«Alla Capitaneria di porto l'abbiamo… ne abbiamo richiesto l'intervento già a mezzanotte, hanno dato disponibilità ma non sono mai usciti». È il tenente colonnello Alberto Lippolis, comandante del Roan della guardia di finanza di Vibo Valentia, a mettere nero su bianco queste parole. Sono quelle contenute nel messaggio che invia al collega Nicolino Vardaro, comandante del Gruppo aeronavale di Taranto. Al centro della discussione c'è la Summer Love, l'imbarcazione che nella notte tra il 25 e 26 febbraio del 2023 viene inghiottita dalle acque al largo di Steccato di Cutro, in provincia di Crotone.

Un naufragio, quello di diciotto mesi fa, in cui muoiono 98 persone, tra cui 35 bambini. Persone che, secondo la Procura della città pitagorica che a luglio ha chiuso le indagini sulla tragica vicenda, avrebbero «potuto salvarsi». Sei gli indagati. Oltre a Lippolis e Nicolino, ci sono Giuseppe Grillo, Antonio Lopresti, Nicola Nania e Francesca Perfido: finanzieri e uomini della guardia costiera tutti accusati di naufragio colposo e omicidio colposo.

«La Capitaneria di porto non ha ritenuto di uscire però, insomma, abbiamo richiesto tutto eeh! Abbiamo fatto tutto quello che c'era da fare…», continua a scrivere Lippolis. Un messaggio che gli inquirenti acquisiscono perché fondamentale nella ricostruzione della catena di responsabilità in capo a chi avrebbe dovuto sorvegliare, vigilare, proteggere. E forse non lo ha fatto.

È così che l'informativa dei carabinieri del comando provinciale crotonese torna indietro a quella terribile notte. Verbali, dichiarazioni, testimonianze sono i pezzi di un puzzle da mettere insieme, necessari a fare luce su quanto avvenuto l'inverno di un anno fa in mezzo allo Ionio calabrese.

«Con Salvini più restii»

C'è ad esempio l'escussione a sommarie informazioni di Alberto Catone, già comandante del Roan della Guardia di Finanza di Vibo Valentia. «Voglio precisare che quando sono arrivato in Calabria la Capitaneria di porto era molto restia a operare in mare in operazioni Sar laddove non c'era una situazione ci conclamato pericolo. Questo aspetto dipendeva dall'approccio dell'allora ministro dell'interno balzato agli onori della cronaca con il caso Diciotti», dichiara Catone.

Le dichiarazioni del comandante fanno pertanto riferimento alla vicenda del 16 agosto 2018 quando la nave Ubaldo Diciotti della guardia costiera italiana soccorre 190 migranti nelle acque internazionali al largo dell'isola di Malta. Le autorità italiane sono informate dal 14 agosto della presenza del barcone carico di persone, ma si aspettano che sia Malta a intervenire perché la nave è nella zona di ricerca e soccorso maltese. A ogni modo dopo che la guardia costiera italiana decide di intervenire, il 20 agosto, al momento dell'approdo nel porto di Catania, il comandante della nave riceve l'ordine di non calare la passerella per far scendere i migranti. L'ordine proviene direttamente dal ministro dell'Interno, Matteo Salvini. Ed è a Matteo Salvini che Catone si riferisce quando viene sentito dagli investigatori, sottolineando - sembrerebbe - una sorta di precauzione da parte degli uomini della Capitaneria in quanto a interventi in mare. Dopo il caso Diciotti, insomma, tutto pare essere cambiato.

Quanto, dunque, gli indirizzi politici hanno influito sulle scelte degli ufficiali in servizio quella notte a Steccato di Cutro? E soprattutto quali conseguenze hanno provocato sulla pelle di uomini e donne che cercano di attraversare la frontiera.

Di certo, si legge nell'informativa dei carabinieri, «i fatti di Steccato di Cutro rappresentano unanimemente la linea spartiacque nel complesso scenario» dei soccorsi in mare. «Non si può accettare come risposta dello Stato un ritorno al passato, ai modelli operativi del 2019 o peggio del 2003».

C'è quindi - o dovrebbe esserci - una linea immaginaria tra le politiche di aiuto pre e dopo Cutro. Anche quei 98 morti di febbraio 2023 hanno cercato di vacarla, quella linea. Era il confine tra la vita di prima e il futuro.

© Riproduzione riservata