È vero che in termini assoluti, secondo i numeri più recenti, l’Italia risulta essere il paese che concede più cittadinanze alle persone con background migratorio. «Un dato insignificante», ha detto Delrio (Pd), «se non viene rapportato alla popolazione». In relazione ai residenti si colloca quinta
Le norme sulla cittadinanza in Italia sono talmente generose da posizionare il nostro paese in testa agli altri stati dell’Unione europea. Questo è il parere del ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, quota Lega, che al meeting di Rimini è intervenuto sul tema. Alla disponibilità di Forza Italia a discutere dello ius scholae, è seguito un muro da parte degli alleati di governo, Lega e Fratelli d’Italia. Secondo i due partiti di destra, le norme garantirebbero il diritto a sufficienza e non hanno bisogno di essere modificate.
Al contrario, il ministro non ha escluso totalmente la possibilità di rivedere la legge di 32 anni fa. In un’intervista al Giornale ha infatti premesso che «il parlamento è sovrano», «ogni dibattito pubblico sul tema è pienamente legittimo» e «qualsiasi riflessione per migliorare l’integrazione nella nostra società è utile». Ma al meeting di Rimini ha dichiarato che «la nostra legislazione è quella che consente il maggior numero di concessioni in tutta Europa. I dati sono pubblici e sono su Eurostat».
Riferendosi poi ai dati decennali, ha aggiunto che «siamo il paese al primo posto per concessioni in termini assoluti di cittadinanze, che diventano un numero ancora più importante se lo si rapporta al numero della popolazione residente complessiva e ancora più al numero dei cittadini stranieri residenti». E, in alcuni casi, secondo il ministro, si arriverebbe «a quasi il doppio rispetto a paesi come Germania e Francia».
Una lettura più complessa dei dati citati da Piantedosi suggerisce però qualcosa di diverso. Come ricostruito da Pagella Politica, è vero che in termini assoluti, secondo i numeri più recenti, l’Italia risulta essere il paese che concede più cittadinanze alle persone con background migratorio. Ma «è un dato totalmente insignificante se non viene rapportato alla popolazione», ha commentato il senatore Pd Graziano Delrio.
La banca dati europea nel 2022 ha registrato 213.716 cittadinanze concesse dall’Italia. Il numero più alto tra i paesi europei, prima della Spagna (181.581), della Germania (166.640), della Francia (114.483) e della Svezia (92.225). Anche su un periodo più lungo, dal 2013 al 2022, si posiziona prima in Ue, con 1.463.000 cittadinanze. Seconda la Spagna, oltre 1,4 milioni, poi Germania e Francia, che hanno dato il documento rispettivamente a 1,2 e 1,1 milioni di persone. Ma, sottolinea Pagella Politica, se si considera il numero di cittadinanze concesse in relazione al numero di residenti nel paese, il primato italiano viene meno. E il nostro paese si colloca quinto, dietro a Svezia, Lussemburgo, Belgio e Spagna. Nel 2022 il ministero dell’Interno ha dato una cittadinanza ogni 3.620 cittadini.
Gli ostacoli
A relativizzare ancor di più il dato fornito da Piantedosi, gli ostacoli nel percorso per ottenere la cittadinanza, che posizionano l’Italia al 14esimo posto, in base al Migration Integration Policy Index. In tredici paesi dell’Ue è quindi più semplice accedervi. Nei casi per naturalizzazione infatti, oltre al requisito della residenza, ai certificati di nascita e al casellario giudiziale del paese di origine, per fare richiesta servono anche requisiti di lingua e reddito.
Spesso è difficile attestare una residenza continuativa e il reddito minimo, che aumenta se a carico ci sono dei figli, nel mercato del lavoro italiano non è sempre scontato raggiungerlo. E, anche in assenza di condanna penale, come già raccontato da Domani, l’ampia discrezionalità del Viminale ha portato al rigetto oltre 600 domande in tre anni per un semplice sospetto, con una formula che non permette di capire gli elementi alla base della decisione e fare ricorso. Alle difficoltà, si aggiungono poi le tempistiche. Dal 2020, il termine massimo per la decisione sulla concessione è di 3 anni. Salvo poi dover fare ricorso, in caso di rigetto, e veder aumentare a dismisura l’attesa. I tribunali amministrativi impiegano di solito 4 anni per decidere.
La 91 del 1992 oltre a essere una legge vecchia, «purtroppo non funziona per chi ne ha più bisogno», ha aggiunto Delrio, «i minori».
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