Il cuore del problema risiede in una precarietà cronica, che affligge il sistema scolastico e colpisce indistintamente insegnanti. Questo stato di precarietà non è solo una ferita aperta per i lavoratori stessi, ma incide profondamente sulla qualità dell'insegnamento
Alice è una docente di sostegno precaria, lavora da tempo nello stesso istituto perché dopo anni di servizio è riuscita ad accumulare un punteggio tale da poter essere abbastanza certa di essere chiamata lì, se compila opportunamente la domanda delle preferenze in agosto.
Ma quest’anno Alice non rischia solamente di non lavorare nello stesso istituto in cui insegnava da tre anni; in realtà rischia di non essere chiamata affatto, almeno per i primi mesi, e forse non per tutte le ore di servizio.
Questo perché il nuovo impianto della formazione in ingresso prevede anche la possibilità di prendere un’abilitazione su un’altra materia per aumentare il proprio punteggio in graduatoria di ben 36 punti (un’enormità). Alice sapeva di poter essere superata da tanti colleghi nel sistema ricattatorio ed estorsivo della gara a punti, ma quei 2000 euro proprio non li poteva spendere e con una bimba piccola non avrebbe neanche avuto il tempo di studiare e lavorare quest’anno.
Francesco invece l’anno scorso ha dovuto pagare 300 euro per un ricorso che poi ha vinto. L’algoritmo che da due o tre anni assegna le supplenze lo ha “saltato”, assegnando il posto su cui aveva espresso la preferenza ad un collega con 40 punti in meno di lui.
Intanto ha passato l’anno a vagare tra supplenze brevi di qualche settimana o mese, pagato sempre in ritardo. Quando ha provato a chiedere spiegazioni alla segreteria gli è stato risposto che la prossima volta imparerà a pensarci due volte prima di accettare una supplenza di quel tipo.
Antonio ha superato il famigerato concorso ordinario del 2020 per insegnare storia e filosofia nei licei, dopo aver studiato per mesi. Normalmente sarebbe entrato quest’anno con lo scorrimento della graduatoria, ma i vincitori del nuovo concorso Pnrr sono passati avanti a lui e deve aspettare un altro giro di corsa, sperando che nel frattempo la graduatoria a scorrimento non venga chiusa e che ciò non lo costringa ad affrontare un secondo concorso senza motivo.
Queste sono solo alcune delle storie di chi era in piazza sabato per chiedere la fine dell’abuso dei contratti precari nella scuola, la fine del mercato dei titoli in cambio di punti in graduatoria, l’abolizione di una formazione in ingresso costosissima, dequalificata e preda del mercato deregolamentato delle università telematiche, con le quali gli atenei statali riescono difficilmente a competere.
Fondata sul lavoro precario
La scuola italiana è strutturalmente fondata sulla precarietà dei docenti. Circa un quarto degli 800mila professori e professoresse attualmente in cattedra nelle scuole statali e paritarie hanno dei contratti a termine.
Tale forza lavoro viene immessa ogni anno negli istituti attraverso un sistema automatizzato, istituito nel 2020 dall’ex ministra Azzolina, che incrocia le disponibilità delle scuole con le preferenze espresse dai docenti durante l’estate. Tuttavia, il sistema non permette loro di conoscere né le disponibilità effettive dei posti né la propria posizione in graduatoria prima di presentare le preferenze. Si tratta del famigerato “algoritmo” che ogni insegnante precario ha imparato a pregare e temere. Il sistema di reclutamento dei docenti ha fatto sì che dal 2015 al 2023, la percentuale di insegnanti precari passasse dal 12 per cento al 24 per cento, dimostrando che il sistema attuale non solo non risolve il problema della stabilità lavorativa, ma lo aggrava.
Il recente Dpcm del 4 agosto 2023 ha introdotto nuovi percorsi abilitanti basati sull’acquisizione di crediti formativi universitari (Cfu), ma questi rappresentano una nuova barriera economica, con costi elevati che possono raggiungere cifre proibitive, e accesso limitato a causa del numero chiuso.
