C’è Rashad (nome di fantasia) che ha 27 anni, è un giovane ingegnere di origine siriana, ed è stato ammesso a frequentare il corso di laurea in ingegneria civile (Structural engineering) dell’università di Bologna soltanto dopo una battaglia legale durata un anno e mezzo contro il ministero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale e l’ambasciata italiana a Beirut.

Il motivo è presto detto: quando l’uomo si era recato all’ambasciata italiana di Beirut, in Libano, per richiedere il “visto studio” per l’Italia, non gli era stato concesso. Nel provvedimento di diniego recapitato a Rashad dalla rappresentanza diplomatica italiana in Libano si leggeva che la richiesta risultava priva di «indicazioni sulle necessarie risorse finanziarie per il sostentamento in Italia, di sufficiente documentazione attestante lo stato economico e sociale della famiglia, di sufficienti prove dell’intenzione di fare ritorno in Libano dopo il completamento del corso di studi, di chiarezza rispetto allo scopo del viaggio».

Eppure, tra i documenti presentati dall’uomo all’ambasciata come prove di referenze vi erano, tra gli altri: il certificato di iscrizione al sindacato degli ingegneri civili, le prove di una importante solidità finanziaria, certificata sia dall’estratto conto bancario e dal titolo di possesso di un automobile, che dalle dichiarazioni del padre (un ricco commerciante) autenticate da un notaio, che avrebbe provveduto lui in prima persona alle spese di studio, vitto e alloggio in Italia del figlio.

Oggi Rashad frequenta il corso di laurea magistrale all’università di Bologna, ma soltanto dopo aver presentato un ricorso al tribunale amministrativo (Tar) del Lazio e, con l’ambasciata italiana di Beirut che poi ha dovuto ritirare tutti i provvedimenti di negazione del visto, in autotutela, rinunciando a costituirsi in giudizio.

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Dobbiamo aprire il paese a chi viene per lavorare

Diversi casi

Nel frattempo, però, tanti altri suoi coetanei siriani, libanesi, yemeniti, palestinesi subiscono gli stessi trattamenti dalle ambasciate italiane all’estero che, molto spesso, motivano il diniego al rilascio del visto con «il rischio migratorio» e con «la non sufficienza delle garanzie economiche», senza neppure ascoltare in audizione l’interessato e controllare i documenti presentati, come prevede invece la normativa sul rilascio dei visti che è unica in tutti paesi dell’area Schengen.

È accaduto a un’altra studentessa di origine siriana di 27 anni, che ha ottenuto qualche mese fa il riesame della domanda di visto per l’ingresso in Italia per motivi di studio (essendo stata ammessa a frequentare il corso di laurea in Biotecnologia medica della durata di due anni presso l’università del Piemonte orientale) soltanto dopo un ricorso vinto davanti al Consiglio di stato.

Ed è successo, di recente, anche a un altro studente di 25 anni, Sahel, proveniente anche lui dalla Siria, il quale dopo essere stato ammesso al corso di laurea magistrale in Medical biotechnology, della durata di due anni, presso l’università del Piemonte orientale, ha ottenuto dal Consiglio di stato che la domanda di visto venisse riesaminata dall’ambasciata italiana di Beirut.

Addirittura, in quest’ultimo caso, i funzionari avevano esaminato la pratica due volte, e in entrambe, con provvedimenti fotocopia, avevano concluso che «la richiesta di rilascio del predetto visto non è meritevole di accoglimento in quanto non sono soddisfacenti i requisiti socio-economici della famiglia dello studente», si leggeva nella decisione.

«Senza in alcun modo indicare sulla scorta di quale attività istruttoria e di quali ragioni gli elementi integrativi prodotti fossero, in sostanza, irrilevanti e, pertanto, inidonei a condurre il procedimento amministrativo a un esito positivo», hanno sostenuto gli avvocati del giovane biologo siriano, Alessandro Ferrara e Nicola Parisio, nel ricorso poi vinto davanti ai giudici di palazzo Spada.

Sono tanti i casi di questo tipo che provengono dall’ambasciata italiana di Beirut, ma anche da altre ambasciate all'estero, come quella di Islamabad, in Pakistan, e Teheran, in Iran, che Domani ha potuto verificare.

Contenziosi

«È evidente dall’alto numero di ricorsi presentati sia al Tar del Lazio che al Consiglio di stato che ci troviamo di fronte a un potere, quello delle rappresentanze italiane all’estero, discrezionale», attacca Giovanna Cavallo, al termine di un’audizione a cui ha partecipato mercoledì 4 dicembre in Commissione esteri alla Camera, dove in qualità di rappresentante del Forum per Cambiare l'ordine delle cose ha esposto ai parlamentari gli ostacoli messi in atto dalle ambasciate italiane all'estero per il rilascio dei visti per studio o per ricongiungimenti familiari.

«Da tempo evidenziamo quanto i comportamenti del governo italiano siano lontani da quelle politiche che potrebbero garantire flussi regolari e accesso al territorio in sicurezza per migliaia di giovani migranti», continua Cavallo, che ha presentato alla Camera i risultati del progetto Yalla Study, un programma della società civile che ha supportato nel diritto allo studio centinaia di studenti di origine mediorientale negli ultimi due anni, fornendo gratuitamente la consulenza socio-legale gratuita necessaria per ottenere i visti di ingresso in Italia, nonostante gli ostacoli posti dalle ambasciate.

Ma c'è di più. E riguarda l’inefficienza di agenzie esterne come VFS Global e BLS International, che gestiscono gli appuntamenti per conto delle ambasciate. Un sistema di richiesta del visto mediato da agenzie esterne che complica ulteriormente un procedimento già complesso quale è, ad esempio, il ricongiungimento familiare.

Come fa notare a Domani una fonte militare che ha lavorato in passato per le autorità consolari, «i servizi vengono gestiti con un sistema totalmente decentralizzato, molto inefficiente, che ha comportato infiniti contenziosi con costi ridondanti per l’amministrazione».

Mentre i migranti continuano a rischiare la vita per poter giungere in Italia, dunque, entrare in maniera sicura è quasi impossibile. Non solo a causa delle leggi, ma anche per gli ostacoli posti dalle ambasciate.

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