Quando arrivano a terra, comincia un altro lavoro: c’è da lavare il catamarano dall’acqua salata, rammendare le vele con ago e filo (Ruggero), fare piccoli nodi (le dita lunghe di Cate), piegare tutto con cura. Tita&Banti sono una coppia datata, non c’è bisogno di troppi discorsi: si scambiano rapide istruzioni, hanno un lessico famigliare che consente di capirsi con poco, spesso uno sguardo è sufficiente.

Anche perché alla velocità con cui volano sull’acqua non c’è tempo di farla troppo lunga. Andatevi a rivedere il video della loro vittoria all’Olimpiade di Tokyo: lui impartisce secco gli ordini, «stramba», «tira giù», e con lo stesso tono le comunica la felicità assoluta, «sembra che abbiamo vinto l’oro».

Adesso sembra che ne abbiano vinto un altro a Parigi: se un oro olimpico ti regala l’immortalità, ripetersi è qualcosa di infinitamente più complicato. Caterina ha raccontato di essere stata malissimo dopo Tokyo, «ti fanno sentire una stella, ma sei una persona normale, chi si sente già arrivato va poco lontano».

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La convivenza

Non è facile ricominciare la stessa routine, gli stessi sacrifici (quelli che gli atleti chiamano scelte), i no detti a tutti gli altri, quelli che non salgono in barca con te. Sul catamarano ci sono soltanto loro due, visto dal mare il resto del mondo si allontana rapido, diventa sempre più piccolo, c’è il rischio di credere che non esista, che non abbia quasi importanza.

Caterina e Ruggero si sono scelti, vivono insieme tre settimane su quattro, fanno coppia per vincere. La loro sintonia è stata immediata, ma per trasformarla in alchimia ci hanno lavorato giorno dopo giorno, sopportando i momenti in cui Cate è un po’ permalosa e quelli in cui Ruggero è eccessivamente testardo e preciso: in barca ci sono i ruoli, ognuno sa stare al suo posto. Lui timoniere: la mente, lavora sulla sensibilità e la precisione; a lei, prodiere, spetta lo sforzo fisico, si sporge appesa alle funi a pochi centimetri dall’acqua, dirige l’imbarcazione spostandosi da un lato all’altro, allena la forza e la resistenza per competere con rivali maschi.

«Gli equipaggi non si creano in maniera casuale. Serve una proporzione, un equilibrio, noi ci siamo trovati. Anche in barca: la sentiamo nello stesso modo, ci vuole tantissima coordinazione». Gli attriti ci sono, i litigi pure, «anche perché passiamo tantissimo tempo insieme, soprattutto sotto stress». A Ruggero passa dopo cinque minuti, Cate ci rimugina di più.

Chi sono

Ci sono sport che sono come la vita: si affrontano in due, ci si divide la fatica, ognuno fa quello che gli riesce meglio. Esaltano l’integrazione, le differenze, la sincronia. Cate e Ruggero sulla barca portano il loro vissuto. Generazioni diverse (lei ha 37 anni, lui 32), origini diverse (Cate romana del Flaminio, Ruggero trentino di Rovereto), «veniamo da due mondi differenti, modi di pensare e di dire differenti». Hanno lavorato con una psicologa per affinare la comunicazione: come parlarsi, come ascoltarsi.

Cate è eclettica: dopo il liceo classico ha fatto un anno sabbatico in Tunisia, parla sei lingue, si è laureata in studi islamici e intanto faceva la cameriera, la traduttrice, la babysitter. Dopo un corso da bambina sul lago di Bracciano, è tornata alla vela soltanto a 23 anni.

Ruggero è un caterpillar: ha cominciato sul lago di Garda a 6 anni, a 12 era già in nazionale, a 13 era campione italiano Optimist. Si è laureato in ingegneria informatica, «mi è servito nella messa a punto della barca». Pratica tutti gli sport in acqua, ma anche sci e parapendio, «un modo per allenare la mente ad improvvisare, ad essere più pronti quando si presenta una situazione critica».

Lui è quello preciso, il calcolatore, ma anche quello che flirta col rischio, «la cosa che mi da più soddisfazione è riuscire a fare le curve stando in volo». Il catamarano viaggia a 60 orari sulle onde, «è un perfetto equilibrio tra andare sempre più veloci o schiantarsi». Anche in questo sono complementari, Caterina compensa con la prudenza.

In comune hanno la dedizione assoluta al lavoro, non festeggiano le vittorie, «al massimo facciamo una cenetta», pensano subito alla prossima. Hanno cominciato otto anni fa viaggiando in camper, la prima regata a Scheveningen, in Olanda, nel 2017, e nel tempo hanno conosciuto i loro lati migliori e peggiori, «siamo stati bravi nel cercare di mantenere il rapporto il più professionale possibile». Passano più tempo insieme che con i loro compagni di vita, convinti come sono che non si smetta mai di imparare, «le medaglie si vincono in allenamento e si vanno a ritirare in gara».

Lo sport ad alto livello ti mette davanti ai tuoi limiti fisici e mentali: devi accettare di averli e poi impegnarti a superarli. Negli ultimi due anni si sono allenati spesso nelle acque davanti a Marsiglia, da giugno si sono trasferiti lì per non avere sorprese, quando hai a che fare con l’acqua e il vento l’adattamento è fondamentale. «Non abbiamo tifosi in mare, ogni tanto pensiamo di essere abbandonati a noi stessi».

Ogni sport ha qualcosa da insegnare: nella vela devi imparare a cavartela quando sei da solo in mezzo al mare. Poi ci sono Cate e Ruggero, che sono in due.

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