I nuovi percorsi abilitanti, inoltre, rischiano di trasformare ulteriormente l'abilitazione all'insegnamento in un “mercato dei crediti”, dove l'educazione viene mercificata a beneficio di università ed enti di formazione privata.
La privatizzazione e la mercificazione dell’istruzione, unite alla gestione caotica e diseguale del reclutamento, stanno trasformando la scuola italiana in un sistema elitario e iniquo.
Le conseguenze più gravi sono a carico dei lavoratori precari e degli studenti, che subiscono gli effetti di una scuola sempre più divisa, sia a livello di risorse che di accesso all’insegnamento. La precarietà nella scuola italiana non si limita alla questione dei contratti temporanei, ma è parte di un sistema più ampio di sottofinanziamento, carenze infrastrutturali, programmi scolastici obsoleti e barriere economiche e sociali che creano una disuguaglianza tra scuole di “serie A” e “serie B”. Con un tasso di abbandono scolastico tra i più alti in Europa, diventa evidente l’urgenza di un intervento politico deciso e continuativo, che miri a superare queste criticità strutturali.
Uno dei punti più critici riguarda il recente Concorso Pnrr, le cui restrizioni hanno drasticamente ridotto le possibilità di assunzione per i numerosi docenti idonei. Infatti, le incertezze nelle procedure concorsuali e i ritardi nelle assunzioni continuano a penalizzare migliaia di insegnanti, creando ulteriore instabilità nelle scuole e pregiudicando l’efficienza del sistema educativo.
La mancanza di trasparenza nella pubblicazione delle graduatorie e nell’accesso alle sedi disponibili rappresenta un ulteriore ostacolo, che impedisce la copertura rapida ed equa dei posti vacanti.
A tutto ciò si aggiunge il drammatico declino degli stipendi degli insegnanti italiani negli ultimi trent'anni, causato da contratti inadeguati, aumenti salariali irrisori e un costante aumento del costo della vita. Rispetto ai colleghi europei, i docenti italiani percepiscono retribuzioni decisamente inferiori, una condizione che ha gravi ripercussioni non solo sulla dignità dei lavoratori, ma anche sulla qualità complessiva dell'istruzione.
Un sistema da riformare
Il cuore del problema risiede in una precarietà cronica, che affligge il sistema scolastico e colpisce indistintamente insegnanti. La maggior parte di questi lavoratori vive anni di incertezza, costretti a cambiare sede di anno in anno, senza alcuna prospettiva di stabilizzazione. Questo stato di precarietà non è solo una ferita aperta per i lavoratori stessi, ma incide profondamente sulla qualità dell'insegnamento, danneggiando la continuità didattica e il benessere degli studenti.
È evidente che una delle soluzioni più urgenti è la riforma del sistema di reclutamento, che dovrebbe prevedere l’introduzione di un doppio canale di assunzione. Questo approccio, che in passato era stato considerato una misura di prevenzione della precarietà, non è più efficace a causa del numero insufficiente di chiamate in ruolo e del mancato inserimento dei posti vacanti negli organici di diritto. Inoltre, la revisione del sistema di abilitazione, che oggi impone costi elevati per l'acquisizione dei crediti formativi, deve essere una priorità: il mercato dei crediti ha trasformato l'accesso all’insegnamento in un privilegio riservato a chi può permetterselo.
È necessaria una seria riflessione politica sulla progressione di carriera e la parità di trattamento tra docenti precari e di ruolo. Solo con un'azione decisa e coordinata si potrà porre fine all'abuso dei contratti a termine e garantire un sistema di reclutamento equo e stabile, capace di valorizzare il lavoro dei docenti e migliorare la qualità dell'istruzione pubblica in Italia.
Siamo scesi in piazza per chiedere nuove assunzioni, assunzioni che stabilizzino il precariato storico e che pongano fine alla strutturale piaga della precarietà nella scuola italiana, per la quale l’Italia è stata deferita alla corte di giustizia dell’Ue.
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