- Pechino sta per entrare nella storia come l’unica città ad aver ospitato sia le olimpiadi estive (nel 2008) sia quelle invernali, che si apriranno venerdì 4 febbraio.
- Quattordici anni fa la supervisione dell’evento fu affidata a Xi Jinping, neo promosso tra i nove membri del comitato permanente dell’ufficio politico del partito comunista cinese, e papabile nuovo segretario generale sconosciuto in occidente.
- Quelli che si aprono il 3 febbraio in una capitale isolata da rigidissime misure anti Covid e sullo sfondo di una crescente ostilità tra la Cina e una parte dell’occidente sono i giochi di una Cina che si sente forte e che non perde occasione per rivendicare come “superiore” la sua via, dal sistema politico alla strategia attuata contro il Covid-19.
Pechino sta per entrare nella storia come l’unica città ad aver ospitato sia le olimpiadi estive (nel 2008) sia quelle invernali, che si apriranno venerdì 3 febbraio. Quattordici anni fa la supervisione dell’evento fu affidata a Xi Jinping, neo promosso tra i nove membri del comitato permanente dell’ufficio politico del partito comunista cinese, e papabile nuovo segretario generale sconosciuto in occidente.
Preceduta da sporadiche manifestazioni di protesta pro-Tibet durante l’avanzata della torcia, da Atene a Pechino, quell’olimpiade segnò alla fine un successo di soft power.
La Repubblica popolare cinese riuscì a mettere in piedi un’organizzazione quasi perfetta, e arrivò prima nel medagliere (48 ori contro i 36 degli Stati Uniti). Il suo ingessato leader, Hu Jintao, non sventolava ambiziosi piani per la “grande rinascita della nazione cinese”, la sua economia era la terza del mondo (dietro quella statunitense e giapponese) e il suo Pil era un terzo di quello americano, a cui oggi fa sentire il fiato sul collo (18mila contro 23mila miliardi di dollari nel 2021).
Le élite occidentali erano ancora in gran parte immerse nel sogno clintoniano che vedeva in ogni occasione d’incontro – le competizioni sportive, gli scambi commerciali, un’internet allora relativamente libera in Cina – un segnale dell’inevitabile evoluzione verso la democrazia liberale del regime comunista fondato sul partito-stato.
Una Cina forte
Quelli che si aprono il 3 febbraio in una capitale isolata da rigidissime misure anti Covid e sullo sfondo di una crescente ostilità tra la Cina e una parte dell’occidente sono i giochi di una Cina che si sente forte e che – nonostante il motto ufficiale “Insieme per un futuro condiviso” – non perde occasione per rivendicare come “superiore” la sua via, dal sistema politico alla strategia attuata contro il Covid-19.
Pur tra tanti distinguo, alla fine ci saranno tutti: 2.900 atleti da 90 paesi, per 107 gare, sette in più rispetto alla precedente edizione. E il boicottaggio sarà solo diplomatico, seppure quelli che l’hanno portato avanti sono paesi che contano: Stati Uniti, Regno Unito, Australia e Canada.
Una questione di affari
A dieci giorni dall’inizio di Pechino 2022, Xi ha accolto il capo del Comitato internazionale olimpico (Cio), Thomas Bach, assicurandogli che i XXIV giochi olimpici invernali e i XIII giochi paralimpici invernali saranno «semplici, sicuri e splendidi».
Uno dei motivi per cui quest’anno si svolgeranno a Pechino – lo ha ricordato a Bach lo stesso Xi – è avvicinare 300 milioni di cinesi agli sport invernali: 300 milioni di consumatori che acquisteranno abbigliamento e attrezzature sportive invernali, per la gioia delle aziende (molte delle quali nordeuropee) che con le joint-venture strette con compagnie locali potranno entrare in un mercato che nel 2025 dovrebbe valere 157 miliardi di dollari.
Un programma in linea con la politica economica del “benessere condiviso” (gòngtóng fùyù) che punta sulla crescita dei consumi interni e una distribuzione della ricchezza più equa. Per sci, snowboard, bob e quant’altro, il governo ha annunciato agevolazioni per i meno abbienti, mentre i costi delle prossime due settimane di gare sono stati tagliati utilizzando in parte strutture costruite per le olimpiadi del 2008, come l’iconico stadio “Bird’s nest” (disegnato dal dissidente Ai Weiwei) e il centro acquatico nazionale “Water Cube”.
In gara la “provincia di Taiwan”
La querelle sorta intorno a Taiwan ha dimostrato (qualora ce ne fosse bisogno) che sport e politica sono mondi tutt’altro che separati. Il Cio ha imposto alla delegazione taiwanese – che voleva boicottarle – di partecipare all’apertura e alla chiusura dei giochi.
A Taiwan temevano che Pechino potesse utilizzare – come avvenuto nei giorni scorsi – la denominazione “Taipei, Cina”, sostituendola all’abituale “Taipei cinese” (un’unica nazionalità al posto della comune etnia).
