Parigi voleva fare la rivoluzione e ci è riuscita con skateboard, bmx, kayak cross, surf, la breakdance: tre under 16 a medaglia. Sport giovani, nuovi, promettenti. A metà tra la sfida e lo show. E alla base, questa volta, non c’è (solo) il business. È un bisogno di comunicare, di parlare alle generazioni, di trovare un’intesa, una affinità
Young boys. E girls, non dimentichiamole. In equilibrio sui loro skate stravissuti o sulle tavole da surf in mezzo all’oceano. Ballano, sono colorati, sorridenti. Parigi voleva fare la rivoluzione, e rivoluzione è stata. Sport giovani, nuovi, promettenti. A metà tra la sfida e lo show. E alla base, questa volta, non c’è (solo) il business.
È un bisogno di comunicare, di parlare alle generazioni, di trovare un’intesa, una affinità. Nel 2019 il presidente del Cio, Thomas Bach, commentava con entusiasmo l’ingresso di breakdance, arrampicata e surf nel programma olimpico parigino. Perché, disse, contribuiscono a renderlo «più equilibrato a livello di genere e più urbano, e offrono l'opportunità di entrare in contatto con le giovani generazioni».
Inclusività, nuovo pubblico, responsabilità. E in un certo senso è davvero così: vedere ragazzine con i loro caschetti ben allacciati fare i trick su tavole a rotelle ha aperto uno squarcio. L’australiana Arisa Trew ha trionfato nel park. Ha 14 anni e 86 giorni. Bisogna contarli, perché c’è chi è più giovane. Ancora prima dei Giochi era diventata l’unica skateboarder donna a eseguire un 720, un trick reso famoso dal leggendario Tony Hawk nel 1985 che consiste in due rotazioni complete in aria. Ed è stata la prima donna a completare il 900 meno di due mesi fa.
Lo ha definito «un sogno diventato realtà» sul suo account Instagram. Con lei sul podio Kokona Hiraki di 15 anni (ne aveva 12 quando vinse una medaglia a Tokyo) e la britannica Sky Brown di 16. La cinese Zheng Haohao, 18esima nei preliminari, non ha ancora compiuto 12 anni.
Le origini
Però nessuno sport è davvero nuovo. Lo skate esiste dagli anni Quaranta, i surfisti cercavano qualcosa da fare nei giorni in cui non stavano in mare e misero le ruote alle loro tavole. Poi è diventata una cultura, un modo di essere. Dietro gli atleti olimpici dello skate non c’è solo la preparazione, ma una forma di pensiero, una visione delle cose. È sempre così, ma in alcune di queste nuove discipline di più. L’abbigliamento non serve per limare decimi, centesimi, ma per stare comodi, a proprio agio. Parlano di successi, sì, ma le medaglie contano fino a un certo punto.
«Adoro i miei amici skater, gli skate park della Gold Coast, la spiaggia e la scuola», ha detto la neo campionessa olimpica Arisa Trew. Parlano come adolescenti. Lo sono. Il loro mondo va veloce, ma è una velocità diversa da quella degli sport diciamo classici, da quella dell’atletica, del canottaggio, del ciclismo. Bach, che ha 70 anni, non proprio un GenZ, ha capito che l’Olimpiade doveva essere anche loro. Con tutte le conseguenze del caso. Non ultimi gli introiti.
Prima delle Olimpiadi, per esempio, il portale The Drum ha incontrato il responsabile marketing di Samsung, Stephanie Choi. «Surf, skateboard e breaking, sebbene orgogliosamente unici, condividono una base. Una mentalità aperta per provare cose nuove, la determinazione a spingere i limiti di ciò che è possibile e una cultura di inclusività», ha detto. Insomma, si investe. E lo hanno fatto moltissime aziende in tutto il mondo.
La potenza delle novità
Cio, federazioni internazionali e comitati organizzatori valutano i dati, le possibilità. Si pensa a come includere le novità. Che piacciono, spesso affascinano. Intanto i ragazzi inseguono il loro sogno (olimpico, sì) ma senza ansie. Lo abbiamo visto bene nel surf, che si è svolto a Tahiti, novemila chilometri dalla Ville Lumière. Ma anche nell'arrampicata. Altro sport ammantato da una filosofia di lungo corso, che arriva dritto dritto dagli anni Settanta, da chi voleva natura e libertà.
Eppure anche lì ci vuole l’essere sportivo tout court. Abilità, elasticità, velocità. Nell’arrampicata si corre. Ma in verticale. E vederlo fare non lontano dal cuore di Parigi è impressionante. Al Bourget Sport Climbing, l’unica struttura costruita per i Giochi insieme all’Aquatics Centre di Saint-Denis, l’evento ha avuto un successo strepitoso. Il pubblico si diverte, gli atleti pure. La campionessa polacca, Aleksandra Mirosław, che ha già infranto diversi record, ha sempre detto che «lo sport non riguarda solo la competizione, ma anche l'avventura, l'acquisizione di nuove competenze e la conoscenza di sé stessi».
Vale per la bmx, per il kayak cross, per la breakdance e ovviamente per il surf, l’altro grande universo sportivo-filosofico visto in questa edizione più che a Tokyo. Caroline Marks, 22 anni, surfista americana, ha centrato il concetto: «Crescendo, tutto ciò che mi interessava era il surf, quindi non guardavo molto le Olimpiadi. Ora che sono stata alle Olimpiadi, capisco perché è così incredibile farcela, per la sensazione che provi nel rappresentare il tuo paese. È potente».
Per Los Angeles 2028 sono già stati approvati cinque sport. Nuovi, così dicono. Ma il baseball e il softball hanno fatto parte del programma in diverse edizioni dei Giochi, e i più recenti sono stati quelli in Giappone. Il cricket c’era nell’edizione del 1900, mentre il lacrosse era stato incluso nel programma a St Louis 1904 e Londra 1908. Flag football e squash faranno il loro debutto olimpico in California. Bach questa volta ha parlato di «collaborazioni rivoluzionarie» per «amplificare la storia olimpica e paralimpica e affascinare nuovo pubblico».
La partita è aperta. L’India vuole provare a ospitare le Olimpiadi nel 2036. Le proposte e i report ci sono già. L’elenco include sport tradizionali come kho kho e kabaddi. E lo yoga. Che, se non lo sapete, è super giovane.
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