Salire in cima a un’impalcatura, montare gazebo e palchi, guidare muletti e lavorare in cantiere: tra gap salariale e sessismo, la coop Città Invisibile cerca di smontare la retorica secondo cui certi impieghi devono per forza essere svolti dagli uomini
Salire in cima a un’impalcatura, montare gazebo e palchi di grandi eventi, guidare muletti e lavorare in cantiere: nella cooperativa Città invisibile, nessuna di queste cose è prerogativa solo dei maschi, ma è sempre stato un lavoro corale fin da quando la cooperativa è stata aperta. Ma, come Italo Calvino nelle Città invisibili, dove si narra di città costruite di desideri e di paure tra regole incredibili e prospettive ingannevoli, anche la realtà di questa cooperativa viene spesso a contatto con l’assurdo del nostro tempo.
Città invisibile, in tutto il nord Italia, si occupa di montaggio e allestimento di fiere, concerti e festival. Forte del suo attivismo sociale, privilegia collaborazioni in contesti di solidarietà e mutualismo. Ma questa cura nelle relazioni di lavoro, come spiega a Domani il presidente della cooperativa, Enrico Zulian, all’interno di questo settore è ancora lontana.
Durante la preparazione dei lavori di un cantiere, infatti, la squadra si è presentata a fare dei lavori per installare una pavimentazione. «Il cliente, vedendo una nostra dipendente donna, le ha chiesto – schernendola – se avesse la forza necessaria per fare quel tipo di lavoro, dato che “è un lavoro da uomini”». La risposta non si è fatta attendere, ed è arrivata simultaneamente e in modo compatto da lei e da tutta la squadra di lavoro: «Perché, c’è qualche problema?» e, da quella domanda ribaltata all’interlocutore sessista, è nata la necessità di rispondere con un comunicato stampa a tutti coloro che credono ci siano lavori che le donne non possano fare: «Esiste ancora la dinamica per la quale determinati lavori siano solo retaggio degli uomini».
La lavoratrice cui è stata posta la domanda, ci ha risposto che questa non è, purtroppo, una cosa nuova: «Accade a me come a molte altre colleghe, mentre montiamo palchi in quota, pavimentazioni o pedane. Lavorando ad un festival in provincia di Vicenza hanno guardato me e i miei colleghi dicendo “vi siete portati dietro la servetta?”. Alle richieste di immediate scuse, la persona in questione ha risposto dicendo “era solo una battuta”».
Le parole vomitate contro la lavoratrice, trovano terreno fertile in un clima generale fatto di un lessico e di un pensiero patriarcale e misogino, di cui anche il mondo delle maestranze dello spettacolo non è esente, come ricorda anche Zulian: «Denunciare pubblicamente quanto accaduto ci è sembrato naturale, mi ha stupito la grande reazione positiva delle persone sui social in merito all’argomento, in termini anche di condivisioni del post. Noi pensavamo fosse giusto e allo stesso tempo utile, ribadire una cosa che dovrebbe essere ovvia, ovvero che non devono esistere discriminazioni per nessuna ragione».
Ma, continua Zulian, c’è evidentemente ancora un gran lavoro da fare sul tema dei diritti delle lavoratrici: «Stiamo ricevendo messaggi personali di addette ai lavori che ci ringraziano per aver preso una posizione e fatto emergere un problema, evidentemente radicato anche in questo mondo». Proprio per questo, il loro comunicato non usa mezzi termini: «Siamo tutte parte della stessa squadra. Se a qualche cliente questa cosa non piace, saremo noi stessi valutare se continuare la collaborazione pur di tutelare la dignità del nostro personale tecnico, che per noi vale molto più di una commessa commerciale».
Il mondo delle maestranze
Lo spettacolo è un settore che conta, secondo i dati dell’Inps, più di 300mila lavoratori e lavoratrici, la cui retribuzione annuale media si attesta intorno ai 10mila euro lordi. Tiziano Trobia, coordinatore delle Camere del lavoro autonomo e precario (Clap) di Roma, dichiara a Domani che «l’ultimo rapporto Istat ci dice che la maggior parte dei lavoratori dello spettacolo sono maschi, il 57 per cento, e attraverso l’inchiesta che abbiamo condotto durante e dopo gli anni del Covid possiamo dire che, all’interno del settore delle maestranze, la differenza è ancora più ampia: i lavoratori maschi sono di tre volte maggiori rispetto alle lavoratrici».
Tutto questo si deve leggera all’interno del contesto di un settore che ha delle grosse disparità «sia in termini di accesso al lavoro sia di approccio umano. È un problema perché il mondo dello spettacolo e in particolare delle maestranze è ancora maschilista e machista, è molto difficile ricevere fiducia da parte dei datori di lavoro verso le lavoratrici».
C’è anche un gap salariale enorme: la retribuzione media annua dei lavoratori dello spettacolo nel 2023, è costantemente più alta per i maschi, 12.398 euro, mentre per le donne ammonta a 9.802 euro: «Ciò è dovuto alla differente distribuzione di ora lavorate durante l’anno, il mercato del lavoro nel settore dello spettacolo è un settore molto intermittente e precario, che mette in difficoltà anche le lavoratrici».
Su questo tema le Clap stanno lavorando molto: «È un tema molto sentito dove le discriminazioni sono all’ordine del giorno, ultimo esempio è quello che abbiamo visto all’interno del teatro di Roma dove, come Clap, siamo intervenute sulla questione delle molestie e del mobbing sul lavoro, soprattutto nei confronti delle lavoratrici».
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