La protesta degli studenti del Virgilio, la contro manifestazione della preside e la posizione dei genitori. Una vicenda che dimostra l’assenza di vero ascolto, che pure sarebbe previsto negli istituti, se non fosse che anche i consigli di istituto sono spesso trascurati e lasciati nelle mani della dirigenza
Una bellissima e partecipatissima assemblea, a maggior ragione visti i tempi che corrono, quella che si è svolta nei giorni scorsi al liceo Virgilio di Roma, quando gli student* occupant* hanno chiesto a genitori e genitrici di andarl* a trovare all’occupazione.
È parso subito chiaro a tutt* come non fosse vero quello che aveva sostenuto la dirigente, convocando un sit-in davanti alla prefettura e cioè che le occupazioni ledono il diritto allo studio di una «maggioranza silenziosa» mai ascoltata e sono portate avanti da un ristretto numero di student* senza nessun tipo di sostegno all’interno della loro comunità scolastica.
Dopo la contro manifestazione di solidarietà nei confronti degli occupant*, è chiaro che le cose non stanno così.
Ma al di là dei numeri e della conta, di chi è “pro” o “contro”, di chi sostiene anche se non incondizionatamente (forse la posizione più diffusa tra i genitori), è chiaro il tentativo di instaurare un clima di intimidazione nei confronti di chi protesta e di risolvere la delicata relazione educativa che lega le varie componenti della scuola con dispositivi repressivi.
Anche nel corso dell’assemblea questo è il punto sul quale si è battuto di più, la difficoltà che sentono gli student* nel non essere ascoltati dalla loro controparte.
A cinquant’anni esatti dall’emanazione dei decreti delegati fa un certo effetto continuare a sentire ripetere da questa generazione di student*, come da molte che l’hanno preceduta, che non si sentono ascoltati. A cinquant’anni da quell’effervescente periodo politico intorno alla metà degli anni Settanta, il cui sbocco, almeno nel mondo della scuola, fu appunto l’approvazione degli organi collegiali, prevale la convinzione degli student* che comunque attraverso il normale confronto che si dovrebbe realizzare al loro interno non sia possibile esercitare mai una vera pressione e un cambiamento e che le leve del controllo e del governo restino sempre saldamente nelle mani della dirigenza rendendo inutile e sterile partecipare a essi.
Sono posizioni che hanno radici profonde e critiche di questo tipo venivano espresse anche all’indomani dell’istituzione degli organi collegiali nella scuola, sostenendo come il legislatore avesse ristretto e limitato il canale partecipativo di student*, genitori e della società in generale alla vita della scuola, rispetto alle promettenti sperimentazioni che si erano realizzate nella prima metà degli anni Settanta.
Sicuramente è vero che gli organi collegiali, nel corso di questi cinquant’anni, sono stati depotenziati e funzionano spesso per inerzia senza assolvere minimamente alla funzione per la quale erano stati immaginati.
Il Consiglio d’Istituto, organo di governo della scuola viene retto come fosse una appendice e una emanazione delle volontà del dirigente che lo manovra a suo piacimento, spesso grazie alla funzione intermediaria del presidente, un genitore a lui “vicino”.
Le sedute vengono celebrate all’insaputa della comunità dei genitori, che spesso non conoscono né la funzione di questo organo, né mostrano particolare interesse a conoscerla con la scusa che in realtà non c’è interesse a partecipare.
Sì, formalmente sono pubblicate nel sito della scuola, dove si possono trovare i verbali ma mai la comunità è messa in condizione di sapere quando si svolgono gli incontri, come si fa ad assistere e soprattutto di cosa si discuterà prima che la seduta abbia luogo. Chi si informa viene subito osservato con sospetto, come una minaccia.
Quello che le occupazioni, al di là quindi, degli intenti dei ragazz*, delle loro ambizioni, slanci e anche illusioni (ma non è bene averne alla loro età?), ci segnalano soprattutto è il cortocircuito che ormai da troppo tempo in troppi si fa finta di non vedere. Con pratiche di lotta considerate forse non a torto sbiadite, puntano il dito contro una gestione verticistica della scuola che è nel tempo riuscita a disincentivare sempre di più il coinvolgimento delle varie componenti riducendolo ormai a un fatto ultra minoritario.
Ascoltando gli interventi e le opinioni di questa generazione di ragazz* sorge quindi spontaneo interrogarsi sulle forme, le grammatiche e le sintassi che andrebbero adottate perché almeno la scuola, se non la società che le è intorno, fosse vera palestra di democrazia e partecipazione. Sorge spontaneo chiedersi come fare perché gli organi collegiali siano vissuti dalla comunità come un’occasione di vero scambio e chi potrebbe facilitare questo processo e contribuire a costruirlo.
Sorge spontaneo il dubbio che forse sia troppo tardi, a meno che finalmente quei pochissimi casi virtuosi che pure esistono, dove le cose sono andate diversamente, riescano a invertire i rapporti di forza e farsi maggioritari, unica strada per dare ancora senso a quella radicale ed epocale trasformazione che furono i decreti delegati, purtroppo implosa su se stessa.
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