«Voglio giustizia e lotterò fino alla fine. Non mi arrendo, nonostante il dolore, perché mio figlio lì non ci doveva stare». Cosi dice a Domani, con la voce rotta dal pianto, Simona Esposito, la madre di Patrizio Spasiano. Aveva 19 anni, è morto lo scorso 10 gennaio, mentre lavorava alla Frigocaserta di Gricignano di Aversa, azienda, in provincia di Caserta, che si occupa della conservazione e distribuzione di prodotti deperibili.

È morto a causa di una fuga di ammoniaca da cui non è riuscito a scappare, forse anche perché si trovava in alto, sopra un’impalcatura. Il suo corpo è stato trovato senza vita tre ore dopo, si capisce leggendo la cronaca locale. Perché la nube d’ammoniaca che ha intossicato l’aria, ha reso difficile per i soccorritori intervenire all’interno del capannone.

Tre operai che erano con Spasiano al momento dell’incidente sono riusciti a fuggire in tempo. I loro racconti dell’accaduto sono al vaglio degli inquirenti della Procura di Napoli nord che indagano per capire che cosa è successo. 

«Non ho smesso di chiamarlo per tutto il tempo. Volevo che sentisse la mia voce. Non volevo pensasse fosse solo», racconta la madre di Spasiano: «Sulla pancia, sulle ginocchia, sulle mani, ho ancora i segni dell’asfalto a cui mi sono aggrappata. Volevo vedere mio figlio a tutti i costi, invece mi hanno portata via». Esposito spiega di essere riuscita a vedere suo figlio solo per pochi minuti. Solo quando era già dentro la bara, dopo tanta insistenza.

«Non gli ho potuto dare nemmeno un bacio. Quella mattina, come tutte da quando ha deciso di lasciare la scuola, è uscito presto di casa per andare a lavorare. Non l’ho neanche sentito aprire la porta. Ma non potevo sapere che non sarebbe più tornato. L’ultima immagine che mi resta di mio figlio è quella del suo volto carbonizzato. Ma come è potuto succedere? Mio figlio non doveva essere lì».

Morire sul lavoro da tirocinanti

Da accertare, infatti, non sono soltanto le cause che hanno provocato la fuga inaspettata di ammoniaca e la conformità dell’impianto alle norme che potrebbero aver causato l’ennesima tragedia sul lavoro. La prima morte del 2025 per la regione Campania, la ventunesima dell’anno al 10 gennaio  in tutto il Paese (a fine gennaio sono 83, ma si superano i 100 se si considerano anche quelli in itinere secondo l’Osservatorio indipendente di Bologna sui morti sul lavoro di Carlo Soricelli). Ma non è ancora chiaro neanche se e perché il 19 enne di Secondigliano, quartiere alla periferia di Napoli, si trovasse alla Frigocaserta, sopra un’impalcatura. A fare cosa e sotto la supervisione di chi.

Patrizio Esposito non era un lavoratore esperto. Non era nemmeno assunto dall’azienda di Caserta. Era un tirocinante che dopo un corso di formazione di 300 ore, grazie al quale aveva ottenuto la qualifica di saldatore, aveva firmato un contratto di un anno, per 500 euro al mese, con la società cooperativa Cofrin di Villaricca (Napoli) che si stava occupando di manutenere gli impianti di Frigocaserta.

«Era da Cofrin per imparare il mestiere. Patrizio non aveva alcuna formazione specifica. Non aveva fatto nessun corso sulla sicurezza. Aveva iniziato da poco a lavorare come saldatore, da ottobre scorso. Sarebbe dovuto rimanere in officina, non essere mandato in cantiere», sottolinea la madre senza darsi pace: «Poco prima dell’incidente Patrizio aveva chiamato suo padre tutto contento. Aveva appena ricevuto lo stipendio. Voleva mettere i soldi da parte per andare in vacanza con la fidanzata».

