La Lega è scesa in campo compatta in difesa del segretario Matteo Salvini che venerdì vedrà conclusa la sua vicenda giudiziaria davanti al tribunale di Palermo. Nell’udienza del 20 dicembre sono attese le eventuali controrepliche e poi la camera di consiglio per emettere il verdetto. Il vicepremier è accusato di sequestro di persona plurimo, omissione e rifiuto di atti d’ufficio, per aver trattenuto nel 2019, per 19 giorni negando loro lo sbarco, 147 migranti sull’imbarcazione dell’ong Open Arms, ormeggiata davanti all’isola di Lampedusa dopo il salvataggio in acque internazionali in tre diverse operazioni.

«Tutto il partito è al fianco del suo leader ed è pronto alla mobilitazione in caso di condanna», ha garantito il vicesegretario della Lega Andrea Crippa. Mentre a Strasburgo in un breve flash mob gli eurodeputati della Lega hanno ribadito la loro solidarietà al segretario federale a due giorni dalla sentenza, indossando magliette con la scritta: «Colpevole di aver difeso l’Italia».

La linea è ancora una volta sostenere la politicizzazione della magistratura – così come ribadita dalla premier martedì alla Camera – che agirebbe in modo ideologico, frenando, secondo la narrazione della maggioranza, il lavoro del ministro nel «garantire sicurezza e proteggere i confini nazionali», «difendere la patria» – ha detto Vannacci – attaccando gli interessi del paese.

Il vicepremier è intervenuto su X assicurando un ingresso «a testa alta» nell’aula di tribunale e sostenendo di rischiare «sei anni di carcere per aver difeso il mio paese da ministro dell’Interno».

Così, ha continuato Crippa, venerdì «sapremo se Matteo Salvini è colpevole di aver difeso i confini dall’invasione di immigrati clandestini». La condanna sarebbe un fatto gravissimo per gli esponenti del partito, «una violazione dei principi più basilari del diritto» – per il presidente della Lombardia Fontana – trasformando un’attività giurisdizionale in una partita politica perché, ha affermato il vicesegretario, «solo una magistratura politicizzata e chiaramente di sinistra può chiedere sei anni di galera». A difesa del ministro sono poi accorsi gli alleati di governo: Giorgia Meloni ha mostrato la solidarietà dell’esecutivo, mentre per Antonio Tajani Forza Italia ha vissuto «esperienze analoghe con Berlusconi».

Una narrazione che ha scatenato una campagna d’odio nei confronti delle tre magistrate che rappresentano l’accusa nel processo, dopo la richiesta di condanna del ministro. Insulti e minacce, attacchi violenti sui social a cui è seguita la decisione di assegnare la scorta a una delle pm, Giorgia Righi, l’unica del pool rimasta senza protezione. Una narrazione che è stata ribaltata dalle pm durante la requisitoria del 14 settembre: chiedendo la condanna a sei anni di reclusione, le tre magistrate hanno ricordato come «i diritti dell’uomo vengano prima della difesa dei confini» e, alla difesa dei confini, hanno quindi risposto ricordando i limiti, definiti dai diritti fondamentali, al potere esecutivo. E, concludendo la requisitoria, la pm Sabella aveva affermato che «il pos (porto sicuro, ndr) doveva essere rilasciato senza indugio e subito, il diniego è stato in spregio delle regole e non per proseguire in un disegno governativo», ledendo la libertà dei naufraghi.

L’avvocata Giulia Bongiorno, a difesa di Salvini, ha invece chiesto l’assoluzione perché il fatto non sussiste, esito di cui si dicono convinti tutti i compagni di partito. Per l’avvocata «ci fu una consegna concordata» dei naufraghi e qualcuno avrebbe «dato indicazioni precise a Open Arms». Una tesi – sostenuta dalla destra, e non solo – che è già stata smentita in un importante processo alle ong, il caso Iuventa. Ma la criminalizzazione delle ong iniziata proprio dal caso di Trapani consentirà a Salvini di uscirne mediaticamente vincente: atteggiandosi da vittima di una magistratura di parte o da buon ministro che si è sacrificato per l’interesse nazionale.

© Riproduzione riservata