«Non riesco a comprendere il perché quella notte ci hanno chiamato e hanno rifiutato il nostro supporto. Non saprei dire il motivo, ho una idea ma siccome non è basata su dati di fatti ma è una mera opinione preferisco non esporla». Della tragica notte del 24 febbraio 2023 il comandante regionale delle Capitanerie di porto Giuseppe Sciarrone non riesce a farsi una ragione.

Almeno 98 le vittime, tra cui 35 bambini, e un numero imprecisato di dispersi sono il bilancio del naufragio avvenuto a Steccato di Cutro diciotto mesi fa e in riferimento a cui a luglio scorso la procura di Crotone ha chiuso le indagini nei confronti di sei uomini appartenenti alla guardia di Finanza e alla guardia costiera.

Ed è proprio davanti al pubblico ministero del tribunale crotonese, Pasquale Festa, che Sciarrone, il quale non risulta tra gli indagati, parla. Le sue sommarie informazioni sono utili a ricostruire i fatti ma anche la catena di responsabilità in capo a chi, quella notte d’inverno in mezzo allo Ionio calabrese, avrebbe potuto cambiare il destino di cose e persone e forse non l’ha fatto.

«Non ricordo che mi sia stato riferito dal personale che la guardia di Finanza in altre occasioni abbia rifiutato l’ausilio dei nostri assetti (…) Se quella notte avessimo saputo che l’unità della Gdf aveva avuto delle difficoltà nella navigazione nelle zone delle operazioni è ovvio che avremmo immediatamente disposto l’impiego della nostra unità anche perché la guardia costiera non può consentire lo spiaggiamento di un’imbarcazione», prosegue il militare.

Una versione, quella di Sciarrone, diametralmente opposta a quanto sostenuto, in messaggi acquisiti dagli investigatori, dal comandante del Roan della guardia di Finanza, Alberto Lippolis. Per Lippolis non solo alla «Capitaneria di porto è stato chiesto un intervento», ma quest’ultima non sarebbe «mai uscita».

Il tavolo tecnico

Ma a prescindere dal rimbalzo di responsabilità, ciò che appare certa, leggendo le oltre 600 pagine di informativa redatta dal reparto provinciale dei carabinieri di Crotone, è la confusione legata a ruoli, incarichi, operatività, azione e interventi.

Chi avrebbe dovuto agire? Quali le regole riguardanti il soccorso in mare? Un caos dovuto anche e soprattutto ai cambiamenti di indirizzo politico in materia, ai cambiamenti circa la “classificazione” degli eventi.

Basti pensare che interrogato sul punto il commissario capo, funzionario addetto al centro nazionale per l’immigrazione del ministero dell’Interno, Rosario Anzelmo (anche lui non indagato), ha dei dubbi. «Chi è che decide come intervenire?», chiedono gli inquirenti. E Anzelmo risponde: «Non so dire, ritengo che le forze di polizia in mare dovrebbero concertarsi e decidere quale forza debba intervenire. Non saprei dire chi procede e come procede a nominare il responsabile della scena d’azione. Io non ho mai ricevuto indicazione di dover dare direttive operative, le uniche indicazioni operative fornite dalla direzione centrale avvengono nell’ambito dei tavoli tecnici».

E nel corso del tavolo tecnico del 2022, alla presenza dell’allora ministra dell’interno Luciana Lamorgese, «vengono riviste le modalità operative delle operazioni di law enforcement». «In quella riunione - dice inoltre Gianluca D’Agostino della guardia Costiera - si convenne che tra le 24 e le 12 miglia la Gdf avrebbe proceduto al mero monitoraggio della rotta del natante mentre l’intervento diretto sarebbe dovuto esserci all’interno delle acque territoriali, ossia nelle 12 miglia (…) Per questo noi la sera del 25 febbraio 2023 non siamo usciti. Perché l’operazione era stata classificata come operazione di polizia giudiziaria anche da noi in assenza di potenziali pericoli al momento della segnalazione».

All’interno delle carte giudiziarie testimonianze, dichiarazioni e interrogatori che, pertanto, risultano contraddittori tra loro. E sottolineano, ancora una volta, la confusione, il caos interpretativo legato a incarichi e funzioni.

I MESSAGGI DEI MILITARI

La procura di Crotone, al contrario, non ha dubbi: se i comportamenti degli indagati fossero stati «diligentemente tenuti» avrebbero impedito «che il caicco fosse incautamente diretto dagli scafisti verso la spiaggia di Steccato di Cutro» e che in prossimità delle coste «si sgretolasse urtando contro una “secca”, a seguito di una manovra imperita del timoniere».

Le autorità non hanno quindi impedito «l’affondamento del natante e la conseguente morte di almeno 98 persone, decedute tutte per annegamento».

Alle 7 circa del mattino, a seguito del naufragio, uno degli indagati, il tenente colonnello Nicolino Vardaro - finito nell’inchiesta come comandante del Gruppo aeronavale di Taranto e ufficiale deputato a impartire ordini al pattugliatore Barbarisi, dislocato sul territorio di Crotone, richiesto in supporto dal Roan di Vibo Valentia - invierà un messaggio inequivocabile agli uomini della sala operativa. «Che brutta storia!!», scriverà con due punti esclamativi.

Poco più tardi il tenente colonnello Alberto Lippolis, comandante del Roan di Vibo Valentia - indagato con, oltre a Vardaro, Antonino Lopresti, Francesca Perfidio, Giuseppe Grillo e Nicola Nania - risponderà a un altro messaggio del collega. «So’ migranti (...) Un mesto tranquillo». E poi, abbandonando il tono ironico, continuerà: «Una tragedia (…) La barca si è disintegrata (…) Stavo meditando sul fatto che potrebbe capitare con i nostri militari a bordo».

In realtà a naufragare saranno soltanto quelle donne, quegli uomini e quei bambini che erano pronti a varcare la frontiera, ignari che di lì a poco sarebbero sprofondati nell’abisso di una terra lontana da casa, insieme alle coscienze di tutti.

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