La giunta della regione Lazio ha deciso di formare personale dotato di innovative tecnologie informatiche, banche dati e una buona dose di conoscenze nei settori amministrativi e finanziari per far fronte alle infiltrazioni criminali nelle gare d’appalto regionali
Continua con la sua 25esima puntata la rubrica “Politica resiliente” curata da Avviso Pubblico, l’associazione nata nel 1996 per riunire gli amministratori pubblici che si impegnano a promuovere la cultura della legalità democratica.
Da dietro una porta senza insegne è partita la nuova offensiva della regione Lazio contro le organizzazioni criminali. In quella stanza è, infatti, riunita una task force anonima e addestrata a intercettare soprattutto le imprese “fantasma”, perlopiù teste di legno dei clan, che puntano ad accaparrarsi parte delle decine di miliardi di euro che stanno per piovere dall'Europa attraverso il Pnrr.
Per la precisione 15 miliardi di euro destinati ai progetti regionali del Lazio, che comprendono anche i fondi strutturali europei, su cui le cosche contano di mettere le mani. Sul rischio infiltrazioni mafiose nel Next Generation Eu – 191,5 miliardi di euro – è scattato da subito l'allarme delle maggiori autorità investigative europee e italiane. Gli inquirenti sanno, infatti, che la gestione dei grandi fondi pubblici europei è un asse portante delle strategie economiche dei gruppi criminali.
La nuova task force anticrimine
E per prevenire l’assalto alla diligenza in arrivo, la giunta Zingaretti ha deciso di formare dei moderni “Rambo”: più simili a cyber smanettoni capaci e rapidi, dotati di innovative tecnologie informatiche, banche dati e una buona dose di conoscenze nei settori amministrativi e finanziari.
Il loro compito per i prossimi tre anni sarà quello di raccogliere informazioni su tutte le aziende che chiedono di partecipare alle gare d'appalto, alle autorizzazioni e alle concessioni promosse dalla regione. Ma non solo.
La nuova task force regionale, seguirà i soldi, segnalando tutte le operazioni finanziarie sospette direttamente in collegamento con l'Unità di Informazione Finanziaria (Uif) di Bankitalia. Il team lavorerà sotto la Direzione generale e con la Centrale unica degli acquisti della Regione Lazio in funzione da tempo per gli acquisti delle Asl territoriali.
I dati raccolti saranno trasferiti in tempo reale agli investigatori della Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo e a quelli della Direzione investigativa antimafia. È quanto prevede in sintesi il protocollo d'intesa della durata di tre anni, siglato il 23 dicembre dal presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti, dal Procuratore nazionale antimafia, Federico Cafiero de Raho, e dal Direttore della Dia, Maurizio Vallone.
L’obiettivo dichiarato è rafforzare le attività di prevenzione e contrasto alla criminalità organizzata per assicurare il successo nell’attuazione delle procedure di appalto relative al Pnrr e dei Programmi operativi 2014-2020 di Fesr, Fse, Feasr e del Piano Sviluppo e Coesione (Psc).
«La regione Lazio fa da apripista con un progetto innovativo, che per la prima volta in Italia prevede di passare ai raggi x della Dna e della Dia tutti i soggetti economici che vogliano partecipare alle procedure di gara, autorizzazioni, concessioni di benefici economici dell'Ente, indipendentemente dall'esito delle procedure», spiega Gianpiero Cioffredi, Presidente dell’Osservatorio per la Sicurezza e la Legalità della Regione Lazio, che ha lavorato fin dall'inizio alla definizione del protocollo spinto dalla Dna.
«Questo meccanismo sarà già in partenza un deterrente per le aziende legate o riconducibili ai clan. Infatti ora tutte le imprese sanno che per il solo fatto di accedere a una nostra gara, dovranno passare attraverso il body-scanner degli investigatori».
«Viste le risorse finanziarie messe a disposizione dallo Stato in questa situazione di difficoltà economica, tutte le informazioni finiscono in una piattaforma informativa che la Regione Lazio condivide con la Dna e la DIA», spiega Federico Cafiero de Raho durante la firma del protocollo: Ecco in sintesi cosa accadrà: «La condivisione di queste informazioni farà sì che la Dna, con la propria Banca dati, proceda ad un confronto di elementi che consentirà di rilevare eventuali soggetti legati direttamente o meno alle organizzazioni mafiose. Da lì si partirà per dare gli atti di impulso alle varie Direzioni Distrettuali Antimafia per aprire indagini nei confronti di questi soggetti e dar luogo alle misure di prevenzione», continua il Procuratore nazionale antimafia.
«Per prevenire – conclude de Raho – è necessario mettere insieme i dati e soprattutto lavorare insieme. I riflettori vanno accesi non solo parlandone, ma operando, condividendo gli elementi di conoscenza per un'analisi di approfondimento del quadro di chi parteciperà agli appalti pubblici e agli altri benefici che il Paese mette a disposizione».
Sviluppo economico e legalità convivono in un binomio indivisibile: una necessità, dunque, se si vuole difendere l'economia sana, le imprese che giocano secondo le regole e i diritti di chi lavora. Un piano in controtendenza rispetto a un certo mantra che vede nell'aumento dei controlli un rallentamento delle procedure di gara e di assegnazione degli appalti.
«Dobbiamo distruggere questo sillogismo – dice il presidente della regione Nicola Zingaretti –. Grazie a questa collaborazione contiamo di evitare o tagliare i tempi morti o ritardi». Per la prima volta i controlli avvengono di pari passo alle fasi di gara, senza aspettare l'aggiudicazione.
Un’azienda in odore di mafia viene esclusa prima della conclusione della gara, che nel frattempo va avanti senza subire ritardi. «Assistiamo a un bell'esempio di collaborazione tra livelli diversi dello Stato a difesa di un obbiettivo comune: portare avanti la concretizzazione delle sfide date dalle risorse europee con la tutela e il rafforzamento dell'economia legale», conclude Zingaretti.
L'auspicio è che l'esempio del Lazio sia replicabile anche in altre regioni italiane. Si può fare, spiega il Procuratore De Raho, che è pronto a siglare altri accordi come questo. Le organizzazioni mafiose vedono nell'occasione offerta dai fondi del Pnrr un modo non solo di riciclare soldi sporchi, reinvestendoli in attività legali, «ma un’ulteriore fonte di guadagni con il conseguente indebolimento del sistema delle aziende sane e dell’alterazione della libera concorrenza. Si tratta – spiega ancora Gianpiero Cioffredi – di recidere quel circolo vizioso che alimenta le organizzazioni criminali per riciclare i capitali illecitamente accumulati proprio con l’aggiudicazione o l’affidamento di commesse pubbliche».
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