Il report 2021 del Mixed migration center riflette sul modo in cui il Covid-19 ha influenzato la possibilità e la volontà delle persone di spostarsi
Costruire una nuova narrazione sulle migrazioni. Inquadrarle in una cornice che restituisca umanità a un’area dominata da un linguaggio e una politica spesso deumanizzante. Questo è il fine che si pone il report annuale sulle migrazioni del Mixed migration center, un istituto che fornisce dati, ricerche e analisi sulle migrazioni cosiddette “miste”.
Una definizione che comprende i differenti tipi di spostamenti di esseri umani: le persone che fuggono da conflitti e persecuzioni, cioè i rifugiati; coloro che sono costretti a spostarsi contro la propria volontà, le vittime della tratta; e i migranti economici, che lasciano i paesi d’origine per sfuggire a fame e povertà.
Il rapporto del 2021 analizza in particolare gli effetti dell’epidemia sulle migrazioni, cioè in che modo il Covid-19 ha influenzato la possibilità e la volontà delle persone di spostarsi. L’impatto economico della pandemia da un lato ha privato le persone delle risorse destinate alla migrazione, dall’altro ha aggiunto alle loro vite una ragione per spostarsi. Sono stati rafforzati controlli e sorveglianza alle frontiere, si sono alzati i muri, è si è diffuso l’utilizzo di misure estreme di controllo, giustificate dall’esigenza di frenare i contagi.
Molti approcci legati al fenomeno migratorio – specie se irregolari – che solo pochi anni fa erano considerati inaccettabili, vengono sempre più normalizzati. Detenzioni, segregazioni – come in Libia, in Australia, e negli Stati Uniti – violazioni di diritti umani, respingimenti – in Grecia, Polonia, Ceuta, nei Balcani – e deportazioni come accade in Arabia Saudita sono diventati “ordinaria amministrazione”, così pure la pratica di non concedere un porto sicuro e di non coordinare i salvataggi in mare.
L’impatto della pandemia sul modo in cui l’opinione pubblica guarda le persone migranti è duplice: da un lato la paura verso lo “straniero” è aumentata in modo direttamente proporzionale a quella per il contagio; dall’altro il coronavirus ha reso evidente la necessità del lavoro delle persone migranti per diversi settori economici (agricolo, di assistenza, di cura).
Una criticità che il report di Mixed migration sottolinea è quella che riguarda la «lotta dei rifugiati per ottenere il vaccino». Se è vero che in alcuni paesi è stato somministrato anche agli immigrati senza documenti, l’accesso alla vaccinazione anti-Covid resta profondamente impari.
Quasi il 70 per cento della popolazione adulta in Europa e nord America ha ricevuto due dosi, mentre in altri continenti c’è una differenza sostanziale tra cittadini e rifugiati che hanno potuto vaccinarsi. Per fare un esempio: l’Unhcr, l’Agenzia Onu per i rifugiati, aveva denunciato a giugno che «non un solo vaccino» era stato somministrato tra le circa 900mila persone di etnia Rohingya rifugiate in Bangladesh.
Ma ci sono anche elementi positivi tra cui le sanatorie per la regolarizzazione, la diminuzione delle detenzioni di immigranti irregolari, e la già riportata possibilità di vaccinarsi anche senza documenti.
Quando si discute sulle migrazioni dovute al cambiamento climatico, spesso si usano cifre che il rapporto definisce «irrealistiche» o «allarmistiche». La chiave per “risemantizzare” le migrazioni, secondo il Mixed migration center, deve passare attraverso una diversificazione delle voci sul tema, e una riflessione sui termini che usiamo per parlarne.
© Riproduzione riservata