Un anno fa Achille Polonara veniva fermato da una stoppata inaspettata. Oltre il parquet di gioco, i canestri, i rimbalzi. Oltre il campione di due metri (2.02) partito dalla sua Ancona per girare il mondo, da Teramo a Varese, da Reggio Emilia a Sassari, dai Paesi Baschi alla Lituania passando per la Turchia, fino ad approdare tra le braccia appassionate di Bologna. Un maledetto controllo antidoping che si rivela benedetto. Quando il 6 ottobre 2023 riceve una mail dalla Procura Nazionale Antidoping, in primo piano c’è solo l’uomo di 32 anni. Disteso sul letto, un po’ lo sguardo al soffitto e un po’ sul telefonino per rileggere quelle righe: l’atleta Polonara ha due settimane di tempo per dimostrare la provenienza di questa elevata concentrazione di HCG nelle sue urine.

«Sono andato nel panico. Dal punto di vista sportivo ero sereno, perché avevo fatto mille controlli antidoping, e quindi mi sono precipitato su internet per cercare di capire. Google mi rimanda alle donne in gravidanza (l’ormone HCG prodotto dalla placenta n.d.r.) poi restringo la ricerca e salta fuori il nome del calciatore Acerbi, la sua diagnosi del 2013. Mando un messaggio al dottor Diego Rizzo della Virtus: ho un tumore al testicolo?».

All’ospedale Sant'Orsola il dubbio diventa certezza: neoplasia testicolare. Viene fissato un intervento chirurgico e successivamente un ciclo di chemioterapia. Le confesso che che mi ha stupito un particolare: due giorni dopo la diagnosi lei gioca nella sfida casalinga contro Varese. Aveva bisogno di un’ultima partita prima dell’operazione?

La verità è che mi sentivo benissimo, non avevo sintomi. Se non ci fosse stato quel valore sballato dell’antidoping avrei continuato come nulla fosse. Mi son detto: provo a giocare, magari mi aiuta a staccare, chiedo il permesso alla società. La situazione la conoscevano solamente i dirigenti e i medici della Virtus. Nel post match, nello spogliatoio, il coach Luca Banchi ha comunicato a tutti la mia situazione, i miei compagni erano increduli.

Da lì in poi è stato un caleidoscopio di pensieri e stati d’animo contrastanti. 

Ero preoccupatissimo. In carriera non avevo mai subìto alcuna operazione. Quando ti devi sottoporre al tuo primo intervento chirurgico abbinato a un tumore è chiaro che vai nel panico. In tanti mi sono stati vicino, dai familiari alla squadra. Sui social sono stato travolto da un affetto extra sportivo che mi ha aiutato tantissimo. 

Fondamentale sua moglie Erika. 

Il periodo più brutto è stato quello della chemioterapia. Andavo in ospedale per sette ore al giorno, con mia moglie sempre accanto. Lei è una donna unica, da una parte mi dava forza e dall’altra cercava di mascherare tutto davanti ai figli. Achille Jr. era troppo piccolo mentre Vitoria aveva già tre anni, super sveglia. Quando venivano a trovarmi a casa i compagni di squadra, gli amici, lei origliava le nostre conversazioni. Un giorno mi chiede: papà ma come mai ti sono caduti i capelli? Io ero gonfio dalla chemio, senza forze, non riuscivo ad alzarmi dal divano. Non le ho risposto ma lei aveva già capito tutto. Restava incollata a me, anche in silenzio, con un attaccamento commovente.

Novembre è il mese dedicato alla prevenzione dei tumori maschili. Per una questione culturale, per una sorta di tabù, c’è ancora molta ritrosia tra gli uomini nel parlarne. 

Questo è vero. La donna è più informata, più scrupolosa nel programmare le visite di controllo. L’uomo pensa di non aver bisogno di fare accertamenti, un po’ per paura ma anche per pigrizia. 

Lei ha deciso di puntare sul valore della condivisione. Parlando pubblicamente, dando informazioni, sottolineando l’importanza di sottoporsi a controlli periodici. 

Molti mi hanno scritto: per la prima volta sono andato a farmi un controllo. Oppure: seguendo il tuo esempio ho prenotato una visita urologica, ti devo ringraziare perché ho scoperto in tempo un problema analogo al tuo. Sono contento di essere stato utile, ci tengo a diffondere l’importanza della prevenzione. Perché può capitare a tutti, recentemente ho incontrato un ragazzo di 15 anni con una neoplasia testicolare. Prima cosa, invito tutti ad andare a farsi una visita. Poi, dico che l’ottimismo è importante: non buttatevi giù, so bene che all’inizio non è facile però l’aspetto mentale è davvero il segreto. 

