- Questa è una nuova puntata dell’inchiesta sostenuta dai lettori di Domani: per approfondire e dare luce al tema del fare (o non fare) figli oggi in Italia. Puoi sostenere l’inchiesta a questo link.
- La scienza oggi permette di congelare le cellule riproduttive (per le donne gli ovociti, per gli uomini il liquido seminale) e usarli più avanti nel tempo: per le donne, per cui la finestra biologica per restare incinte è molto più stretta che per gli uomini, questo può essere un modo per “assicurare” la propria fertilità
- Ma in verità, secondo i dati inediti del Registro nazionale della procreazione medicalmente assistita dell’Istituto superiore di sanità, solo un migliaio di donne in Italia ha scelto finora di congelare i propri ovuli. Perché?
Fermare il tempo è uno dei sogni più antichi degli esseri umani. Rallentare l’invecchiamento, eludere le leggi della biologia. Per ora è solo fantascienza, ma qualcosa di simile esiste: si possono estrarre le cellule riproduttive, metterle sotto zero, e utilizzarle per una gravidanza a distanza di anni.
Con lo spostamento in avanti dell’età in cui si mette su famiglia, la possibilità assume ancora più rilevanza. Alla ricerca di un figlio si arriva a volte ormai tardi e sono frequenti i problemi di infertilità dovuti proprio all’età, specie per le donne: perché col passare degli anni diminuisce la quantità e qualità degli ovuli (tecnicamente: ovociti).
Quindi si può usare la scienza per metterli da parte quando sono “giovani” e usarli una volta raggiunta la stabilità economica e professionale, o trovato il partner giusto.
Quasi nessuna congela gli ovuli
Ma la verità è che solo un migliaio di donne in Italia ha scelto finora il cosiddetto “social freezing”, cioè la pratica di congelare i propri ovuli senza una ragione legata alla salute, e in un momento della vita in cui non si desidera o non si può avere figli. Secondo dati inediti dell’Istituto superiore di sanità sono state solamente in 909 a farlo tra il 2015 e il 2020. Il totale degli ovociti conservati è circa 6.200; nel 2020 per esempio solo 147 donne hanno effettuato questa crioconservazione ovocitaria “elettiva” (cioè scelta volontariamente), mettendo sotto azoto liquido un totale di 992 ovociti.
Come mai la pratica non prende piede in Italia? «Perché manca totalmente l’informazione su questa tecnica e sulla possibilità per le giovani donne di procrastinare il momento della maternità» risponde Giulia Scaravelli, responsabile del Registro nazionale Pma dell’Istituto superiore di sanità.
Guadagnare tempo
Tra le pochissime ad aver scelto questa strada c’è F., che aveva però già 38 anni quando ci ha provato, da single, per darsi un po’ di tempo in più per trovare un compagno, o con l’idea che se non l’avesse trovato avrebbe potuto fare la Pma – la procreazione medicalmente assistita – all’estero. Ma nel suo caso non è andata a buon fine: «Bisogna farlo molto prima. A venticinque, massimo trent’anni» ammonisce: «Altrimenti capita che non si formino abbastanza ovuli, o che quelli congelati non siano di buona qualità».
S., invece, col marito stava cercando una gravidanza già da qualche anno. Erano seguiti in un centro fertilità, ma ancora fermi al primo step – farmaci per l’ovulazione di lei, monitoraggio dei follicoli, rapporti mirati nei giorni giusti. Il marito non era convinto di voler arrivare alla fecondazione in vitro.
Ormai 34enne, S. riceve dalla sua ginecologa un consiglio: «Siccome lui è indeciso, potresti procedere tu con la preservazione della fertilità». S. decide di farlo a sue spese «indipendentemente da quello che sarebbe stato poi. Con la fecondazione assistita tiri fuori gli ovuli per poterli fecondare: in quest’altro caso, per poterli congelare». La storia ha anche un lieto fine, perché un anno dopo finalmente il marito rompe gli indugi, gli ovuli vengono scongelati e fecondati, ed è buona la prima: nasce una bambina che oggi ha cinque anni.
Gli altri tipi di congelamento
Se il marito non avesse tentennato, e si fosse subito fatto ricorso alla Pma, forse alcuni degli ovuli di S. avrebbero finito per essere congelati comunque – e gratuitamente – nell’ambito della procedura di Pma che stavano facendo. Questo segmento non è monitorato con precisione ma «si può ipotizzare» secondo l’Istituto superiore di sanità «che la pratica tra il 2005 e il 2020 abbia riguardato 40mila donne».
In questo caso il congelamento degli ovuli avviene mentre le donne stanno attivamente cercando un figlio. La decisione di congelare non è loro ma dei medici che, se a seguito di una stimolazione ovarica si ottiene un elevato numero di ovuli, a volte preferiscono non fecondarli tutti, e congelare quelli in sovrannumero. Peraltro, dato che la media di successo della Pma è solo del 30 per cento, congelare vuol dire poter procedere se necessario ad altri tentativi, senza dover sottoporre la donna allo stress di una nuova stimolazione.
