«Chi rompe deve pagare», ha scritto il ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara, dopo aver postato su X le fotografie che documenterebbero i danni che gli studenti avrebbero causato ai licei Teresa Gullace Talotta e Virgilio di Roma – rispettivamente per 2 milioni euro e 60 mila euro – durante i giorni di occupazione.

«Siamo davanti ad atti di mero teppismo che nulla hanno a che vedere con la libera espressione delle opinioni e del dissenso e che compromettono anche il diritto di tutti gli altri studenti di poter studiare nella loro scuola», ha aggiunto il ministro nella nota diffusa il 19 dicembre per ufficializzare la volontà del Mim di costituirsi parte civile nei processi penali a carico dei responsabili dei danni inflitti agli istituti.

Eppure, a guardare gli avvenimenti da vicino e senza trasformarli in strumenti di propaganda, la situazione è diversa. Come ha fatto notare anche la maggior parte degli utenti sotto il post di Facebook in cui il Valditara mostra gli spazi del Gullace bruciati, gli incendi che hanno rovinato la scuola sono avvenuti subito dopo l’occupazione e molto probabilmente a opera di persone che non appartengono alla comunità scolastica.

«Quando c’è stato il primo, la maggior parte di noi aveva già deciso di far finire l’occupazione a causa delle incursioni di esterni che impedivano lo svolgersi delle attività che avevamo programmato. Avevamo avvisato le forze dell’ordine che non erano ancora arrivate. Alcuni studenti erano dentro la scuola, altri fuori», racconta uno degli allievi del liceo del VII municipio di Roma, quartiere Quadraro, che ha partecipato all’occupazione «per le condizioni in cui eravamo costretti a seguire le lezioni. Scaglionati in turni tra mattina e pomeriggio e divisi in istituti diversi. Il secondo incendio, che ha creato i danni più grandi, è avvenuto due giorni dopo la fine dell’occupazione. Non eravamo più noi a presidiare l’istituto. Forse avrebbero dovuto esserci le autorità. Sembra che siano stati identificati tre soggetti estranei alla scuola entrati poco prima che scoppiasse l’incendio».

Mentre la polizia non rilascia dichiarazioni viste le indagini in atto, lo studente che chiede di non rendere nota la sua identità anche per il timore di ripercussioni da chi ha danneggiato la succursale del Gullace, continua a spiegare che, seppur non sa chi abbia causato gli incendi, alcuni degli estranei entrati durante l’occupazione sono gli stessi conosciuti nel quartiere per la frequenza con cui creano subbuglio; forse gli stessi che sabato 9 novembre avrebbero disturbato la proiezione del film “Berlinguer – La grande ambizione” al cinema Atlantic, poco distante dal Gullace, gridando: «Comunisti di merda», come ipotizzato da Repubblica.

«Incolpati ingiustamente»

A raccontare di aver subito blitz, durante l’occupazione, da parte di soggetti vicini all’estrema destra, c’è anche Lorenzo, studente del liceo Augusto, che si trova sempre nel VII municipio della Capitale: «Alcuni militanti hanno provato a entrare nell’istituto. Cantavano “boia chi molla” e hanno attaccato manifesti di Lotta studentesca sul muro. Non hanno scavalcato il cancello perché noi del servizio d’ordine l’abbiamo evitato. Non è la prima volta che subiamo attacchi da gruppi neofascisti, nel nostro municipio si respira un clima teso anche perché siamo vicini alla sede di Acca Larenzia. E non è neppure la prima volta – spiega ancora Lorenzo – che quando si fa la conta dei danni post occupazione vengono aggiunti anche quelli che c’erano già prima. Succede spesso».

Lo studente dell’Augusto, infatti, non è il solo a descrivere come prassi l’aggravio dei danni sulle spalle di chi occupa. Ci sono anche gli studenti del collettivo Dante di Nenni del liceo Socrate (Roma), occupato dall’11 al 18 dicembre in solidarietà con il popolo palestinese e contro le politiche repressive del governo: «Ci incolpano di guasti che non abbiamo procurato. Un po’ per far passare il messaggio che le occupazioni siano causa di degrado, un po’ perché è un modo per sistemare danni che altrimenti finirebbero nel dimenticatoio. Noi, però, teniamo alla nostra scuola visto che la viviamo tutti i giorni, cerchiamo di preservarla».

Pensa lo stesso anche Ernesto del liceo Cavour, di Roma centro: «Abbiamo lasciato l’istituto meglio di come l’abbiamo trovato. Durante l’occupazione abbiamo sistemato i campi sportivi e rivestito le porte delle aule con i volti di personaggi in lotta contro le ingiustizie. Al nostro rientro, però, le stampe erano state staccate», conclude lo studente che, come altri compagni, sarà sospeso per 15 giorni, il limite massimo prima della bocciatura automatica: «I consigli di classe si sono trasformati in processi alle idee. Chi non si è detto “pentito di aver occupato” ha ricevuto “pene” più alte».

Il caso del Virgilio

A spiegare che anche i 60mila euro di danni che avrebbe causato l’occupazione del Virgilio – già finita sotto i riflettori sia per i tentativi della dirigente scolastica di porvi fine con l’organizzazione di un sit-in, sia per la lettera in cui una professoressa ha paragonato l’occupazione a uno stupro – non sono una stima veritiera, ci sono gli studenti del collettivo della scuola, che hanno divulgato un dossier fotografico per mostrare le condizioni già degradate del Liceo.

«Alcune immagini che circolano come prova della devastazione sono state scattate prima dell’occupazione. Inoltre, ci siamo proposti per ripulire l’edificio ma la preside ha rifiutato. Sappiamo come abbiamo lasciato la scuola, non è come viene raccontato», chiarisce Luca, uno studente del collettivo.

«Viene falsata la realtà per screditare i ragazzi e il loro gesto di dissenso. Con questo non voglio dire che gli studenti non debbano prendersi le loro responsabilità. Ma anche sminuire a tutti i costi il loro pensiero è una forma di dittatura. Ci lamentiamo tanto dei giovani passivi davanti agli schermi, ma pensiamo a quanto sia formativo per un ragazzo parlare davanti a tutti», aggiunge la madre di un allievo del Virgilio, rappresentante di classe dei genitori: «A me sembra che mettere i ragazzi alla gogna dicendo che sono teppisti, che distruggono la scuola, quando l’istituto versava già in condizioni pessime, sia invece un modo per le istituzioni di sfuggire dalle responsabilità».

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