È tornato a giocare due mesi dopo l’operazione. Ha ritrovato anche l’Italia, raggiungendo quota 94 presenze in azzurro. 

Sto bene, mi sento come se non avessi avuto niente. È solo un brutto ricordo, diciamo. Continuo a essere monitorato, il decorso oncologico prevede una serie di controlli per i primi due anni e mezzo. Ho fatto una Tac prima dell’estate, la prossima la farò in primavera. A dicembre invece avrò una visita dall’urologo. 

Parliamo di basket, la provoco con la diatriba degli ultimi anni: meglio l’NBA o l’Eurolega?

Sincero? Io non seguo per niente l’Nba, zero. Per me era bella dieci anni fa, adesso è tutto troppo show, di pallacanestro c’è poco. Da spettatore è più divertente vedere una partita di Eurolega, mi appassiona di più. Poi, sono onesto nel dire che non ho avuto la possibilità di giocare in NBA. 

Nel giugno 2017 era stato invitato dai Milwaukee Bucks a partecipare alla Summer League. 

Infatti ci sono andato, anche se non ho giocato perché avevo un problema alla caviglia. Ma non ero in cerca di un contratto perché avevo appena firmato con Sassari. L’ho presa come una esperienza.

A proposito dei due anni a Sassari. Con la maglia della Dinamo ha vissuto Pozzecco come coach, ha instaurato una grande amicizia con Marco Spissu e c’è stato il trionfo storico in Europe Cup nel 2019, il primo trofeo internazionale di una squadra della Sardegna. È la vittoria a cui è più legato? La mette sullo stesso piano del campionato spagnolo vinto con il Baskonia? O in cima al suo Pantheon c’è quel 4 luglio 2021: l’Italia di Meo Sacchetti a Belgrado batte la Serbia e si qualifica per i Giochi di Tokyo con Polonara eletto Mvp (22 punti)?

Scelgo a mani basse la partita in Serbia perché le Olimpiadi erano un mio sogno. Era da 17 anni che l’Italia del basket non partecipava ai Giochi. Il palazzetto di Belgrado era infuocato, nessuno si aspettava che vincessimo a casa loro. Quella è stata una estate magica e unica per tutti noi azzurri.

In questo momento al nostro basket mancano le soddisfazioni di un tempo tra club e Nazionale. 

È presto per fare bilanci. Guardate quanto accaduto a noi della Virtus l’anno scorso in Eurolega, eravamo partiti benissimo e poi non siamo riusciti a qualificarci per i playoff. Ci sono talmente tante partite, la stagione è ancora lunghissima. Per l’Italia invece ci sono le qualificazioni agli Europei del 2025. Il 25 novembre contro l’Islanda la Nazionale tornerà a giocare a Reggio Emilia a distanza di 24 anni. Pozzecco come CT ci dà la massima serenità. È una famiglia allargata che merita la fiducia dei tifosi

Voglio metterla in difficoltà. Allenatore del cuore?

Eh, ma dovrei citarne tanti. Scelgo Duško Ivanović che ho avuto a Vitoria (Polonara ha chiamato la figlia così proprio in omaggio all’esperienza vissuta nei Paesi Baschi n.d.r.). Ero appena arrivato al Baskonia, sapevo che avrei giocato poco all’inizio. Ivanović è subentrato come coach, dal suo arrivo mi ha subito dato fiducia, mi ha fatto fare il salto di qualità principale. L’anno successivo sono stato il giocatore con più minuti giocati in tutta l’Eurolega 2021

Il campione preferito?

Ce l’ho in casa nella Virtus dove gioco e dove spero di rimanere a lungo. È Toko Shenghelia. Era già stato mio compagno nel Baskonia, giochiamo nello stesso ruolo, da lui ho imparato molto, dalle questioni tecniche alla dedizione nel lavoro. Mi impressiona perché riesce a essere un leader dovunque vada. 

Bologna vuol dire anche calcio, quest’anno con la Champions. 

Mercoledì ero al Dall’Ara per Bologna-Monaco. Dopo il basket c’è il calcio come passione, sono juventino ma moderato, perché in verità adoro l’atmosfera di qualunque partita in ogni stadio.

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