- Radio radicale non potrà pubblicare le registrazioni delle udienze del maxi processo in corso per le violenze della polizia penitenziaria nel carcere di Santa Maria Capua Vetere.
- La sospensione, per il momento, decisa dalla corte d'assise, presidente Roberto Donatiello, riguarda solo l'ultima udienza in attesa di decidere, il prossimo 29 marzo, sulla richiesta degli avvocati di difesa che vorrebbe il divieto esteso anche alle prossime udienze.
- Sul banco degli imputati ci sono 105 persone accusate, a vario titolo, di quanto accaduto il 6 aprile 2020 nel carcere casertano, Francesco Uccella.
Radio Radicale non potrà pubblicare le registrazioni delle udienze del maxi processo in corso davanti al tribunale di Santa Maria Capua Vetere per le violenze avvenute nel carcere Francesco Uccella il 6 aprile 2020. La sospensione, per il momento, decisa dalla corte d'assise, presidente Roberto Donatiello, riguarda solo l'ultima udienza in attesa di decidere, il prossimo 29 marzo, sulla richiesta degli avvocati di difesa che vorrebbero il divieto esteso all’intero processo. Sul banco degli imputati ci sono 105 persone accusate, a vario titolo, di quanto accaduto nel carcere in provincia di Caserta.
Il pestaggio
Nelle prime settimane di pandemia, i reclusi del carcere di Santa Maria Capua Vetere, come molti altri carcerati in tutta Italia, avevano inscenato proteste per chiedere, dopo il primo caso di contagio in carcere, mascherine e dispositivi di sicurezza. Per tutta risposta, il 6 aprile 2020, quasi 300 poliziotti penitenziari, provenienti anche da altri istituti detentivi, sono entrati in carcere e per oltre quattro ore hanno colpito con manganelli, schiaffi e ginocchiate i detenuti. Una mattanza documentata dai video che Domani ha pubblicato nel giugno del 2021.
Il processo è iniziato, lo scorso novembre, nell’aula bunker del tribunale di Santa Maria Capua Vetere davanti alla Corte d’assise, a carico di 105 persone: agenti penitenziari, funzionari e medici coinvolti a vario titolo nel pestaggio. Sono accusati di tortura pluriaggravata, lesioni, falso, calunnia, depistaggio e altri reati.
Fino all'ultima udienza il processo è stato registrato e pubblicato sul sito di Radio radicale, ma adesso è arrivato il momentaneo stop che potrebbe diventare definitivo.
L'avvocato Carlo De Stavola, difensore di alcuni imputati, alla cui richiesta si è associato l'avvocato Claudio Botti (che difende insieme a Sabina Coppola l'ex provveditore campano alle carceri Antonio Fullone), ha sollecitato la Corte a disporre il divieto di pubblicazione dell'audio dopo ogni udienza, come Radio radicale fa da anni anche anche per altri processi importanti, e di prevedere che la pubblicazione delle registrazioni avvenga alla fine del processo.
Ma per quale motivo? Il legale ha spiegato che non si deve inficiare la genuinità delle dichiarazioni rese in aula dai testimoni, la pubblicazione dell'audio dopo l'udienza, potrebbe permettere a testimoni non ancora sentiti di ascoltare le parole dette da altri testimoni, e dunque in teoria di decidere cosa dire e in che modo. Insomma, pubblicare l'audio potrebbe condizionare e svelare la strategia difensiva, ma il processo è pubblico e ciascuno può seguirlo, cosa dicono gli altri testimoni potrebbe essere raccontato anche dalle cronache giornalistiche.
La reazione
In attesa della prossima udienza e della decisione della corte, è intervenuto anche Alessio Falconio, direttore dell'emittente, che ha chiesto di rivedere questa decisione. «Radio Radicale vuole continuare ad assicurare il servizio che da oltre 40 anni consente agli italiani la diretta conoscenza dei processi che rivestono un particolare interesse pubblico, qual è senz’altro quello in questione. La pubblicità delle udienze è posta a base della garanzia per la corretta amministrazione della giustizia e il servizio che svolge Radio radicale è funzionale a questa esigenza», dice Falconio.
A processo ci sono anche i dirigenti che avevano disposto la perquisizione del 6 aprile finita in pestaggio: l’ex provveditore, Antonio Fullone, il commissario coordinatore della polizia penitenziaria del carcere, Gaetano Manganelli, il comandante del nucleo traduzioni, Pasquale Colucci, le comandanti dei nuclei operativi e parte del gruppo di supporto e interventi, Tiziana Perillo e Nunzia Di Donato.
Il processo deve accertare le responsabilità personali su quelle quattro ore di pestaggi contro detenuti inermi, picchiati in ogni angolo del reparto Nilo dalle scale all'area socialità, dai corridoi alle celle. Barbe tagliate, disabili colpiti con manganelli, capannelli di agenti che infliggevano ogni tipo di violenza e umiliazione ai reclusi.
Ma non è finita con il pestaggio, si è scritta nelle ore successive a quel 6 aprile un'altra pagina che trova spazio nei faldoni del processo: il depistaggio. False informative, foto di pentolini d’acqua fatti passare per recipienti d’olio bollente, video e scatti manomessi: materiale che doveva servire a giustificare quanto accaduto il 6 aprile. È il processo al pestaggio e al depistaggio di stato e non può essere silenziato.
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