un calo di 15 decessi avvenuti in occasione di lavoro (da 672 si passa a 657 con una variazione di meno 2,2 per cento) e un aumento di 33 morti in itinere (da 196 si arriva a 233 con una variazione di più 18,8 per cento)».

Morti sul lavoro

Sotto le feste, in diverse zone d’Italia, l’Anmil ha inaugurato dei particolari alberi di Natale, costruiti con i caschi degli operai. È un modo simbolico per tenere accesa l’attenzione anche durante le vacanze. Ma, ancora una volta, è stata la cronaca a far tornare il discorso di attualità.

A dicembre, al deposito di carburanti di Calenzano, in provincia di Firenze, per un’esplosione sono morti cinque operai e altri 26 sono rimasti feriti. A novembre, in una fabbrica di fuochi d’artificio a Ercolano, sono morti tre giovani al loro primo giorno di lavoro. A maggio erano morti cinque operai a Casteldaccia, per l’inalazione di idrogeno solforato senza protezione. Ad aprile, in provincia di Bologna, erano morti sette lavoratori per l’esplosione alla centrale idroelettrica dell’Enel.

Il copione è ogni volta diverso, ma ha sempre un punto in comune: il protagonista è quasi sempre una persona, di cui spesso non si ricorda il nome, che aveva bisogno di lavorare per vivere e che ha smesso di vivere per colpa del lavoro.

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