Mentre nel 1980 in Italia era ancora lecito il matrimonio riparatore, a tremila chilometri di distanza, in Islanda, Vigdís Finnbogadóttir diventava la prima donna presidente della Repubblica democraticamente eletta al mondo. E, nel corso dei sedici anni alla guida del paese, si è resa un punto di riferimento per molte islandesi.

«Le donne hanno pensato, se lei può, io posso», ha detto in un’intervista al Guardian. Finnbogadóttir ha incarnato un ideale diventato possibile, è stata la conferma che anche le donne potevano rivestire posizioni di potere. Con lei si è aperta una nuova era – segnata, cinque anni prima, dal giorno di fermo nazionale delle islandesi – che ha portato il paese a essere quello che è oggi.

Il ruolo del presidente della Repubblica, rivestito dal 2016 dallo storico Guðni Thorlacius Jóhannesson, è simile a quello dei re e delle regine delle monarchie costituzionali dei paesi del nord, è eletto a suffragio universale diretto e ha compiti principalmente cerimoniali. Accanto al presidente della Repubblica c’è il primo ministro, che al momento è Bjarni Benediktsson.

Il percorso iniziato con 44 anni fa Finnbogadóttir è proseguito idealmente con Katrin Jakobsdóttir, che si è dimessa martedì 9 aprile dal ruolo di prima ministra per candidarsi a presidente della Repubblica. Jakobsdóttir, leader del movimento Sinistra-verdi, è nota nel mondo per essere scesa in piazza accanto alle altre manifestanti per partecipare al kvennafrí, il giorno libero delle donne, indetto il 24 ottobre 2023 per denunciare il divario di retribuzione e la violenza sessuale e di genere. Non era uno sciopero come quelli che si vedono in Italia, quel giorno hanno manifestato decine di migliaia di donne e persone non binarie. Un numero significativo per un paese che conta meno di 400mila abitanti.

Le elezioni

Il primo giugno gli islandesi eleggeranno il nuovo o la nuova presidente della Repubblica, che sarà in carica per quattro anni senza limite di mandato. Jakobsdóttir non è l’unica a correre per la carica, compete con figure come il politologo Baldur Thorhalsson e l’ex sindaco di Reykjavik Jon Gnarr.

Ma la possibilità di vincere non è così remota. Secondo un sondaggio pubblicato all’inizio di questa settimana su Ruv, l’azienda islandese responsabile della teleradiodiffusione pubblica, tra i favoriti compaiono i nomi di tre donne: Halla Hrund Logadóttir, Halla Tómasdóttir e Katrín Jakobsdóttir.

Al di là del risultato, la storia dell’Islanda insegna che, come sottolinea il Guardian, «le donne che rivestono posizioni di potere avvantaggiano le stesse donne e le famiglie». Dopo che Finnbogadóttir è diventata la prima donna presidente è aumentata di riflesso la partecipazione politica femminile. E, nei decenni successivi, si sono fatti passi avanti in vari ambiti, come quello della cura dei più piccoli. Nel 2020, infatti, il 96 per cento dei bambini tra i tre e i cinque anni era iscritto a programmi di educazione della prima infanzia, un dato superiore di 13 punti percentuale alla media Ocse.

Prima in parità

Oggi l’Islanda è al primo posto nella classifica del World economic forum (Global gender gap report 2023) che misura l’evoluzione della parità di genere analizzando partecipazione economica, istruzione, salute ed empowerment politico. Non è un risultato raggiunto di recente, è il quattordicesimo anno consecutivo che ricopre questa posizione grazie a decenni di politiche, esempi e buone pratiche che hanno portato l’Islanda a essere l’unico paese al mondo ad aver colmato più del 90 per cento del divario di genere.

Un passo importante è stato fatto a livello legislativo. Dal 2018 le aziende con più di venticinque dipendenti sono state legalmente obbligate a dimostrare di pagare tutti allo stesso modo. Oltre all’assistenza alla prima infanzia, a livello di welfare, l’Islanda garantisce a padri e madri lo stesso congedo parentale della durata di sei mesi ciascuno all’80 per cento della retribuzione. Inoltre, con interventi mirati ha colmato le lacune nell’assistenza sanitaria e in quella educativa, aprendo il mercato del lavoro a un maggior numero di donne anche nell’ambito delle discipline stem. Questi interventi – insieme a molti altri – hanno reso l’Islanda «il miglior paese per essere una donna lavoratrice» stando ai risultati del glass-ceiling index (indice del soffitto di cristallo) dell’Economist. È il secondo anno consecutivo che l’Islanda è capofila.

Chiunque si troverà alla guida del paese, donna o uomo che sia, avrà tra le mani uno stato con alle spalle decenni di conquiste civili e sociali. E, anche se i diritti acquisiti non devono mai essere dati per scontato, la storia di quella piccola isola a nord dell’Europa è un esempio che fa ben sperare.

 

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