La delusione della marcia, il quinto posto di Jacobs, Tamberi in finale con una misura che si saltava mezzo secolo fa: l’Italia di Tokyo-Sapporo 2021 si sta sbucciando come una cipolla, ma ne sta nascendo un’altra, da proiettare verso Los Angeles 2028 e Brisbane 2032. A partire da Furlani, bronzo nel salto in lungo
L’Italia di Tokyo-Sapporo 2021, dei cinque successi (ormai rubricati in trionfi), di quella che il presidente Stefano Mei marchiò – con rinvii inconsapevoli a Elisabetta la Grande – come Età dell’oro si sta sbucciando come una cipolla. La marcia di Massimo Stano e di Antonella Palmisano è stata spazzata da una coalizione che parla la stessa lingua (Spagna e Ecuador) e Marcell Jacobs è uscito dalla finale come il personaggio di un bel racconto sulle corride: moralmente invitto, ma quinto, a sei piccoli grandi centesimi dall’oro e dall’argento di Noah Lyles e di Kishane Thompson.
Di quei giorni di tuono, che hanno suscitato entusiasmo e creato ispirazione, rimangono chances da appiccicare addosso alla staffetta 4x100 e a Gian Marco Tamberi, capace di costruire il clima giusto per una finale che, preso nota dei record personali e di quelli stagionali dei protagonisti (a parte l’ascensione romana di Gimbo a 2,37), porta indietro nel tempo: il 2,24 che ha promosso Tamberi e molti altri è la stessa misura che diede l’oro a Dick Fosbury, l’inventore di uno stile, l’inezia di 56 anni or sono.
Tamberi è l’impresario teatrale di se stesso, ha un pubblico vasto che lo segue sui social, dove è attivissimo. Ha avuto noia a una coscia: superata. Poi, la colica renale, la febbre alta, il volo a Parigi, il subitaneo accorrere quando il fraterno amico Barshim ha accusato un crampo, la disperazione quando le porte del 2,27 non gli si sono aperte, come se quel triplo errore gli chiudesse i cancelli dei paradiso possibile. Ora, attesa. La finale non è difficile da domare.
Il bronzo di Furlani nel salto in lungo
Sta nascendo una nuova Italia, da proiettare verso Los Angeles 2028, a Brisbane 2032: è il caso di Mattia Furlani che a 19 anni e sei mesi ha rischiato di diventare il secondo vincitore più giovane del salto in lungo. Il regno di Randy Williams, oro a Monaco di Baviera 1972 a 19 anni e 17 giorni tiene e terrà.
Furlani è fresco e maturo, e non solo perché ha superato l’esame che arriva dopo cinque anni di scuola superiore. Possiede grandi doni ereditati da mamma, sprinter senegalese e sua allenatrice, e da papà, saltatore romano, e ha la temerarietà che lo spinge a osare il tutto per tutto per rovesciare una situazione coperta di aculei: il nullo (tre centimetri sull’asse di battuta) era da 8,50, poteva minacciare, superare l’8,48 di Miltiades Tentoglou, il greco prodigio di tecnica, specie quando c’è da “camminare” nell’aria.
Non è stato troppo sottolineato che Tentoglou è diventato il secondo nella storia dei Giochi a difendere la corona. Davanti, solo Carl Lewis, quattro volte a segno tra l’84 e il’96. Miltiades, dall’aspetto scarno ma dalla reattività muscolare formidabile, è sette anni più anziano di Mattia: inutile sottolineare che questo sia il dato più incoraggiante.
Iapichino e Arese
Furlani è uno dei volti di una nuova Italia che certi personaggi non vedono con favore. Sarà bene che si rassegnino o usino i giorni che rimangono dei Giochi per far luce su un nuovo mondo di scelte, di unioni, di magnifici cocktail. Se Furlani avrà 23 anni a Los Angeles, Lorenzo Simonelli ne avrà 26: romano e tanzaniano, possiede una capacità di apprendimento motorio che nel giro di un anno lo ha catapultato al vertice degli ostacoli: secondo ai Mondiali indoor, campione d’Europa, non lontano dalla barriera dei 13” che solo sei europei hanno saputo superare.
Della stessa età, 22 anni, malgrado quel che è ormai un buon patrimonio di passato alle spalle, Larissa Iapichino, figlia di Gianni e di Fiona May, che giusto trent’anni fa esordiva in maglia azzurra agli Europei di Helsinki conquistando la prima di una lunga serie di medaglie. Anglo-fiorentina può essere una buona definizione per questa ragazza dagli accenti lievi, dall’espressione lievemente malinconica.
Scosse si avvertono ovunque: sono bastati pochi mesi perché Pietro Arese torinese di S. Mauro, desse ai 1500 una dimensione moderna dopo troppi anni di immobilismo: ottavo nella più veloce finale olimpica di sempre, 3’30”74 per chi, al prossimo appuntamento olimpico, sarà nella maturità dei 28 anni. E altri premono e stanno premendo perché le età dell’oro non finiscono mai: esaurita una vena, una nuova può esser scoperta. L’atletica italiana ha i cercatori giusti: i tecnici.
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