Va poi ricordata la preservazione della fertilità dei pazienti oncologici. In Italia sono 3.646 donne che hanno congelato i loro ovuli, soprattutto nel decennio 2010-2020, prima di sottoporsi a chemioterapia, radioterapia o altri trattamenti, e anche in questo caso ovviamente non c’è nulla di “elettivo”.
«Viene proposta la crioconservazione dei gameti prima di iniziare terapie che potrebbero compromettere la fertilità ogniqualvolta essa sia fattibile» dice Luca Gianaroli, vicepresidente della Fondazione Pma.Italia e direttore delle attività di global educational della International Federation of Fertility Societies: «Le malattie più spesso associate ad una perdita di fertilità sono, sia per gli uomini sia per le donne, i tumori. Infatti, sebbene le terapie attualmente disponibili in molti casi garantiscano buoni tassi di sopravvivenza, spesso compromettono irrimediabilmente la fertilità dei pazienti più giovani».
Come funziona
Sono circostanze diversissime rispetto invece al congelare gli ovuli di persone sane nel momento in cui sono di qualità ancora alta – quando si hanno meno di 35 anni – e poi utilizzarli in futuro, se necessario: un po’ come una assicurazione sulla propria fertilità.
Ma ci sono alcuni contro. Innanzitutto il costo: migliaia di euro tra farmaci, pick up degli ovuli e congelamento, cui poi va aggiunta una quota annuale per la conservazione, e una cifra ulteriore per scongelarli che può variare, nel privato, tra i 4mila e gli 8mila euro.
E poi si tratta di una procedura chirurgica. Servono esami preliminari, stimolazione con monitoraggi ecografici e dosaggi ormonali, e il prelievo vero e proprio, che «consiste nella puntura ed aspirazione degli ovociti per via vaginale sotto controllo ecografico» spiega Gianaroli: «È un vero e proprio intervento che viene eseguito in sala operatoria sotto anestesia».
I rischi sono minimi, ma non è detto che il primo prelievo sia sufficiente: «È necessario avere a disposizione un buon numero di ovociti, anche perché non sempre un ovocita genera automaticamente un embrione, e non sempre un embrione si sviluppa correttamente e si impianta» aggiunge il ginecologo.
«Io per esempio avevo tanti follicoli, ma poi in realtà al momento dell’espianto erano solo cinque quelli maturi» racconta S. Quando con il marito hanno deciso di procedere «li abbiamo scongelati e fecondati tutti e cinque, ma quelli buoni erano solo due. Li abbiamo impiantati entrambi». Ma solo uno ha attecchito.
Senza dimenticare che la stimolazione ormonale di per sé «ha per molte donne un impatto pesante, sia dal punto di vista fisico sia psicologico», sottolinea F.
C’è infine un altro aspetto che rema contro: l’accesso alla Pma è permesso, in Italia, solo alle coppie eterosessuali. Dunque una donna single o in una coppia lesbica «può procedere alla crioconservazione», conferma Gianaroli, «ma non potrà utilizzare gli ovociti congelati nell’ambito di un trattamento di procreazione assistita», a meno che non abbia un partner o non vada all’estero. Questo stato di fatto ovviamente scoraggia molte donne.
La società che cambia
Gli scettici sostengono che la crioconservazione possa spingere a posticipare ancor di più il pensiero della maternità. E comunque bisogna ricordare che congelare non è una garanzia assoluta di riuscire a restare incinte con quegli ovuli, in futuro.
Ma se diventasse una pratica di massa, allora diverrebbe ininfluente l’età media al primo figlio? «Avrebbe forse meno peso» concede Gianaroli «ma esistono comunque dei fattori biologici che rendono rischiosa e sconsigliata una gravidanza dopo una certa età. Non bisogna commettere l’errore di pensare che questa sia la soluzione a tutti i problemi e che metta a disposizione un tempo indefinito».
Alcune aziende inseriscono come benefit il rimborso del congelamento degli ovuli alle proprie dipendenti, ma dietro la generosità potrebbe anche celarsi il messaggio “Vedi di non fare figli adesso”. Non sarebbe meglio invece che le aziende, e la società nel suo complesso, sostenessero le donne nel farli quando è biologicamente più facile?
La scelta di congelare i propri ovuli è una grande opportunità, a patto di tenerla saldamente nei binari della libertà e dell’autodeterminazione. Nell’ottica di contrastare la denatalità, bisognerebbe far conoscere la possibilità ai giovani e soprattutto che fosse rimborsata dallo stato: la copertura «dovrebbe essere vista come un investimento nell’ambito di strategia nazionale per la preservazione della fertilità», suggerisce Gianaroli.
«Quando io avevo 25 anni, questa opzione non esisteva nemmeno» riflette S. «Ma oggi a una 25enne lo consiglierei. Non le direi che lo deve fare, eh. Però le direi: anche se adesso credi di non volere figli, pensaci».
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