Sono 500.595 le firme finora raccolte a sostegno del referendum sulla cittadinanza, che chiede di abrogare la parte della legge 91 del 1992 in cui si richiede ai cittadini di paesi fuori dell’Unione europea di avere un periodo di residenza sul territorio italiano di almeno 10 anni per poter fare domanda.

La raccolta firme sulla piattaforma del ministero della Giustizia è stata lanciata il 6 settembre e rimane aperta fino al 30. Nei primi giorni le adesioni sono state poche, ma a partire da sabato 21 settembre il numero delle firme è aumentato velocemente: 35mila in 24 ore. Lunedì poi, scrivono i promotori, è stata «la più grande giornata di raccolta firme per un referendum della storia Repubblicana», tanto che la piattaforma del ministero non ha retto e si è bloccata per alcune ore.

Piattaforma ministero della Giustizia

Nonostante il down, in soli tre giorni ne sono state raccolte altre 300mila ai banchetti e tramite Spid, anche grazie al sostegno di diversi artisti, come Ghali. «Un record di partecipazione per una riforma che aspetta da 30 anni, per milioni di persone che vogliono essere riconosciute per quello che sono e per un paese che grazie alla spinta delle persone ora può fare un passo avanti verso una legge più giusta», ha scritto il comitato promotore, composto da diverse organizzazioni della società civile, partiti e singole personalità politiche e istituzionali. 

Perché il referendum sia valido deve essere raggiunto il quorum, devono quindi partecipare alla votazione la maggioranza degli aventi diritto al voto. Perché la norma sia abrogata deve essere raggiunta la maggioranza dei voti validamente espressi.

Il referendum

«Volete voi abrogare l’articolo 9, comma 1, lettera b), limitatamente alle parole “adottato da cittadino italiano” e “successivamente alla adozione” e lettera f) della legge 5 febbraio 1992, n. 91, recante nuove norme sulla cittadinanza?”. Con questo quesito, depositato il 4 settembre in Cassazione, si chiede di abrogare parte della legge sulla cittadinanza, che risale al 1992, e nello specifico alcuni elementi dell’articolo 9, una disposizione che richiede 10 anni di residenza legale in Italia per poter presentare domanda di cittadinanza.

Un periodo che è riferito ai cittadini di paesi fuori dall’Unione europea, mentre per i cittadini comunitari sono sufficienti quattro anni. Se si voterà “sì” al referendum abrogativo si contribuirà a ridurre la residenza da 10 a 5 anni, così come accade in altri paesi europei e come accadeva anche in Italia prima dell’approvazione della legge ancora in vigore. La modifica interessa circa 2,5 milioni di persone e si estende ai loro figli e alle loro figlie. 

Sono diverse le associazioni e i partiti dietro alla campagna. Un’iniziativa che «parte dal basso», avevano detto i promotori davanti alla Cassazione dopo il deposito, perché sono soprattutto le associazioni che rappresentano le nuove generazioni con background migratorio a essere state protagoniste. Tra queste, Italiani senza Cittadinanza, il Conngi (Coordinamento Nazionale Nuove Generazioni Italiane), Idem Network.

Hanno poi promosso la campagna anche organizzazioni come Libera, Arci, A Buon Diritto, Società della Ragione, Gruppo Abele e partiti politici come Più Europa, Possibile, Partito Socialista, Radicali Italiani, Partito della Rifondazione Comunista. Anche personalità come Mauro Palma, ex garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale, l’ex senatore Luigi Manconi, l’ex parlamentare Pippo Civati hanno sostenuto l’iniziativa. 

Oltre a questi soggetti, anche il Partito democratico, pur non facendo parte del comitato promotore, ha assicurato la firma al referendum. «Le associazioni di nuove italiane e italiani ci chiedono supporto per questo referendum», aveva scritto la segretaria Elly Schlein sui social, «per il Partito democratico chi nasce o cresce in Italia ha diritto alla cittadinanza. Ci batteremo per questo con la nostra proposta in Parlamento che riconosce la cittadinanza a chi nasce da un genitore che risiede in Italia da almeno un anno, e a chi completa un ciclo di studi in Italia. Intanto firmiamo anche il referendum delle associazioni, che aspettano una riforma da troppo tempo».

La legge sulla cittadinanza

La campagna referendaria dimostra che «esiste una volontà diffusa di cambiare la legge sulla cittadinanza e di adeguarla ai tempi che stiamo vivendo», ha detto all’agenzia Dire Noura Ghazoui, presidente del Conngi.

Una legge del 1992 è anacronistica e impone moltissimi ostacoli alle persone che vogliono richiedere il documento: «Ci sono persone che con storie provenienti da ogni parte del mondo hanno scelto di vivere, amare, studiare, lavorare e crescere qui», scrive il Conngi, «l’Italia è già cambiata, ora cambiamo la legge».

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