Spasiano, secondo i racconti di chi lo conosceva, era un «simpaticone», pieno di energia. Che non amava studiare ma che non è mai rimasto con le mani in mano: «Da quando ha lasciato la scuola ha fatto ogni tipo di lavoretto. Non gli piaceva chiedere soldi a casa, preferiva guadagnarseli. Appena ha compiuto 18 anni è andato al centro per l’impiego, ha seguito il corso di formazione come saldatore, poi ha iniziato il tirocinio. Sognava di sposarsi, di fare dei figli e di comprarsi un’auto. Era felice», aggiunge Esposito mentre singhiozza: «Patrizio era solo un ragazzo ingenuo che voleva lavorare, invece è morto mentre faceva il suo dovere».

«Non bastano i diritti solo sulla carta»

Come spiega Giuliano Granato, portavoce nazionale di Potere al Popolo, che fin da subito ha supportato i familiari di Spasiano: «A quanto ci è stato riferito Patrizio lavorava anche 10 ore al giorno e non era formato per interventi specifici in cantiere. Ragione per cui pensiamo che non dovesse trovarsi sopra l’impalcatura. In più, quando è stato ritrovato il suo corpo, pare non indossasse altri dispositivi per la sicurezza oltre alle scarpe antinfortunistiche. Adesso si stanno svolgendo le indagini per accertare le responsabilità tra le due aziende che si rimbalzano le colpe. Ma non basta».

Per Granato a minare la sicurezza dei lavoratori in Italia c’è un problema strutturale del mercato occupazionale: «Se sei stagista o precario che forza hai di fronte all’imprenditore per rivendicare maggiore sicurezza o per rifiutare mansioni che non ti competono? Certo formare i lavoratori su quali siano i loro diritti è fondamentale. Ma c’è anche il problema dell’esigibilità di questi diritti. Perché una cosa sono quelli scritti sulla carta, un’altra quelli davvero garantiti in azienda. Quando un lavoratore è debole non può obiettare, se lo fa viene buttato fuori».

A pensare che precarietà, lavoro grigio e sfruttamento siano gravi minacce alla sicurezza sul lavoro c’è anche Bruno Giordano, ex direttore generale dell’Ispettorato nazionale del lavoro che, da un lato, spiega come sia compito dei datori di lavoro garantire la sicurezza di tutte le persone che operano nell’attività: «Tirocinanti, stagisti, volontari, tutti. Anzi più sono estranei all’ambiente maggiore deve essere l’attenzione nei loro confronti».

Mentre dall’altro lato sottolinea anche come sul piano pratico sia comune «l’uso di forme di lavoro contrattualizzate per eludere le normative in merito di previdenza sociale, Inps, assicurazioni, sicurezza. Non solo per pagare di meno i dipendenti ma anche per avere meno impegni». Per Giordano, tirocini e stage spesso vengono utilizzati per mascherare forme di sfruttamento, soprattutto nei confronti dei giovani. E possono funzionare come un ricatto: «Così il lavoratore spera che se non si lamenta il contratto verrà rinnovato o prolungato. O il tirocinio diventerà un indeterminato».

Secondo la madre, Spaiano non era consapevole dei rischi a cui andava incontro da quando Cofrin l’aveva spostato alla Frigocaserta e anche qualora lo fosse stato «non aveva né il carattere per rifiutarsi, né gli strumenti per capire: mi raccontava che i colleghi lo prendevano in giro quando saliva sull’impalcatura visto che era “grassottello” ma lui viveva tutto in buona fede». Ora sono le indagini in corso a dover stabilire la verità sull’accaduto e chiarire le responsabilità delle due aziende, il 4 febbraio inizieranno i sopralluoghi dei periti dove è avvenuto l’incidente: «Anche se non servirà a riportare in vita Patrizio voglio che chi ha sbagliato paghi. Perché hanno distrutto la nostra famiglia. E hanno lasciato che mio figlio, a 19 anni, morisse solo».

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