Per capire in che modo Roma sia diventata laboratorio criminale bisogna leggere un’intercettazione. A parlare è Umberto Luongo, considerato reggente del clan Mazzarella, radici a Napoli e mani nella Capitale. Luongo, ora in carcere, spiega come a Roma il crimine si vesta di un altro abito, luogo in cui il diavolo e l’acqua santa si incontrano.

«Qua se uno parla con le guardie sei un infame (...) a Roma se tu parli con le guardie è proprio la politica loro là (...) allora là stanno solo guardie, il ministero, l’onorevole (...) là se vai a Roma politici, onorevoli tutti corrotti... perché è proprio la politica di Roma che è così». Il boss sintetizza così la differenza, a Napoli «siamo mafiosi», e invece, «noi qua facciamo business». Affari gestiti tramite società utili per fatture false e riciclare denaro sporco, uno schermo in grado di proteggere, attraverso una rete di teste di legno, i burattinai del sistema criminale.

E, a Roma, i burattinai sono i ribaldi che di padre in figlio si passano lo scettro nella città dove clan di camorra e ‘ndrangheta si accordano per gestire gli affari. Il tutto grazie ai favori di imprenditori, all’amicizia con professionisti e coperture istituzionali. Nell’ultima inchiesta della procura di Roma, pm Francesco Cascini e Luigia Spinelli, eseguita dalla Direzione investigativa antimafia della Capitale, sono finiti in carcere cognomi noti e figli d’arte: Antonio Nicoletti e Vincenzo Senese. In tutto gli indagati sono 57, gli arrestati sono 18, la giudice del tribunale capitolino, Emanuela Attura, nel suo provvedimento parla di “laboratorio criminale”.

In pratica ci sono i clan storici delle mafie campane e calabresi che si federano con i boss autoctoni in un patto che ormai dura da decenni. Le famiglie di camorra D’Amico, Mazzarella, Moccia e le cosche di ‘ndrangheta Mancuso, Mazzaferro-Morabito trovano alleanze nella malavita romana. I reati sono quelli classici del reimpiego di denaro di provenienza illecita: riciclaggio, autoriciclaggio, ma anche usura, estorsioni, armi.

La miscela

Un patto criminale per infiltrarsi nei settori leciti. Nella rete non manca l’estremismo nero: è finito in carcere anche Roberto Macori, definito «lo snodo dell’ecletticità», ha iniziato nella destra eversiva romana, all’ombra di Massimo Carminati, è divenuto prima l’alter ego di Gennaro Mokbel, per poi legarsi a Michele Senese prima di diventare referente dei calabresi Mancuso e Morabito. Ma c’è anche Daniele Muscariello, detto il “politico”, referente del clan D’Amico-Mazzarella, finito in carcere. «Daniele è un mago delle truffe e credo abbia grandi amicizie anche nelle forze dell’ordine.

Aveva informato mio zio che sarebbe stato arrestato un mese prima che ciò accadesse», ha raccontato il collaboratore di giustizia, Umberto D’Amico. Ci sono gli affari, ma non manca il sangue. «Daniele mi ha fatto intendere che lo ha fatto uccidere lui davanti alla scuola mentre stava andando a prendere il figlio insieme alla moglie.

Tramite Instagram o WhatsApp mi mandò l’articolo di giornale dopo la sua morte», ha spiegato D’Amico in riferimento all’omicidio di Andrea Gioacchini, ucciso davanti a una scuola alla Magliana, e per il quale sono stati arrestati altri componenti del clan Senese. Muscariello lo chiamavano il “politico” perché aveva relazioni che contano, così nel 2019 per impressionare Umberto Luongo «organizza un pranzo con il generale della guardia di Finanza, Fabrizio Lisi, e con il generale Pierantonio Costantini del disciolto Corpo della Guardie Penitenziarie», si legge negli atti, «Il diavolo e l’acqua santa».

Il poliziotto

In questa storia infinita non può mancare il figlio di Enrico Nicoletti, scomparso nel 2020 all’età di 84 anni, indicato come storico cassiere della Banda della Magliana, ma in realtà eminenza grigia di mondi criminali che si incontravano nella capitale. Per gli investigatori Antonio Nicoletti, finito in carcere, ha «avuto un ruolo chiave» nell’intramontabile «intreccio tra imprenditoria, politica e mafia».

Non è l’unico figlio d’arte, c’è anche Vincenzo Senese, rampollo di casa Senese, il padre è Michele, detto ‘o pazzo per la sua capacità di entrare e uscire dal carcere fingendosi matto. La procura lo considera il promotore del sodalizio criminale. Nell’inchiesta è indagato per accesso abusivo, corruzione con l’aggravante e altri reati, un commissario di polizia, Pasquale Tremiterra, ora in pensione, ma all’epoca dei fatti responsabile dell’ufficio denunce presso la questura di Roma dove incontrava gli ‘amici’ per informarli su indagini e informazioni riservate.

Fatti risalenti al 2018 e ora oggetto di ordinanza cautelare. I settori d’affare erano tanti dalla cinematografia all’edilizia, passando per il commercio di autovetture, fino al settore degli idrocarburi, dove è finita coinvolta Domitilla Strina, figlia di Anna Bettozzi, la showgirl già condannata 11 anni e sei mesi per riciclaggio in appello. Tra gli indagati c’è anche un ex calciatore del Napoli, Giorgio Bresciani.

Non manca proprio nessuno nella città dove girano «vescovi, politici e questo e quest’altro», dice un indagato al telefono.

E allora bisogna stare calmi, non fare rumore, nell’interesse di tutti.

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