Nel frattempo Chang, una studentessa taiwanese di un’università di Pechino, intervistata come altri volontari e musicisti dell’Isola reclutati per i Giochi, si è presentata come «una ragazza della città di Kaohsiung, nella provincia di Taiwan», diventando virale in una rete sempre più affollata di nazionalisti.
Anche il Giappone non spedirà funzionari governativi a Pechino, pur non aderendo ufficialmente al boicottaggio diplomatico. Martedì scorso, il parlamento di Tokyo (con una mossa definita “vile” da Pechino) ha approvato una risoluzione sulla “grave situazione dei diritti umani” nel Xinjiang, in Tibet, nella Mongolia interna e a Hong Kong, chiedendo al premier Fumio Kishida di prendere misure in merito.
Cooperazione tra potenze
La presenza straniera più vistosa alla cerimonia di apertura sarà quella di Vladimir Putin. Secondo il portavoce del presidente russo, l’incontro con l’amico Xi sarà l’occasione per discutere di «stabilità strategica in Europa, garanzie di sicurezza per la Russia, dialogo Russia-Usa e Russia-Nato, nonché problemi regionali».
I media locali sottolineano che la presenza di Putin segnala un “nuovo modello di cooperazione tra potenze”, ma la crisi ucraina tiene sulle spine la leadership cinese: in caso di guerra, per Pechino sarebbe difficile schierarsi apertamente con Mosca, a meno di non voler andare allo scontro totale sia con Washington sia con Bruxelles.
Non solo Putin. Al richiamo della Cina della nuova via della Seta, alfiere del principio di “non ingerenza” e del rispetto della “sovranità territoriale” ha risposto una scia di capi di stato e di governo che riflette la geografia del nuovo mondo multipolare nel quale Pechino rivendica più potere: dall’egiziano Abdel Fattah al Sisi, al pachistano Imran Khan, allo sceicco Tamim bin Hamad al Thani del Qatar.
Probabilmente sugli spalti ci saranno anche gli spettatori, a differenza dell’anno scorso a Tokyo, dove le olimpiadi estive si svolsero a porte chiuse. Il direttore esecutivo del Cio, Cristophe Dubi, ha annunciato che spera che gli impianti potranno essere riempiti dal 30 al 50 per cento della capienza, a seconda che le gare si svolgano al coperto o all’aperto, e potranno assistervi, su invito, sia cittadini cinesi sia stranieri residenti a Pechino.
La super “bolla” anti-contagio
Per far partire i giochi esattamente come da programma, le autorità hanno isolato completamente le delegazioni sportive dal resto della popolazione, che ha subìto un inasprimento delle misure della strategia “contagi-zero” imposta dal governo dall’inizio della pandemia. Nella capitale i casi sintomatici registrati negli ultimi giorni sono alcune decine (di varianti Delta e Omicron), più di cento da quando, due settimane fa, si è accesso il focolaio pechinese. Come al solito, anche pochi casi hanno comportato la chiusura di interi compound residenziali, con gli abitanti tamponati ogni giorno e impossibilitati a uscire di casa fino a nuovo ordine.
Ma i contagi (quasi 200 dal 23 gennaio) hanno colpito anche le delegazioni e gli atleti, e sono stati riscontrati sia all’arrivo all’aeroporto che all’interno della “bolla” olimpica dove gli sportivi sono confinati e testati quotidianamente nel tentativo di evitare l’espandersi del contagio all’interno delle delegazioni e dagli stranieri ai pechinesi. Misure che atleti, inviati e osservatori occidentali giudicano “draconiane”, “eccessive”, ma grazie alle quali la leadership cinese ha costruito una multimediale, epica narrazione della “vittoria nella guerra popolare contro il coronavirus” che – assieme alla campagna anticorruzione – negli ultimi anni ha rafforzato il partito comunista.
Così il governo ha gioco facile nel rispedire al mittente le critiche del Guardian, di Voice of America e altri media internazionali: «L’opinione pubblica in occidente, in particolare negli Stati Uniti, considera le olimpiadi ospitate dalla Cina dal punto di vista della competizione strategica. Pertanto, qualsiasi mossa che aiuterà la Cina ad aumentare la sua influenza, a dimostrare i risultati conseguiti dalla Cina nella lotta alla pandemia e ad aumentare il suo appeal globale sarà diffamata».
Mentre i Giochi invernali sono finiti anche sulla prima pagina del “Quotidiano del popolo”, per rafforzare ulteriormente l’immagine di Xi Jinping, che si appresta a ottenere dal prossimo XX Congresso un inedito terzo mandato a guidare il partito: «Il presidente Xi Jinping ha ideato il grande piano, ha definito la direzione strategica e ha ispezionato i cantieri. Dalla prima fase e durante quasi sette anni di preparativi, il presidente Xi ha svolto un ruolo di leadership, contribuendo a dare forma a quelli che molti ritengono saranno dei Giochi storici».
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