La magistratura milanese ha messo nel mirino almeno 150 cantieri. Ma il primo cittadino insiste per far approvare la norma che neutralizzerebbe le indagini dei pm sugli abusi. Ora dubbi anche nel Pd
Il sindaco di Milano Beppe Sala ha messo da parte l’irritazione dei giorni scorsi quando ieri si è collegato con la commissione Ambiente del Senato. Lì è bloccata da quasi due mesi la norma di interpretazione autentica, il Salva-Milano, pensata per neutralizzare le inchieste sull’urbanistica della procura meneghina.
Il problema nasce nel capoluogo lombardo – sono una trentina i palazzi sotto le lenti della magistratura e 150 i cantieri che rischiano di essere coinvolti – ma la soluzione trovata riguarderebbe tutta Italia perché estenderebbe a un «modello ambrosiano» fatto, secondo le tesi dei pm, di autorizzazioni facili e sconti ai costruttori.
Politica e processi
Per qualcuno è stato un sacco edilizio, per altri un necessario piglio efficientista in una città che, secondo un report Ance pubblicato ieri, è la più inaccessibile per comprare casa. In mezzo ci sono due piani – quello giudiziario e quello politico – che camminano a velocità diverse. Lo scorso 23 gennaio è arrivato il primo rinvio a giudizio per otto persone per il progetto della Torre Milano di via Stresa: un grattacielo residenziale di 84 metri e 24 piani costruito al posto di due palazzine di due e tre piani.
Il 27 gennaio, con la richiesta di domiciliari per Stefano Boeri, è arrivata una nuova grana che tocca in parte anche il comune di Milano. Non perché siano coinvolti suoi dipendenti ma perché l’archistar è accusata di aver omesso potenziali conflitti d’interessi in una gara milionaria, quella per la biblioteca Beic, bandita da Palazzo Marino in cui poi hanno vinto soggetti legati a doppio filo con il padre del Bosco verticale.
Sul Salva-Milano, invece, la politica cammina più lenta della giustizia. Sala è impegnato da settimane in un pressing per convincere i senatori. Ma rispetto a fine novembre, quando il ddl 1309 è stato votato da un «campo largo» che comprendeva centrodestra e Pd, ora quest’inedita alleanza scricchiola sempre più perché nel frattempo nell’area dei dem più vicina alla segretaria Schlein sono aumentati dubbi e malumori. Se modificato, il testo dovrà ripassare alla Camera e i tempi si dilaterebbero di molto.
Il 27 gennaio il capo di gabinetto di Sala, Filippo Barberis, è stato in visita lampo a Palazzo Madama. Ieri invece in commissione Ambiente al Senato il primo cittadino milanese ha spiegato che il Salva-Milano non sarebbe un «liberi tutti» ma l’estensione di un modello corretto «che abbiamo seguito per 13 anni». «La nostra colpa», si è chiesto, «è quella di aver semplificato una normativa che prende origine da una legge del 1942 in un paese che viene accusato di essere troppo burocratico?».
Ma se la speranza è quella di veder approvato il Salva-Milano «così come votato alla Camera», allora il primo cittadino si sbaglia quando afferma che «è una norma pro passato e pro presente». Perché lo strumento scelto, l’interpretazione autentica invece del condono, estenderebbe per il futuro e per tutta Italia la possibilità di non prevedere piani attuativi, laddove prima erano richiesti per palazzi che superavano i 25 metri di altezza, e di definire «ristrutturazione» edifici che «presentano dimensioni anche integralmente differenti da quelli originari». Con un rischio di tenuta delle casse pubbliche dei comuni: quello di Milano, nel solo 2024, ha perso 165 milioni di oneri di urbanizzazione.
Il primo rinvio a giudizio
Non è solo la procura a credere che le prassi milanesi abbiano sconfinato al di là del consentito, ora che il gip ha deciso che otto persone tra costruttori, architetti e funzionari del comune andranno a processo per l’ipotesi di abusi edilizi, lottizzazione abusiva e falso. Lo schema seguito per Torre Milano è identico rispetto ad altri procedimenti.
L’intervento è stato «qualificato come ristrutturazione edilizia, con totale demolizione e ricostruzione e recupero integrale della superficie lorda di pavimento preesistente», anziché «nuova costruzione», mentre la «determina dirigenziale» firmata nel 2018 dai due funzionari coinvolti anche in altri procedimenti avrebbe procurato un «ingiusto vantaggio economico» ai costruttori. I fascicoli aperti per ora non si riescono a disinnescare e il prossimo 13 marzo ci sarà l’udienza preliminare per le Park Towers di Crescenzago ( è già intervenuta la Corte dei conti che ha ipotizzato un danno erariale da 321 mila euro; cifra che, considerando altri procedimenti, potrebbe schizzare su di molto).
Ma all’ombra delle accuse più urbanistiche si nascondono quelle che, secondo chi indaga, sarebbero «gruppi di pressione che controllano le operazioni immobiliari più lucrative» e che lavorano per «assicurare il mantenimento di tale sistema». Vere e proprie lobby che sfrutterebbero il ruolo della commissione paesaggio, vero cuore pulsante del sistema-Milano che, da organo consultivo, è diventata un soggetto in grado di rilasciare le autorizzazioni. E che secondo i pm «non garantisce indipendenza» perché «composto da professionisti nominati direttamente dal sindaco, che esercitano la libera professione a Milano»..
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